Alfio Pelleriti
Occorre rallentare i ritmi e andar piano,
chiudere gli occhi e assaporare il buio
e allontanare ciò ch’è consueto:
gli oggetti che ami più della tua mano.
Non pensare a quel tizio che incontri al bar ogni mattina,
che rassicura e ti distrae,
che ti fa star bene e ti presti
al suo gioco volgare e ridi forte,
e ti illudi così d’ingannare tempo e sorte.
Ssss…!
Serve un ritmo lento, rilassante.
Respira piano, rimani solo,
al buio

e aspetta, non avere fretta.
Vedrai che poco a poco,
se il cuore tuo regge la prova,
verrà una luce,
calda piccolina,
giusta per percepire un volto,
vago, avvolto da una nebbiolina,
là nel fondo e poi,
pian piano, s’avvicina
ed ecco, ora appare chiaro: è il tuo.
Tu vedi te stesso come fossi un altro
e certo sei meravigliato,
perché non t’osservi
come davanti allo specchio la mattina,
quando non guardi te,
se ci rifletti un po’,
ma passi in rassegna le sezioni staccate del tuo volto.
Pensaci!
Ora non ti serve alcuna luce.
Resta così, con quella candelina,
e taci, rifletti.
Sss…!
Ecco cosa fai davanti allo specchio ogni mattina:
esamini, intanto, i tuoi capelli:
davanti, ai lati, fai una stima attenta
di quelli diventati bianchi,
passi la mano per avvertir la densità
e poi passi agli occhi
che ti paiono stanchi e senza luce
e ai lati noti tutte quelle rughe
che dicono che sei entrato nella terza età.
Ansimi ora mentre continui la discesa
fino al naso e lì ti fermi con sorpresa
e premi sull’altro interruttore,
perchè ti serve luce:
una ruga che ti dà un’aria truce
scende decisa dal naso fino al labbro,
profonda come un canalone.
Peccato! Ciò ch’era liscio ora è scabro!
E il naso? sembra unito con il labbro!
Non ha più armonia, lucido di grasso.
Qui conviene cambiar passo,
curarlo ogni mattina con un prodotto adatto.

E scendi ancora fino alla bocca:
labbra sottili e inconsistenti al tatto,
ormai altra cosa da quelle giovanili
rosee come un’albicocca.
Infine scendi al mento,
anzi al doppio e al triplo mento,
al collo flaccido che invano tiri su,
e il gesto s’accompagna ad un lamento.
La pelle s’adagia a strati,
a formare una serie di calanchi.
E dici a te stesso che i problemi sono tanti,
non solo quei quattro peli bianchi.
Spegni la luce, è meglio il buio,
poi riaccendi,
Ora il tuo volto hai scorto. Sì, è il tuo.
E ripensi ai tuoi anni che sembrano volati!
Coi pantaloni corti sedevi nel tuo banco,
lì vicino al muro, sembra ieri,
eri alunno delle elementari.
E poi fai un salto ed hai vent’anni
con eroici furori e portamenti fieri;
e ad ogni ragazza volevi far la corte.
Ricordi? Ti sentivi forte!
E affrontavi gli esami come eroe ardito,
perché sapevi tutto a menadito.
Ricordi che luce ti splendeva intorno?
E ridevi, cantavi, tu con i tuoi amici.
Eravate con pochi soldi in tasca
e vestiti con la stessa giacca.
Ma sempre insieme come dei pulcini
e in inverno si stava più vicini:
si andava al cinema e s’aspettava il buio.
Sei ancor tu quello o un altro sei?
I sessanta già da tempo hai superato
e non lavori più, sei pensionato.

Non fai parte più dell’ingranaggio,
ma non hai più ansia e batticuore.
Hai lavorato sodo e con coraggio
Senza accettare mai di fare il paggio.
E prima di sentirti chiamare professore
hai fatto il cameriere, fino a notte fonda,
e poi girando per Torino, il venditore.
I clienti erano i tuoi soli amici
Visitavi ferramenta e colorifici:
carta seppia 3M, anilina, pennelli,
e della San Marco tutte le vernici.
Ero rappresentante del signor Vignale,
rispettato alquanto nella città regale.
Mica l’ultimo arrivato!
Era stancante quella vita da neolaureato!
Ed eri di nuovo pronto la mattina,
facevi piano, era ancora buio,
per non svegliar la piccolina.
E poi tornasti qui nella provincia
per fare il contrario di quegli ideali
che nel Settanta ti mettevano le ali:
la libertà, le contestazioni
delle ottuse convenzioni,
di pregiudizi ancestrali
di chi temeva i diritti liberali;
le lotte per la giustizia e l’uguaglianza,
l’impegno con coerenza e ad oltranza.
Coltivasti i sogni della borghesia.
Si spegneva in te ogni luce
precipitando lungo una scia
che portava a un buio truce:

rumori, lampade accese e variopinte,
chiacchiericcio volgare, vane attività,
discorsi vuoti un’insensata inanità.
Era il buio spesso della vanità.
Vivere senza mai parlare in libertà,
apprezzare chi ruba non l’onestà,
deridere la lealtà e la cortesia
e andare fieri della propria ipocrisia.
Il cuore invaso dalla gelosia,
l’invidia diventa il suo reggitore.
Non si sopporta chi parla d’amore,
chi parla di Cristo senza che sia prete.
Ora in questo nuovo secolo,
un virus ci costringe tutti a casa
e ognuno sta dentro il suo tempo,
fa il punto sulla vita che ha passato
sperando che tornerà la luce.
Quella fioca, calda,
che colga nel volto vellutato,
rugoso o impallidito,
una luce intensa e forte
che accenderà un sorriso,
quello di un’anima che ha scoperto
il senso profondo del vivere nel mondo.
Gennaio 2020