Alfio Pelleriti
Il movimento civico “Biancavilla che vogliamo” ha organizzato un convegno sul tema “Scuola e cultura: quale spazio e quale futuro nel nostro territorio?” tenutosi oggi, 12 novembre 2022, alle ore 18,00 presso il Piccolo seminario “Mons. Carmelo Maglia”. All’incontro sono stati presenti dirigenti scolastici, docenti delle scuole di ogni ordine e grado di Biancavilla, il prevosto don Pino Salerno, l’assessore alla P.I. del Comune di Biancavilla. Moderatore il dott. Vincenzo Vinciguerra che ha anche introdotto i lavori. Numerosi e interessanti gli interventi. Tra gli altri segnalo quello del dr. Carmelo Pappalardo, dirigente Area Terza Missione Universitaria di Catania, che ha trattato il tema “Orientamento Universitario e Occupabilità dei Giovani nel nostro territorio, nel quale ha evidenziato la mancanza a Biancavilla di un istituto tecnico ad indirizzo elettronico che potrebbe formare i nostri giovani che alla fine del percorso formativo sarebbero subito assorbiti da aziende operanti nel nostro territorio. La mancanza di offerte di tali profili professionali va anche ricercata, ha aggiunto Pappalardo, nel mancato orientamento nelle scelte di indirizzo scolastico dopo la licenza della scuola secondaria inferiore e dalle scelte “obbligate” dei ragazzi spinti da un forte pregiudizio negativo nei confronti degli istituti tecnici, ai quali si preferiscono i licei e poi le scelte universitarie rivolte in massa verso la facoltà di medicina e chirurgia o di scienze infermieristiche, anziché verso quelle tecnico- scientifiche.

Si propone qui il mio intervento sul valore della cultura.
…Vorrei iniziare questa mia riflessione dalla parola “merito” che, dall’insediamento del nuovo governo con il discorso alla Camera del Presidente del Consiglio, onorevole Giorgia Meloni, è stata inserita nella denominazione del ministero della Pubblica Istruzione. Il termine “merito”, dalla connotazione complessa e dalle tante accezioni riferibili a molteplici contesti, ha suscitato critiche, precisazioni, polemiche, dibattiti, minacciosi proclami, contestazioni. Io ritengo non ci sia nulla da temere o niente per cui ci si debba scandalizzare per l’uso di tale termine. Del resto come si fa ad insegnare, educare, formare delle personalità armonicamente strutturate, senza fare riferimento al merito di ciascun alunno? Ma intendiamoci sul termine. La scuola deve considerare il merito una variabile importante ma non unica della valutazione e nella formulazione dei giudizi sugli alunni. Se fosse, il merito, l’unico dato da tenere in considerazione nel momento valutativo, allora significherebbe tornare indietro almeno di 60 anni o più. Si tornerebbe ad un sistema selettivo, classista, autoritario. Il termine “merito” lo si deve usare con rispetto, con umiltà, con amore, oserei dire, e comunque in maniera non unidirezionale. Il merito cioè non riguarda unicamente il discente che dovrà dimostrare all’esame o nelle interrogazioni che merita quel voto, basso o alto che sia, la promozione o la bocciatura. I docenti dovrebbero più spesso dire a se stessi: “quel ragazzo che manifesta tante difficoltà nell’apprendimento o nell’espressione scritta o orale, merita la mia attenzione, merita la mia vicinanza e la mia comprensione; quel ragazzo è sempre impreparato, non studia… allora merita di essere seguito programmando specifici interventi; quella ragazza non mi rispetta, usa parole sconvenienti… allora merita attenzione, perché io possa capire perché si comporta in maniera così trasgressiva.”
Un dirigente scolastico dovrebbe scolpirla quella parola in un luogo bene in vista del suo ufficio poiché, quando convoca il Collegio dei Docenti e ha davanti quegli insegnanti che hanno la pesante responsabilità di educare bambini, ragazzi, giovani, trasmettendo loro conoscenze, abilità permanenti e trasversali, convinzioni morali, riferimenti ad ideali civici e a valori etici, allora quei dirigenti non possono non dire a se stessi: “questi miei insegnanti meritano tutto il mio impegno, la mia costante presenza, ma anche il mio rigore nel pretendere da loro il rispetto degli obblighi professionali e delle deliberazioni indicate dagli organi collegiali.”
Certamente, in ultimo, ma non ultimo per importanza, il merito riferito ai risultati. Ogni ragazzo darà tutto quello che potrà dimostrare in relazione alla sua situazione di partenza e il voto dunque sarà calibrato su di essa e su quanto effettivamente ha dimostrato di sapere. Sarà un voto né stretto né largo ma giusto, tenendo conto che voler bene agli alunni significa valutarli con giustizia senza regalare loro nulla. Quanti colleghi ho conosciuto che, proporzionalmente all’insipienza e alla superficialità del loro impegno, elargivano voti alti, li “regalavano” dicevano, ma non per generosità o affetto, ma per disgusto, per togliere importanza alla nobile professione dell’insegnamento. Don Milani amava i suoi alunni e per questo li puniva quando sbagliavano; si arrabbiava e li sgridava, non era sdolcinato, né voleva conquistare la loro simpatia “regalando” loro qualcosa se non il suo impegno. Quei suoi alunni, sporchi e ignoranti, meritavano la sua dedizione totale e gli elogi li esternava ai meritevoli, agli altri dava il rimprovero fino a che anche questi ultimi non si fossero messi sulla giusta strada. Insomma, per loro era come un padre e amava quei suoi “figli” e quel suo affetto, allora come oggi, a Barbiana come a Biancavilla o in qualsiasi altro posto, è il segreto per ottenere risultati esercitando questa professione.
Il merito, dunque, non dovrebbe far pensare ad una scuola come lo era ai tempi della mia fanciullezza e della mia adolescenza: autoritaria, ingiusta nella selezione, violenta con le punizioni corporali, esagerate, ingiustificate, utili solo a spingere all’abbandono scolastico, responsabili della formazione di sindromi depressive e di senso di inferiorità che molti si sarebbero portati negli anni a venire. Gli alunni si schiaffeggiavano per ogni nonnulla, li si umiliava con esagerate punizioni (faccia al muro dietro la lavagna, derisione e sottolineatura degli errori accompagnate con espressioni offensive).
Credo che una buona scuola debba fissare le linee programmatiche per lo sviluppo socio-politico-culturale di una comunità. Soprattutto quando in quest’ultima si evidenziano delle criticità attinenti comportamenti che si presentano come ostativi al raggiungimento di obiettivi e finalità per la realizzazione di un’apprezzabile qualità della vita della comunità stessa.
Nonostante le continue denunzie e le esortazioni al rispetto delle regole inerenti i vari codici comportamentali, vi sono ancora tanti cittadini di Biancavilla che seguono ciò che detta loro il proprio istinto o il bisogno immediato, calpestando il diritto altrui e compromettendo il decoro dell’ambiente in cui vivono. Le trasgressioni sono abnormi e sotto gli occhi di tutti, ma ciò nonostante molti sono coloro che le accettano supinamente, che tacciono, fanno finta di non vedere e addirittura giustificano tali comportamenti annoverandoli come manifestazioni di “libertà”, di “sana allegria”, di comprensibile esuberanza giovanile, mentre le critiche a tali incivili comportamenti vengono apostrofate come “deliri” di menti invecchiate anzitempo. Bisogna intervenire invece per provare a riportare su giusti binari una visione della realtà distorta e lontana dal concetto di bene comune.
È evidente che sono tanti gli strumenti con cui affrontare il problema della mancanza di senso civico e di non osservanza di regole e codici, ma fondamentale è quello culturale e dell’educazione. Bisognerebbe evitare che nel nostro territorio i giovani vivano schiacciati nel loro presente senza le dimensioni del passato e del futuro, privi di modelli ideali.
E tuttavia l’approccio nell’affrontare il problema non può essere settoriale o demandato a una sola istituzione. Certo, immediatamente si pensa alla scuola che ha il compito di istruire bambini, ragazzi e giovani e di formare le loro coscienze etiche, ma essa da sola non potrebbe risolvere il problema. La strategia deve necessariamente prevedere un coinvolgimento di tutte le istituzioni comunitarie: famiglie, scuole di ogni ordine e grado, parrocchie, associazioni culturali e sportive. Così come previsto del resto dal PTOF (Piano triennale per l’offerta formativa – una volta si chiamava POF).
L’Ente pubblico si dovrebbe fare carico di promuovere campagne di sensibilizzazione alle singole problematiche con investimenti economici importanti (manifesti, video, incontri con esperti, conferenze di quartiere, concorsi a premi, rassegne teatrali, cineforum, festival del cortometraggio, manifestazioni letterarie, musicali, pittoriche e artistiche di qualità). Se ciascuna agenzia formativa continua ad agire autonomamente, senza mettere in campo una strategia comune, allora la situazione di imbarbarimento della nostra società è scontata e peggiorerà nel tempo. L’autonomia scolastica ha creato “monadi senza finestre”, con conseguente autoreferenzialità e dunque inefficacia degli interventi per incidere sulla mentalità dominante e sui comportamenti.
La scuola deve svolgere un ruolo importante, centrale, data la sua missione principale che tende alla creazione di coscienze civiche mature e appassionate alla difesa del diritto ad una vita qualitativamente accettabile se non proprio elevata. Essa, fin dai primi gradi di istruzione, dovrebbe sentirsi coinvolta mettendo in campo tutte le sue risorse per far sì che la comunità biancavillese, in tutte le fasce d’età, si misuri con i fatti culturali che da sempre attengono il Vero, il Bello, il Giusto. Questi tre termini non sono semplici riferimenti a residuali ricordi della mia esperienza di docente di filosofia al liceo Verga, ma sono i valori fondamentali su cui si gioca la qualità della vita di ciascun individuo e che perciò i docenti dovrebbero mettere innanzi al loro sguardo ogni volta che organizzano i loro piani di intervento didattici ed educativi. La ricerca del vero e la conoscenza darà sapienza ai discenti, che da sola però non basta, poiché dovrà diventare saggezza, cioè virtù. Da cui discende la fortezza, che naturalmente non è quella fisica, muscolare, ma quella che abitua alla resilienza anche nei momenti difficili, di sconforto, di disillusione. La saggezza e la fortezza daranno ai giovani la virtù della temperanza, cioè del sapere valutare senza affidarsi all’istinto o agli impulsi passionali; infine la giustizia, ideale sommo laico e religioso insieme, a cui fin da bambini i nostri alunni si dovrebbero educare con interventi sentiti, convinti e appassionati dei docenti. Sono le quattro virtù cardinali alla base del messaggio evangelico, ma anche del sentire liberale e democratico di un autentico Stato laico.
Occorre che la scuola diventi un’istituzione seria, efficiente; occorre che i docenti si aggiornino periodicamente e che il loro operato venga vagliato dai dirigenti o da ispettori, uscendo finalmente da un appiattimento che esclude l’avanzamento in carriera per merito didattico. È necessario essere giusti nella valutazione, avendo il coraggio di fermare i ragazzi che non si sono impegnati nello studio. Infine occorrerebbe vigilare sullo svolgimento dei contenuti previsti dalla normativa vigente. Da presidente agli esami di Stato o da commissario, ho potuto constatare che nella nostra provincia i programmi di letteratura italiana, di storia, di filosofia sono ancora uguali a quelli dell’anno 1970/71, quando affrontai io la maturità. Il Novecento in tutti i suoi aspetti storici, sociali, artistici, filosofici, i grandi temi legati alla difesa ambientale, alla bioetica, alle nuove tecnologie, le problematiche legate alla globalizzazione vengono disattesi in tantissime realtà scolastiche nostrane, e se non si danno le necessarie conoscenze agli alunni non si può poi pretendere che facciano scelte sagge e adottino comportamenti corretti.
E’ mancata una visione strategica di lungo periodo sulla scuola e sull’università; sono mancate le indispensabili risorse per la ricerca e per innovazioni davvero importanti e ben studiate per mettere in rapporto la scuola al mondo del lavoro, senza far piovere le solite riforme che nascono azzoppate, destinate a far perdere tempo prezioso, inconcludenti nella sostanza. Credo che bisognerebbe indicare sempre agli alunni che cos’è il Bene, come lo si pratica e come si può arrivare alla piena realizzazione del proprio progetto di vita, cercando di mettere in pratica i valori etici di riferimento; bisognerebbe uscire dall’astrattezza delle formule e dalle secche delle conoscenze in quanto tali, lasciate cioè in un limbo, neutrali, svincolate dal presente storico.