Alfio Pelleriti
Ancora un saggio del professor Vito Mancuso con il quale contribuisce a chiarire lo spirito del nostro tempo.
Il lavoro presenta un’analisi del concetto di “etica” e risponde a una serie di interessanti domande che contribuiscono a chiarirne il significato: che cos’è in termini filosofici e religiosi? Quali elementi troviamo per giustificarne l’esistenza? Essa è determinante per la nostra vita o resta un mero concetto filosofico che si può mettere facilmente tra parentesi? Ebbene ancora una volta lo scrittore e teologo fornisce risposte chiare, esaustive, utili per questo nostro tempo pregno di contraddizioni, un tempo in cui sembra che il male stia espandendosi corrodendo le coscienze degli individui. Non è semplice il compito che Vito Mancuso si è dato e tuttavia procedendo con il solito scrupolo scientifico, il lettore lo segue e non può che rimanere ammirato dal suo rigore analitico, dalla chiarezza espositiva, dai continui richiami ai suoi filosofi di riferimento.

La prima parte del suo saggio è dedicata alla definizione del termine “etica” e cioè a quella dimensione che ha a che fare con la nostra umanità e che si configura come comportamento non avulso dall’Io individuale, dal contesto reale, dalla storia dell’uomo, dalla filosofia e dalla teologia. “L’etica, ben prima d’essere un comportamento che dobbiamo mettere in pratica, è qualcosa che ci custodisce, è la nostra dimora.”[1]
L’etica poggia, dice Mancuso, su due pilastri: i valori e la libertà.
Col primo termine egli indica ciò che l’individuo avverte come bene e come giustizia quando si pone in silenzio per potere ascoltare la voce della sua coscienza morale; quando il buon lettore si pone in atteggiamento di riflessione nei confronti dei grandi pensatori: Socrate, Platone, Gesù, Marco Aurelio, Hannah Arendt, Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil, Vasilij Grossman, Pavel Florenskij.
Sottolinea più volte il contributo di Immanuel Kant nella riflessione sull’etica con la sua Critica della Ragion pratica che culmina negli imperativi categorici della coscienza morale, per cui il comportamento di ognuno, dice il filosofo di Konigsberg, deve avere sempre rispetto dei propri simili considerandoli come fini e mai come mezzo per il raggiungimento di scopi personali; e ancora: fai in modo che la tua azione si possa configurare come rispondente ad una Legge universale.
Più volte nel lavoro di Mancuso risuona l’avvertimento di Dante Alighieri agli uomini: “Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza!” poiché la conoscenza rappresenta il passo fondamentale nella costruzione di un sentire etico per l’individuo. Dalla conoscenza si passa, attraverso un atteggiamento di umiltà e di empatia, alla saggezza e alla giustizia e alle altre virtù cardinali della fortezza, della temperanza.
L’altro pilastro per fondare l’etica è la libertà: libertà di dare o negare il proprio assenso a quanto ci suggerisce la nostra coscienza sul Bene e sulla Giustizia. “In questo mondo che sembra votato al male, dove sembra non ci sia più spazio per gli ideali, la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi supera se stesso per servire valori più alti e chi invece riporta tutto a sé.”[2]
In assoluto il nemico giurato dell’etica è stato e continua ad essere Friedrich Nietzsche, il filosofo della “volontà di potenza”, appannaggio quest’ultima di pochi uomini, guerrieri e aristocratici; superuomini che aborrono i richiami alla bontà, alla giustizia, all’esercizio del pensiero, a Dio, alla morale. Nietzsche pone la sua analisi del mondo e dell’uomo “al di là del bene e del male”, contro la morale del “gregge”, cioè dei cristiani. Egli è il filosofo più anticristiano della storia del pensiero mondiale; è contro i valori predicati da Gesù e dai padri della Chiesa. Il suo superuomo pratica la violenza; è ingiusto; fa riferimento unicamente a se stesso e alla sua volontà; ama il sangue e vive eroicamente, senza pensare a niente se non a se stesso e alla sua affermazione. Nietzsche fu il filosofo cui si ispirarono Hitler e Mussolini, votati alla massima del “Me ne frego!”, dell’azione contro il pensiero, dell’affermazione di leggi e pratiche razziste e all’esaltazione della guerra di aggressione contro il pacifismo e il “panciafichismo”, affermava sprezzante il duce degli Italiani.
“Il problema vero in ambito etico consiste piuttosto nello scoprire come alimentare l’intenzione di compiere il bene e di compierlo sempre, anche quando di per sé non conviene e di non compiere il male e di non compierlo mai, anche quando di per sé conviene.”[3]
Non si può adottare un comportamento etico se non ci si abitua ad essere in empatia con il mondo e con gli uomini che ci hanno preceduto nel tempo o che vivono in spazi lontani dal nostro. Empatia significa patire, sentire passione, quando si legge, si vede un film, si ascolta musica. Si può conoscere attraverso tali mezzi comunicativi solo se “patisci”, soffri e gioisci, stai in armonia, altrimenti si perde solo tempo o si aderisce solo alla moda del momento. Allora se si riesce ad entrare in empatia la mia spiritualità, la mia coscienza morale si nutrono del pensiero di Platone, di Kant, di Gesù, e si capisce la tensione morale di Falcone, di Borsellino, di Livatino. “L’essere non è qualcosa che si ha o che si fa, è qualcosa che si ha. È una forma dell’anima. La forma di chi sa che c’è qualcosa di più importante di sé, e lo ricerca con passione e onestà.”[4] E più avanti: “E’ l’educazione del cuore, unita a quella della mente, a generare il modo complessivo di essere e di stare al mondo di un essere umano all’altezza dell’ideale della humanitas.”

Lo scrittore riesce insomma a dare speranza al lettore, anche attraverso dei consigli pratici, in questo momento storico particolarmente difficile e drammatico, nel quale sembra che le più solide convinzioni vengano meno e invece si fanno strada atteggiamenti e comportamenti che sorprendono per la cattiveria e la violenza gratuita, come se il male stia sempre più allargando le sue ali, condizionando la vita degli uomini. Dalle pandemie alle guerre, dal riscaldamento globale all’inquinamento diffuso le cui tracce si riscontrano anche nei tessuti degli organismi viventi (microplastiche), dalle guerre alle repressioni violente degli oppositori politici negli stati autoritari; dalla diffusione di un individualismo patologico anche nei giovani alla violenza sulle donne, dalla corruzione dilagante alla presenza oppressiva delle organizzazioni mafiose, con tali caratteristiche si connota la situazione sociale del terzo millennio, e in tale contesto il libro di Mancuso sull’etica si presenta come una luce di speranza che indica la pratica del Bene come unica strada possibile per l’edificazione di un uomo nuovo in cui la saggezza, il senso della giustizia, la fortezza e la temperanza siano i tratti fondamentali della sua personalità.
[1] Vito Mancuso, Etica per giorni difficili, Garzanti editore, 2022, pag.15
[2] Ibidem, pag. 21
[3] Ibidem, pag. 181
[4] Ibidem, pag. 282
Ancora una volta il prof. Pelleriti ci propone di riflettere su una questione importante e prende spunto dal libro di Vito Mancuso intitolato Etica per giorni difficili, il cui Sottotitolo è “Dare valore alla vita riscoprendo la forza del bene”.
Il prof. svolge la sua riflessione proponendo un excursus sul concetto di etica che richiama Socrate, Platone, Gesù, Marco Aurelio, Hanna Arendt, D.Bonhoeffer, Simone Weil, Kant e infine anche Dante, il quale ci ricorda che non fummo fatti a viver come bruti, ma “per seguir virtute e canoscenza”.
Fatta salva l’importanza della questione per i tempi in cui viviamo, ed espressa rinnovata gratitudine al Pelleriti che ce ne propone la riflessione, da parte mia osservo che per riscoprire la forza del bene occorre preliminarmente vivere e far proprie tre condizioni esistenziali: il silenzio, l’empatia e la retta coscienza.
Far silenzio fuori e dentro di sé significa anzitutto mettere a tacere il fascinoso e forte richiamo dell’urlo ancestrale della Volontà di Potenza che ieri sulle orme sanguinose di Nietzsche, Hitler e Mussolini, ha trascinato Putin, Tramp, Bolsonaro, anche le teocrazie orientali degli ayatollah e, non ultimo, il neo-liberismo consumistico e imperialista occidentale, paradossalmente imitato da Russi e Cinesi.
Il rumore di tale Volontà giunge a noi non solo per sentito dire dalle guerre che infiammano il mondo, anche davanti a casa nostra in Ucraina, ma anzitutto nella prossimità dei conflitti omicidi intrafamiliari, tra famiglie, tra gruppi sociali, comunità, clan, aggregati, così come tra di noi estesi anche dall’America alla Cina.
Non l’etica, ma l’antietica stende in quest’ora la sua ombra minacciosa e nefasta sull’umanità intera.
In tale doloroso e squallido scenario la questione posta da Pelleriti è oltremodo grave e urgente per chi pensa, e pensando vuole dare senso alla propria esistenza e con atti concreti vuole essere operatore di bene, anzitutto di pace.
Dopo la presa d’atto del baratro verso cui ci siamo incamminati, prima che sia troppo tardi, occorre riscoprire una parola sempre antica e sempre nuova, che non ci scandalizzi, faccia sorridere o girare dall’altra parte: conversione! Laica e semplicemente umana conversione!
Sì, conversione al silenzio interiore da appetiti, bramosie, pensieri, sentimenti, emozioni, incentrati su sé stessi; conversione ad uno svuotamento dell’Io che azzeri l’ipertrofia egoica per fare posto all’Altro, al Diverso, anche se mostra sembianze ostili e nemiche, individuandone con l’incontro, il dialogo le reciprocità, gli interessi comuni e i legami umani imprescindibili su cui far sorgere un’etica nuova e universale fondata sulla pacifica convivenza operativa e solidale, sul rispetto della persona umana quale soggetto razionale e libero; conversione insomma dell’uomo all’Umanità, come senso e sostanza delle cose.
L’etica è infatti la “dimora” sicura e comune dell’uomo, come sostiene Mancuso, ma dell’uomo affratellato con altri uomini, non in guerra.
Non a caso S. Freud, focalizzando i meccanismi della sublimazione, dell’identificazione e della formazione del Super-io sostiene che l’etica tocca il punto più vulnerabile di ogni civiltà e che “va intesa come un esperimento terapeutico, come lo sforzo di raggiungere, attraverso un imperativo del Super-io, ciò che finora non fu raggiunto attraverso nessun’altra opera di civiltà” (La morale sessuale e il nervosismo moderno, p.486, Bollati, Boringhieri, Torino). E ciò vale nei grandi conflitti come nei piccoli e più comuni.
Non a caso, d’altra parte, Umberto Galimberti ha scritto un intero libro su La tecnica e l’impotenza dell’etica (Feltrinelli, Milano, 2016) per avvertirci della difficoltà dell’impresa di contrastare la violenza delle tecnologie e dei tecnocrati, mentre da tempo C. G. Jung ha sottolineato che”l’autenticità dell’esistenza dipende dalla sua capacità di individuarsi, cioè di divenire sé stessi al di là delle norme collettive ” poiché”quanto più l’uomo è sottoposto a norme collettive, tanto maggiore è la sua immoralità individuale ” (Tipi psicologici, p. 464, Bollati Boringhieri, Torino, 1921).
Battaglia difficile, dunque, quella dell’etica, nella quale la singola persona viene chiamata in causa per tradurre l’idea collettiva di bene in condotta morale pratica e interpersonale, sorretta, a mio parere, dalla seconda condizione preliminare del percorso, cioè dall’empatia, da quell’empatia che è il “sentire dentro”, immedesimarsi con l’altra persona fino a coglierne pensieri, stati d’animo, timori e desideri per risonanza interiore, pur mantenendo e conservando la propria identità distinta e separata dall’altrui.
Per Jaspers l’empatia non ha niente di esplicativo perché non è conoscenza scientifica e logico-razionale di cause ed effetti, ma è conoscenza”comprensiva” che aderisce e attinge all’inespresso, al non detto e sottinteso, agli affetti che suggeriscono il discorso.
Ascoltare, infatti, non è semplice e solare operazione logica e concettuale, ma molto molto di più.
Carl R. Rogers, ideatore della logoterapia, ha dimostrato come la comprensione non avviene a livello “gnostico” ma “patico”, ovvero di immedesimazione emotiva ed affettiva che, come precisa Martin I. Hoffman parlando di “condivisione affettiva” , esclude la fusione con l’altro perché preserva le differenze pur accogliendo il punto di vista altrui diverso dal proprio.
Si può, insomma, costruire una vera etica senza un “comune sentire” di ciò che è il bene?
Si può costruire un bene solidale senza la convergenza della com-passione di ciascuno singolarmente preso?
L’immedesimazione con la passione del Cristo nel giorno della processione dell’Addolorata, in tanti paesi del mondo, non solo del meridione italiano, è un evento collettivo scandito da immagini, musiche, canti, riti, gesti che prima ancora di dire con le parole e la logica concettuale della mente, dice con i silenzi, le pause, i pensieri, i sentimenti e le emozioni più profonde e segrete dell’anima di un popolo. Tale evento, che si può dire di portata mondiale, celebra educazione al bene comune della misericordia, della pace, della generosità, di quanto più buono e migliore alberga nel cuore umano, sempre bisognoso di nutrirsi di “pietas”.
La partecipazione ad una competizione sportiva o canora o semplicemente ad un incontro sociale in cui cordialità ed accoglienza si estendano fino a coinvolgere chi abitualmente si autoesclude o è escluso dall’ordinario consorzio dell’efficienza, delle performance, degli standard di rendimento, intendo non -abbienti, diversamente abili, stranieri, anziani, ecc., crea e promuove etica sociale e slancio morale personale.
Occorre però che sia la conversione al silenzio interiore sia l’incontro empatico avvengano alla luce di una retta coscienza capace di rimettersi sempre in discussione alla ricerca della verità delle cose e dell’autenticità delle relazioni, acclarandole con l’esercizio critico ed autocritico perché nessuno può presumere di possedere la verità in tasca.
L’onestà, il cui significato deriva da onore, stima, valore intimo e intrinseco , richiede coerenza con sé stessi e di sé stessi con le cose, accettando di rivedere e correggere le proprie posizioni, qualora siano errate, e di sotterrare l’ascia di guerra per intravedere nuovi orizzonti più sereni e benefici di convivenza veramente umana.
A volte anche l’asino più indolente come me, molestato da un tafano, fa quattro passi, discutibili e incerti quanto si vuole, eppur si muove… grazie anche a te, Alfio.
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Grazie ancora Salvatore per il tuo analitico ed esaustivo commento al tema in questione.
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