di Alfio Pelleriti
Questo secondo appuntamento presenta una sintesi degli eventi più importanti accaduti in Sicilia negli anni 1943/1950 e di quelli accaduti in Italia e nel mondo sempre nello stesso periodo, sotto forma di mappe concettuali che spero possano essere d’aiuto anche agli studenti impegnati nell’esame di maturità.
Seguono alcuni brani del libro dello scrittore Alfio Caruso, “Quando la Sicilia fece guerra all’Italia” in file audio.
Infine una mia lettera, già inviata a “Biancavilla Oggi”, in opposizione alla proposta/istanza di intitolazione di una strada di Biancavilla ad Antonio Canepa e pubblicata dal direttore Vittorio Fiorenza come commento a tale istanza, così da non avere avuto alcuna visibilità, passata dunque nell’indifferenza generale, anche all’interno dell’associazione Piazza Grande, (questa sì, una vera sconfitta!!) che inviai lo stesso giorno al gruppo Whatsapp dei soci.










OSSERVAZIONI SULLA PROPOSTA DI INTITOLAZIONE DI UNA STRADA DI BIANCAVILLA AD ANTONIO CANEPA
La figura di Antonio Canepa merita di essere studiata poiché, all’interno del MIS (Movimento indipendentista siciliano) occupò un ruolo importante, sebbene minoritario rispetto alle istanze del suo fondatore Finocchiaro Aprile. Quest’ultimo operò scelte azzardate, pericolose, antidemocratiche, schierandosi dalla parte dei grandi proprietari terrieri che, dopo la caduta del fascismo nel 1943, si sentivano minacciati dalla riforma agraria (decreto Gullo del 19 ottobre 1944) che prevedeva quella divisione delle terre dei feudi incolti promessa da Garibaldi, poi dal comandante Armando Diaz e da Vittorio Emanuele Orlando ai fanti che morivano o venivano feriti in trincea lì sul Grappa o sul Piave o sul Monte Santo.
Finocchiaro Aprile, l’avvocato Castrogiovanni e Concetto Gallo promisero l’impunità al bandito Giuliano e lo nominarono “colonnello” dell’Evis in cambio del suo “aiuto” ad ostacolare, con minacce e morti ammazzati, contadini e sindacalisti (Strage di Portella delle Ginestre, 1° maggio 1947, 11 morti e numerosi feriti); presero contatti con capi mafia e massoni per realizzare il progetto dell’indipendenza della Sicilia che avrebbe dovuto portare l’isola a divenire una colonia statunitense come la Cuba del dittatore Fulgencio Batista.
Del resto ogni volta che l’indipendentismo siciliano è sceso in campo, anche in tempi recenti, si è scoperto che sotto tale impegno c’era l’ombra della massoneria e della mafia.
Canepa forse fu l’unico a non accettare la strategia “ambigua” e dai risvolti reazionari di Finocchiaro Aprile e molti sono gli storici che sostengono la tesi che in realtà, alle porte di Randazzo in quel 17 giugno del 1945, si volle colpire proprio lui, personaggio scomodo all’interno del movimento.
Canepa era un anarchico che supponeva che l’azione individuale e terroristica della lotta armata potesse dare frutti politici immediati senza le “lungaggini” del gioco democratico. Era un solitario, come tutti gli anarchici (ho avuto modo di avere tra le mani il suo simbolo di riferimento: non era la sagoma della Sicilia, né la triscele siciliana, ma una stella a cinque punte rossa) che non disdegnava di lavorare per i servizi segreti inglesi e americani. Rimase in strettissimo contatto con l’Intelligence Service inglese per il tramite del suo amico Herbert Rowland Arthur, duca di Bronte, quando si inserì tra le formazioni partigiane di Giustizia e libertà che operavano sull’Appennino tosco emiliano, eppure qualche anno prima, imperando ancora Mussolini, aveva pubblicato un libro sulla dottrina e sulla mistica fascista, ottenendo una docenza universitaria. Lo scrittore Alfio Caruso si è occupato di Antonio Canepa e sinteticamente così lo valuta: “era solo uno spregiudicato opportunista, estasiato dal suo io, prontissimo a cambiare cavallo secondo le circostanze. Nulla della sua azione ha sortito beneficio per i siciliani”.
All’associazione “Terraeliberazione” cui fa riferimento chi avanza l’istanza di intitolare una strada di Biancavilla ad Antonio Canepa, si richiama “La voce dell’isola”, un periodico on line diretto dal giornalista Salvo Barbagallo, che in un suo editoriale apparso lo scorso 25 aprile sostiene delle tesi che sono tipiche della destra politica più radicale, altro che riferimenti all’antifascismo.
“…non c’è “25 Aprile” che tenga: un anniversario sul quale abbiamo espressa la nostra opinione ad ogni ricorrenza su questo giornale. L’Italia “vecchia” continua a vivere di odio, rancori e reminiscenze che l’Italia “giovane” sconosce e che “rivive” quasi esclusivamente attraverso “memorie” di parte”. E nello stesso articolo afferma: “Oggi, più che 76 anni addietro, c’è bisogno di “Democrazia” e non di sentire declamare pistolotti su ciò che è stato. Ma forse una “nuova” Resistenza avrebbe “valori” “nuovi”, quelli di superare gli inizi di un Terzo Millennio che si porta dietro retaggi che storicamente presentano lati controversi e che continuano ad alimentare odio”.
Per Barbagallo gli interventi del presidente Mattarella, del presidente del Consiglio Draghi, della senatrice Liliana Segre volti a tenere desta la memoria soprattutto dei giovani su ciò che è stato il fascismo e il nazismo, sulla loro responsabilità nell’aver causato la più immane tragedia della storia dell’umanità, sarebbero dei “pistolotti”; e affermare che l’apporto dei partigiani e della loro lotta per la liberazione d’Italia dai nazifascisti significa soltanto “alimentare odio”.
Si auspica che il sindaco e tutta l’amministrazione comunale non diano seguito a tale istanza poiché l’ambiguità del revisionismo storico va bloccata sul nascere senza concedere spazio alcuno, inoltre Canepa sfruttò il ruolo di docente universitario per condizionare i suoi studenti a scelte ideologiche che prevedevano l’uso della violenza per il sovvertimento delle istituzioni dello Stato. Già questo dovrebbe dissuadere dal procedere all’intitolazione di una strada poiché non è affatto un modello da imitare o a cui ispirarsi.
Alfio Pelleriti