Alfio Pelleriti

Paolo Nori, come ci ricorda spesso all’interno del suo libro, è laureato in lingua e letteratura russa, scrittore, traduttore e professore dal 2018 all’Università IULM di Milano dove tiene un corso di traduzione editoriale. Balzato agli onori della cronaca nel marzo del 2022, quando fu bloccato il suo corso su Dostoevskij.
Avendo letto I fratelli Karamazov e Delitto e castigo e avendo apprezzato i due capolavori, ho deciso di approfondire la vita di Dostoevskij comprando “Sanguina ancora”, sottotitolo, L’incredibile vita di Fedor Dostoevskij. Mi sono accorto subito che non avrei trovato nulla di più sulla vita dello scrittore russo di quanto non avessi già letto nelle introduzioni ai romanzi o nei saggi dell’inarrivabile Pietro Citati.
Tutto il resto l’ho trovato stucchevole e inappropriato rispetto allo scopo del lavoro. Già dopo le prime 50 pagine si ha difficoltà a definirlo: saggio, cronaca, diario!? Non certo “romanzo” come lo definisce l’autore. La parola che si fa strada invece è “nulla”. Si avverte la sensazione di andare avanti nella lettura avendo a che fare con il “nulla”, presentato però con quell’ironia algida da intellettuale salottiero che a un siciliano, nipotino di Brancati, non fa affatto sorridere.
Annuncia l’autore che il suo scritto vorrebbe essere una biografia “non-biografia” di Dostoevskij. L’assunto cioè è quello di scrivere con originalità dando l’impressione di avere la virtù dell’umiltà, ma in realtà, inserendo in questa sua “cosa” centinaia di nomi di scrittori, giornalisti russi insieme a note autobiografiche con bislacchi parallelismi tra le sue caratteristiche personologiche e quelle di Dostoevskij.
Man mano che mi inoltro nella lettura, viene naturale pensare a certo cinema italiano di tante pretese che non mi ha mai convinto, nonostante i tanti applausi ricevuti dai cinefili nostrani che, vestiti i panni di intellettuali organici, si schierano “a prescindere” con il loro “capitano. Tra questi il più venerato è Nanni Moretti: regista, attore, sceneggiatore, critico, abile a stigmatizzare i segretari politici del PDS, poi PD. (Fai o dici qualcosa di Sinistra!). Paolo Nori, ecco, mi fa pensare a chi si mette in posa credendo che già possa far fremere gli astanti, così come facevamo, noi ventenni degli anni Settanta, mostrando le nostre scelte minimaliste: l’eschimo, meglio se liso e un poco sporco; a tracolla lo zaino grigio di tela grezza con il pacchetto di “nazionali – esportazione”, e la scatola di cerini o di minerva nella tasca della camicia a quadri.

La scelta di Nori per confezionare il suo lavoro consiste nell’inserire gli elementi più importanti della biografia del romanziere russo in un frullatore, insieme ad elementi “altri” e lontani, e poi, cercando di non ricavarne un pasticcio informe e indigeribile, aggiunge “acqua” in abbondanza, cioè citazioni e brani interi tratti da varie fonti. Ecco, se ne ricava, con tale procedimento, una biografia annacquata. Quasi a sottolineare tale andamento schizofrenico, il lavoro è diviso in capitoli che a loro volta si compongono di piccoli paragrafi che hanno un loro titolo, quasi sempre disatteso nel testo.
Penso che quel che un docente dovrebbe evitare sempre di esternare all’indirizzo di un suo incolpevole alunno è di dirgli con atteggiamento ieratico che lo trova bravo, sempre attento, anzi è l’alunno più bravo, il più capace, un vero genio. Tali giudizi avventati marchieranno il povero bambino o ragazzo o giovane liceale per sempre, poiché soffrirà, in età matura, della sindrome del “primo della classe”. Da quel momento il malcapitato si convincerà che egli sia diverso dagli altri in meglio, perché più intelligente, più intuitivo e perspicace, più avveduto nei giudizi. Il poveretto comincerà a filtrare gli elementi esterni attraverso un Ego mostruosamente grande che gli toglierà ogni senso della misura e scomparirà in lui la capacità dell’ironia e soprattutto dell’autoironia, dandosi a battute sconvenienti e fuori contesto. Sì, una brutta bestia la sindrome del “primo della classe” che ti porterà a sgomitare, a diventare stratega sopraffino in politica; e il Clausewitz del tatticismo cambierà casacca facilmente poiché egli, come l’”oltre-uomo” di Nietzsche, è al di là del bene e del male; cita a memoria; conosce tre lingue, ma non ha capito nulla della vita, della sua essenza, della sublimità della natura che si coglie soprattutto in ciò che è semplice. Ora, Paolo Nori mi sembra soffri di tale sindrome poiché si diverte a fare il giocoliere con le sue tante palle colorate, facendole volteggiare per meravigliare gli spettatori. Lui, al posto delle palle, ha Dostoevskij, Gogol’, Balzac, e molti altri scrittori che butta lì in mezzo, non sempre a proposito.
Il montaggio di questo “non-romanzo” segue dunque uno schizofrenico andamento per cui si passa da una presentazione della moglie di Dostoevskij a Puskin, a un componimento con quartine a rima alternate del poeta Ernesto Ragazzoni, per poi passare a delle note autobiografiche di vita familiare con la figlia e la moglie e alle sue esperienze didattiche nei corsi che tiene a Milano.
Mi chiedo se quella che ho davanti sia una scrittura sperimentale o un gioco di “non-sense” mal riuscito oppure è una trasgressione linguistica voluta con volontà futuristica di annullare regole, tradizione, buon senso. Così si esprime il professore: “Io mi vergogno anche a confessarlo, non ho mai capito se Il sosia esiste davvero oppure no. Non ci ho capito niente, in questo romanzo, mentre ‘L’uomo del sottosuolo ho l’impressione di averlo capito bene’.” (!!!)
Divagare è il taglio strategico dato a questo libro: una due pagine su Dostoevskij e poi 10 pagine sul Circolo Petrasevskij dove abbondano sempre le citazioni e altre sul poeta Maikov, e riferimenti a Fourier e a Proudhon, e poi sui personaggi “marginali” dei racconti russi: “Un mio amico russo una volta mi ha detto che a me piacevano i marginali, e io, ci ho pensato, mi sono accorto che aveva ragione, a me piacevano i marginali, ma non per niente, per qualcosa.”[1]
Sebbene Nori non perda occasione di esprimere tutto il suo apprezzamento per la letteratura russa, tuttavia all’interno della produzione letteraria ha le sue preferenze, ed esclude dunque scrittori come Svetana Aleksievic e Vasilj Grossmann, che non ritiene fondamentali. E, preso da spirito iconoclasta, più avanti osa di più e sentenzia contro la filosofia e sulla sua non rilevanza nella formazione dei giovani. Lancia i suoi strali su uno dei pensatori più illustri della cultura occidentale contemporanea, Walter Benjamin che ispirerà filosofi del calibro di Adorno, di Marcuse, di Anna Arendt, ma lui, Nori, non lo ritiene fondamentale e, senza alcuna remora o timori referenziali, aggiunge: “quell’altro là che aveva inventato l’ermeneutica, quello che tutti dicevano che aveva scritto delle opere fondamentali nel campo dell’interpretazione, come si chiamava, Gadamer? Mai letto una riga di Gadamer. Ma mica solo di Gadamer, anche quell’altro, quel filosofo che tutti dicevano che era il filosofo fondamentale del Novecento, quello tedesco, come si chiama, coso lì, Heidegger.”[2] Heidegger, “coso”!? Ma come si possono fare codeste affermazioni se non si è un “Pierino, primo della classe”? non ho mai incontrato siffatte espressioni se non esternate da palloni gonfiati che si nutrono presso lo stesso orticello ignorando quali pascoli vi siano nelle estese praterie del sapere. E lo stesso registro adopera con Freud. Non li degna d’attenzione questi monumenti della cultura mondiale perché “li leggono tutti, cioè sono alla moda.” E perché non aggiungere alla lista nera anche Kant ed Hegel! Sono filosofi, sono tedeschi, hanno innumeri lettori? E Schopenhauer e Sartre e i tanti altri che sono sempre alla moda nei corsi di filosofia negli atenei di tutto il mondo e in tutti i licei che si rispettino? E chiude il suo astio contro la filosofia sibilando grifagno:
“Proviamo a chiederci cosa interessa alla società in cui vive Claudio di Carpi o di Mirandola, è lo stesso, che cosa interessa alla società che Claudio troverà il mattino dopo la sua laurea (in filosofia), quando esce di casa, oltre la soglia del suo appartamento, che cosa interessa, a questa società della ‘Città del Sole’ di Campanella, o dell’Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico’ di Spinoza.” Tali pazzesche parole che nemmeno Goebbels avrebbe osato pronunciare in uno dei suoi velenosi e violenti discorsi sulla nuova visione politica del nazismo, sorprendono e annichiliscono.
A metà del libro Nori cincischia ancora con i suoi corsi alla IULM di Milano e con le sue esercitazioni con gli studenti, con Gogol’ (paginate sulla corrispondenza con Belinskij), suo scrittore preferito; poi passa ad Anna Karenina e poi a Leskov e Origene.
Su Paolo Nori traduttore lascio il giudizio ai lettori di questa mia recensione proponendo un passaggio del suo “non-libro”: “Nel 1864 viene pubblicato ‘Memorie del sottosuolo’ che comincia così (traduzione di Nori che, dice, vuole fare emergere il carattere del protagonista): ‘Io sono un uomo malato…un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di essere malato di fegato. Però non capisco una mazza, della mia malattia… No, ve’, (anche a San Pietroburgo come in Romagna intercalano con il ve’!?) io non voglio curarmi per cattiveria…”[3]

A 30 pagine dalla fine, pur avendo titolato in precedenza il capitolo “Delitto e castigo e aver parlato invece della sua telefonata con Pennacchi e poi del finale di “Padri e figli” di Turgenev (pp. 225/226) Nori ancora divaga. Ma quando si decide di entrare in argomento ecco la sorpresa: dedica due pagine al dialogo tra Raskol’nikov e Porfiry, l’investigatore, allo scopo di dimostrare che quest’ultimo procede nell’indagine sul delitto dell’usuraia come Il tenente Colombo nella celebre serie televisiva. Seguono paginate con brani tratti dal Giocatore, nel capitolo dedicato all’Idiota naturalmente, poiché questa è la peculiarità della sua scrittura: spostare in avanti la questione in oggetto prendendo continuamente per le tangenti. Allora mi rendo conto che di Armando Verdiglione, direttore della rivista “Spirali” negli anni ’70 del Novecento, ce ne sono ancora molti in giro, i quali, vestiti i panni di grandi scrittori di romanzi, confusi e incomprensibili, vogliono dare l’idea di essere geniali o peggio grandi critici.
Infine, non posso non comunicare il mio sconcerto leggendo le ultime pagine dedicate all’Adolescente di cui propongo questa chicca: “una confusione, un’agitazione, io non ci ho capito niente, nell’Adolescente, che, non lo metto in dubbio, sarò io, ma secondo me era lui, che era troppo sereno; non va bene, scrivere, se sei sereno. Sei sereno? Vai a fare un giro. Vai a fare una passeggiata. Vai al mercato, dai tuoi bottegai, ma scrivere devi star male, per scrivere, se stai bene ti vengono fuori delle cose che, oh, sarò io, ma io non ci capisco niente dell’Adolescente.” Capito Fedor Dostoevskij? Hai capito? Non scrivere se sei sereno! Vai a fare una passeggiata!!
Finalmente giunto alla fine di questo strampalato “romanzo”, devo dire di non aver mai letto ciarpame di tal fatta. Non so se venderlo su ebay col risultato di fare del male, facendo circolare un “virus” che potrebbe portare ad una società imbarbarita e distopica dove la realtà viene ribaltata come in quella del “Grande Fratello”; e poi, non vorrei trarre profitto dalla vendita di un prodotto inutile e ingombrante, commettendo un’azione biasimevole. Dunque opterò per la pubblicazione di questa mia lunga sentenza di condanna senza appello di questo professore, accademico, traduttore, scrittore, animatore di corsi di scrittura, che pubblica “non-libri”, “non-romanzi” credendosi un intellettuale messianico.
[1] Paolo Nori, Sanguina ancora, Mondadori editore, Milano 2021, pag. 95
[2] Ibidem, pag. 95
[3] Ibidem, pag.200