Tratto da fondazionefalcone.org

Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano che ha dedicato la sua vita alla lotta alla mafia.
Tra i primi a comprendere la struttura unitaria e verticistica di Cosa Nostra, ha creato un metodo investigativo diventato modello nel mondo.
Rigorosa ricerca della prova, indagini patrimoniali e bancarie, ostinata caccia alle tracce lasciate dal denaro e lavoro di squadra sono stati i suoi fari, le armi con le quali, insieme al pool antimafia, ha istruito il primo maxiprocesso a Cosa nostra, il suo capolavoro. L’eccezionale impegno di un manipolo di magistrati guidati da Falcone dopo anni di assoluzioni per insufficienza di prove portò alla sbarra 475 tra boss e gregari di Cosa nostra e si concluse con 19 ergastoli e condanne a 2665 anni di carcere.
Oltre 40 anni fa Giovanni Falcone capì che le mafie si apprestavano a varcare i confini italiani e teorizzò l’importanza della cooperazione giudiziaria internazionale. A lui, al suo lavoro, al suo sacrificio è stata intitolata la risoluzione approvata all’unanimità da 190 Paesi nel corso della X Conferenza delle Parti sulla Convenzione di Palermo del 2000 contro il crimine transnazionale che si è tenuta a Vienna ad ottobre del 2020.
Giovanni Falcone non si è mai sentito un eroe, ma solo un uomo dello Stato chiamato a fare il proprio dovere. Contro il mito negativo dell’invincibilità di Cosa nostra diceva: “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà una fine”…
Il 30 gennaio del 1992, con una sentenza storica, la Cassazione riconosce valido l’impianto accusatorio che aveva portato alla sentenza di primo grado del maxi processo. La Suprema Corte ripristina gli ergastoli e le condanne per boss e gregari annullati in appello. Il cosiddetto “teorema Buscetta” è sancito definitivamente. Il maxi-processo ha retto alla prova finale.
L’apice del successo sarà proprio l’inizio della fine del giudice. Cosa nostra si trova a fare i conti con le condanne definitive. Totò Riina lo condanna a morte. Falcone sa da anni che il conto con la mafia è aperto e vive con la certezza che prima oi poi quel conto Cosa nostra lo salderà.
LA STRAGE DI CAPACI
Il 23 maggio 1992, Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo con un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall’aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Tre auto blindate li aspettano.
È la scorta di Giovanni, la squadra che ha il compito di sorvegliarlo dopo il fallito attentato del 1989 dell’Addaura.
Dopo aver imboccato l’autostrada che porta a Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci, una terrificante esplosione disintegra il corteo di auto e uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
LA RINASCITA
La morte di Giovanni Falcone rappresenta paradossalmente l’inizio della fine per Cosa nostra. Scossa dal tritolo di Capaci, Palermo si risveglia, scende in piazza e grida forte il suo no alla mafia.
Il 19 luglio del 1992, a 57 giorni dall’attentato, la mafia torna ad alzare il tiro e uccide Paolo Borsellino, collega e amico di una vita di Falcone, e la sua scorta.
Lo Stato decide di fare sul serio nella lotta alle cosche.
Tutti i più grandi latitanti, tranne il boss Matteo Messina Denaro, sono in prigione e l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine non si è mai fermata.
Nella società è certamente cresciuta e si è consolidata una coscienza anti mafiosa. Un risorgimento civile che, però, deve essere tenuto vivo. Nella guerra allo Stato la mafia è pronta ad approfittare di ogni indecisione. Per questo è fondamentale l’impegno delle istituzioni e, soprattutto, la vigilanza della società.
Spetta a tutti noi mantenere alto l’esempio lasciato da Giovanni Falcone e portare avanti la lezione di legalità e di amore per lo Stato che il magistrato ci ha lasciato.
“Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”. (G. Falcone)
Tratto da fondazionefalcone.org
23 MAGGIO 1992
Veniva da Roma quel giorno Giovanni,
cercava assassini, mafiosi, mendaci,
ma la sua corsa fu fermata a Capaci.
Ardeva l’asfalto e mordeva le carni,
nel ciel degli eroi, eran pronti gli scanni.
Un freddo silenzio empì tutti i cuori,
crollaron dei giusti speranze e furori.
Poi dalle sbarre un tintinnio
di bicchieri
e i ghigni dei vili al barbaglio
dei guerrieri.
Alfio Pelleriti