“Per non dimenticare!”
Alfio Pelleriti
Cronaca immaginaria di fatti accaduti un sabato di ottobre del 1943, in una casa del ghetto di Roma:
Un professore cinquantenne, stimato nell’ambiente del liceo “Foscolo” e impegnato nella ricerca delle particelle subatomiche; la moglie, più giovane di dieci anni, alta, bella, violoncellista e le loro tre figlie. Sono lì seduti attorno al tavolo dopo aver finito di cenare, a discutere il da farsi dopo che sono stati denunziati e che la Gestapo ormai conosce la loro vera identità e sa che sono ebrei. Il professore propone di preparare le valigie e di tenere pronta la macchina per partire ancor prima dell’alba. Ma la polizia tedesca e i militi fascisti non lasciano loro alcun tempo.

Sono già lì, alla porta e bussano insistentemente. Intorno alla casa si sentono i cani abbaiare e un vociare tagliente, confuso, a tratti percepibili come singulti. Eccoli sono già alla porta: l’hanno sfondata, salgono di corsa con i mitra spianati e, senza alcun riguardo, li afferrano e li trascinano giù per le scale. Urlano le ragazzine, terrorizzate e il padre le chiama, una dopo l’altra, volendole rassicurare o semplicemente per gridare con quei nomi al mondo che lì, nella città di Roma, si stava commettendo una grave ingiustizia; lì c’erano dei bruti armati che inveivano contro degli innocenti; si stava consumando un grave torto e lui, il professore, grida i nomi delle figlie con tutto il fiato che ha in corpo. Poi tace e anche la moglie e le figlie tacciono e si lasciano condurre da quegli uomini in divisa che sghignazzano palpando ora le ragazzine ora la signora che ha assunto un’espressione attonita come di persona assente: lo sguardo nel vuoto, la bocca serrata, i movimenti stentati, quasi a scatti. Il professore la sorregge e non sa come dividersi tra lei e le figlie finchè non giungono a un camion e lì sono costretti a salire.
Altre persone prima di loro avevano subito lo stesso trattamento, altri ebrei, come loro erano stati rubati dalle loro case, sottratti al loro lavoro, strappati dalla loro vita e dai loro interessi e ora sono lì in un camion, in piedi, come animali portati al macello. Già, portati al macello! Sono condotti alla stazione Tiburtina e vengono fatti salire su un treno i cui vagoni sono di solito adibiti al trasporto bestiame. Lì sono ammassati uomini, donne, bambini, anziani, ammalati e quelle due finestrelle in alto non bastano a fare entrare aria sufficiente per respirare. Si soffoca. Qualcuno grida “Aiuto!”; altri battono i pugni alle pareti; altri ripetono a se stessi che non è possibile, che è solo un incubo. Poi un movimento lento e lo stridore delle ruote sul ferro del binario. Il treno è partito: direzione Auschwitz.
Era il 16 ottobre 1943 e più di mille ebrei furono trasferiti nel campo di sterminio (1259). Ne torneranno 15.
Nel ricordo della Shoah
Grave compito si assume colui che deve ricordare la Shoah, poiché tanti sono i possibili incipit sull’argomento e tra essi dovrebbe scegliere quello che possa ricreare non una realtà (operazione impossibile per gli umani se non sul tavolato d’un teatro), ma un sentimento. Quello provato da milioni di uomini, donne, bambini che, in una situazione kafkiana o orwelliana, se si preferisce, si videro ridotti a una condizione “non-umana”, con l’accusa di essere ciò che erano: ebrei, zingari, omosessuali, socialisti.

Non avevano commesso alcun reato, non avevano tramato contro lo Stato; non avevano complottato per distruggere lo Stato di diritto. No, erano semplicemente le vittime designate di un dittatore invasato, sorretto da un odio profondo verso coloro che vennero indicati come “nemici interni” da eliminare. Tale progetto trovò sponda favorevole in una intera popolazione, che divenne massa acefala; maggioranza silenziosa. E si commise il più grande massacro ordito contro chi aveva una identità religiosa, culturale, politica, etnica diversa dalla razza “pura”, ariana o italica che fosse.
Si contrapposero due mondi: l’uno quello dei carnefici, che rappresenta il trionfo della violenza e della sopraffazione giustificati dalla creazione di una società guidata da una razza superiore, da un’autorità indiscutibile che aveva annullato ogni diritto naturale e giuridico dell’individuo trasformandolo in un automa, in un numero, e che aveva cancellato ogni valore morale ed etico. Si doveva solo acclamare il capo e ubbidirlo ciecamente qualunque ordine impartisse. Questa fu la visione del mondo di Hitler, di Himmler, di Goebbels e di tutti coloro che scelsero di seguire costoro tacitando la propria coscienza morale e civile.
L’altro mondo era quello delle vittime, forti solo dei loro ideali, dei sentimenti di giustizia e di libertà che albergano in una coscienza sempre desta e presente a se stessa, forte della fede in Dio e rispettosa della dignità dell’uomo. Fu questo il mondo di Primo Levi, di Carmelo Salanitro, di Etty Hillesum, di Edith Stein, di Simone Weil.
Quando passa l’idea che non sia importante la conoscenza e l’informazione attenta cercata con scrupolo e quindi con sacrificio allora non può scattare la sapienza che illumina le scelte di ogni uomo. E dove manca la saggezza allora non si può trovare neanche la giustizia e l’esercizio del potere diventa tirannico e può accadere ogni tipo di barbarie. Con la promulgazione delle leggi razziali nel 1935 a Norimberga seguite nel 1938 in Italia ed estese poi durante gli anni della guerra nei territori occupati dai nazisti, si consumò la tragedia profonda dei campi di sterminio pianificata ed attuata da chi aveva preso sul serio le proposizioni del filosofo Friedrich Nietzsche di andare oltre il limite segnato dalla morale tradizionale, “Al di là del Bene e del male”, di volere andare oltre i valori della filosofia occidentale e quelli del cristianesimo. Non più il pensiero e la riflessione o la partecipazione ai riti religiosi dei “deboli e dei pavidi” che si riunivano in “gregge”, ma la forza e l’azione del “superuomo” che avrebbe instaurato un nuovo sistema politico e sociale dove diventavano valori l’audacia, la determinazione, l’annientamento dell’avversario e la cancellazione delle razze inferiori.

Questo si teorizzò e si attuò a Birkenau (6000 prigionieri al giorno erano uccise nelle camere a gas) e ad Aushwitz, a Mauthausen, a Dachau, a Treblinka, a Sobibor, a Belzec.
Si perpetui il ricordo di ciò che è stato nei campi di sterminio, nei luoghi di detenzione, dove i boia in divisa sotto il simbolo di una croce uncinata si nutrivano del dolore e del sangue innocente di uomini, donne, bambini, nell’indifferenza colpevole di molti “benpensanti” e di una massa che applaudiva il dittatore nelle grandi adunate di piazza.
Si ricordino i 12 milioni di vittime per mano nazista colpevoli di essere ebrei, omosessuali, zingari, slavi, oppositori politici.
Commovente, doloroso, duro quanto hai scritto, Alfio, perché le nostre orecchie sono diventate sorde a questa musica ed il nostro cervello è in tutt’altre faccende affaccendato: le bollette di gas, luce, acqua, e poi Imu, tari, e ancora il carrello della spesa rincarato, il carburante… Tu ti unisci al lugubre coro di chi vuole ancora guastarci la giornata con questa storia degli ebrei, dei campi di concentramento, dei forni crematori, delle leggi razziali! Basta, per favore… Abbiamo altro a cui pensare… Storia passata. Anzi neanche storia, ma storiella, favola per gli allocchi, mi diceva un bene informato amico, tempo fa, inventata dagli americani e dai loro lecchini per umiliare i laboriosi e valenti tedeschi e, naturalmente, i buoni e generosi italiani, notoriamente “brava gente”! Inutile insistere con questo amico di solide convinzioni cristiane, si badi bene, e di Comunione domenicale. Non aveva studiato la Storia, né apprezzato la Letteratura scendendo nei meandri del cuore, dei sentimenti e delle varie emozioni, nelle profondità del sacro e intangibile mistero del cuore, non aveva sperimentato la pietà, la compassione, l’immedesimazione con l’Altro… Cosa potevo chiedere di più: per lui parlavo cinese e venivo da un altro mondo. Ma oggi, nella scuola delle tre I, intendo Impresa, Informatica, Inglese, c’è tempo per studiare Storia, e Storia del secolo scorso, e aggiornarsi sul signor Putin, su quel simpaticone di Trump e su quel campione di Bolsonaro, oppure su quei devotissimi religiosi ayatollah zelanti e omicidi?
L’appiattimento del pensiero a senso unico nella scuola italiana, prevalentemente bigotta e irreggimentata, agli ordini del mercato e della tecnocrazia finanziaria, è pratica assodata: si confermano le stesse linee guida delle famiglie, cioè faciloneria, arrivismo, individualismo competitivo, adorazione del dio Denaro! In tale scenario, che vuoi che conti l’Altro. È una pietra d’inciampo, un ostacolo da eliminare, nei casi migliori da ignorare. Che sia ebreo, omosessuale, zingaro, slavo, immigrato, drogato, pregiudicato, senza lavoro o senza casa, barbone, semplicemente e orgogliosamente donna… tutto ciò conta poco. Quella Storia, apparentemente lontana è molto vicina, si consuma ancora ogni giorno, nelle piccole e grandi tragedie delle guerre tra Diversi, ovvero tra Persone che hanno il più delle volte smarrito il senso ed il valore della dignità reciproca per mascherarsi giornalmente di perbenismo. La Shoah, è vero, si chiuse con l’apertura dei campi di sterminio ad opera delle Forze Alleate e la scoperta dell’orrore, ma la sua ombra tragica e dolorosa si prolunga ancora producendo altri tristi frutti. Quando apriremo gli occhi e finalmente impareremo a vivere come fratelli, figli dello stesso Padre, incamminati nello stesso destino? Grazie, Alfio, dell’opportunità che mi hai dato di riflettere per un quarto d’ora. Me n’ero dimenticato della Shoah.
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Grazie a te Salvatore per il tuo appassionato contributo ad un tema che non è un semplice fatto storico ma è invece una ferita sempre aperta che sanguina e che ci interroga sulla natura dell’uomo.
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