Alfio Pelleriti
Introduzione:
Robert Musil nasce a Klagenfurt nel 1880 e morirà a Ginevra nel 1942. Visse gli anni della prima formazione in Austria e in Boemia presso collegi e accademie militari. Studiò ingegneria meccanica a Brno e frequentò l’accademia militare a Vienna per uscirne come ufficiale d’artiglieria. Lasciò, tuttavia, anzitempo il corso per scegliere la professione di ingegnere. Studiò filosofia e psicologia, fisica e matematica, avvicinandosi alle analisi di Nietzsche, di Emerson, di Freud e di Jung e lesse con interesse la produzione letteraria di D’annunzio.

Nel 1908 si laureò in filosofia con una tesi su Ernst Mach. Nel 1911 sposò Martha Marcovaldi, di origini ebraiche, a Berlino, dove intanto lavorava come bibliotecario, e collaborava a delle riviste dando spazio alla sua passione per la letteratura e per la scrittura. In quegli anni cominciò a pubblicare raccolte di novelle e romanzi brevi, e ancora di più dopo l’esperienza della prima guerra mondiale che lo vide combattere come ufficiale sul fronte italiano in Trentino.
Nel 1929 comincio a lavorare a “L’uomo senza qualità”, il romanzo che lo vedrà impegnato lungo tutto il corso della sua vita. I primi due volumi verranno pubblicati rispettivamente nel 1930 e nel 1933 a Berlino. Il terzo volume non riuscirà a terminarlo e sarà pubblicato postumo un anno dopo la sua morte, avvenuta a Ginevra nel 1942, lì dove si era trasferito dopo la promulgazione a Norimberga delle leggi razziali antiebraiche naziste del 1935.
Il romanzo è ambientato nella Vienna imperiale degli inizi del XX secolo, proprio quando l’impero austro – ungarico cominciava a mostrare segni di decadenza e tendenze entropiche nazionalistiche. E su un progetto di riscatto culturale, premessa ad una rigenerazione politica ed economica dell’Impero austro-ungarico, si muove la trama del romanzo. Tale finalità sta alla base dell’organizzazione “Azione Parallela” le cui riunioni si tengono nel salotto alla moda del funzionario pubblico Tozzi, animato dalla moglie Diotima, donna avvenente e affascinante, con la quale si misurano le “resistenze” sentimentali di Ulrich, il protagonista, di Arheim, ricco industriale, di Stumm, generale in forte crisi d’identità, in cerca di ricollocamento al di fuori del contesto militare.
È un romanzo vasto che consta di oltre duemila pagine, che assume spesso i canoni del trattato filosofico o del saggio psicologico. Numerosi sono i richiami alla filosofia di Nietzsche in particolare, da annoverare nell’alveo del decadentismo che caratterizza il passaggio tra i secoli XIX e XX, segnato dalla tragica esperienza della prima guerra mondiale che avrà come una delle conseguenze proprio il dissolvimento dell’Impero austriaco e che preparerà all’avvento del nazismo tedesco che fagociterà (Anschluss del 1938) la già critica realtà politico territoriale austriaca.
“L’uomo senza qualità”, dunque, come “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust e come l’”Ulisse” di James Joice, partecipa alla dissoluzione delle certezze della cultura neoclassica e romantica, ponendosi innanzi non valori alternativi, ma l’azzeramento delle idealità, per scavare nelle pieghe più profonde del soggetto; per approdare all’angoscia esistenziale kierkegaardiana; all’eroismo senza riferimenti etici o sbocchi razionalistici dell’”eterno ritorno” nicciano e al suo “amor fati” superomistico. Del resto, Musil aveva maturato un punto di vista relativistico in campo scientifico e di scetticismo in filosofia, condizionato appunto dal sistema di Nietzsche e del suo “oltreuomo”. Maturerà, altresì, la convinzione che l’individuo non ha come riferimento una totalità cui come entità singola appartiene, ma ogni essere è “atomo” e dunque, sarebbe velleitario ricondurre la propria vita all’interno di un sistema politico – ideologico, religioso, filosofico, etico. Tale suo convincimento appariva chiaro già nel suo primo romanzo, del 1906, “I turbamenti del giovane Torless”, in cui i temi della crisi esistenziale e gnoseologica erano già segnati per continuarne l’approfondimento nell’opera principale.
Il romanzo
L’uomo senza qualità, di Robert Musil, considerato uno dei capolavori di tutti i tempi, si articola secondo il progetto dell’autore in tre parti. La terza parte non sarà completata. Musil apre il ponderoso ma interessante romanzo con una distinzione fondamentale tra senso della realtà e senso della possibilità. E tale distinzione resterà sul fondo della narrazione come il letto di un fiume sul quale scorrono le vicende dei personaggi che si muovono non tanto spinti da cause e determinazioni della loro vita concreta quanto piuttosto dalla necessità di programmare o rimodulare la propria esistenza dopo aver messo in discussione i principi ritenuti normali nel loro contesto storico. Tale nebulosa atmosfera circonda il salotto dove si riuniscono i personaggi principali del romanzo e il protagonista, Ulrich, che rivelano caratteristiche personologiche molto fluide di cui il lettore scopre sempre nuove pieghe, curiose tendenze, segrete pulsioni. E si muovono come fossero sulla scena di un teatro di prosa, tutti sul palcoscenico ma lontani dalla ribalta poiché nessuno ha un finale pronto, né c’è un regista che li guida, sono all’incirca come i personaggi in cerca d’autore, ognuno con un peso che grava sul cuore e che confonde la mente, impedendo ad ognuno la propria realizzazione.

I personaggi: Ulrich, il protagonista; Arnheim, l’intellettuale, ricco, potente e amorale;
Capodivisione Turri, diplomatico e ingranaggio importante dell’amministrazione pubblica; Diotima, la sua avvenente e intraprendente moglie, animatrice di un salotto politico e culturale che pretende avviare processi rivoluzionari per l’intera comunità nazionale; Rachel, giovane cameriera, innocente e genuina nel comportamento, votata istintivamente alla pratica del bene; Moosbrugger, assassino di prostitute condannato a morte ma diventato caso giudiziario in quanto si avanza l’incapacità di intendere e di volere nel momento in cui metteva in atto i crimini efferati; Walter e Clarisse, amici di Ulrich; Soliman, il “negretto”, cameriere e figlio adottivo di Arnheim; Sua Signoria, il conte di Deinsdorf.
Procedendo nella lettura sempre più è cresciuta la mia ammirazione per l’autore poiché spesso mi ritrovavo a rileggere le pagine per la straordinaria capacità narrativa, per la sapienza con cui Musil dosa sapere storico e riflessione filosofica, per la freschezza delle sue considerazioni sull’uomo, sulle generazioni che si inseguono nei decenni e che si involano con i loro turbinii di scoperte, di guerre, di repressioni, di carestie, di epidemie. E allora mi sono chiesto, scoprendo troppo tardi capolavori come questo romanzo, quale visione didattica e formativa vige nella nostra scuola se agli studenti medi e universitari si propongono le solite cavalcate attraverso i secoli sintetizzando più o meno bene caratteristiche delle correnti artistiche, stile e pensiero dei classici e di qualche autore nazionale, senza attingere alle opere che vengono colpevolmente tralasciate.
E gli insegnanti di lettere, formati in siffatta maniera, con l’approccio formale e accademico, con l’abitudine “sacra” della chiosa e del commentino finale, continuano questa tiritera che lascia in zone d’ombra autentici capolavori.
Da notare che Musil, almeno su di me, opera nel modo tipico del maestro che giganteggia sul discepolo, del caposcuola col nuovo adepto che deve ancora iniziarsi ai misteri del pensiero e della visione dei paradigmi del maestro. Insomma, mi sembra perfetto nel mettere insieme nella struttura narrativa ritmi dell’azione, esame e critica del contesto socio-economico e culturale del suo tempo; analisi psicologica dei personaggi, sottile ironia nei giudizi sugli stessi, eleganza non comune del lessico, insieme a sapienza nella costruzione generale del discorso. Ecco, tutti questi elementi annichiliscono alquanto il lettore, tanto che in più d’una occasione, se attenuo la mia attenzione nel corso della lettura, devo poi riprenderla e rileggere perché assolutamente stregato dalla genialità dello scrittore, almeno quanto lo sono stato con Marcel Proust.
Ulrich protagonista fin dalle prime pagine del romanzo, si rivela, come annuncia il titolo, “uomo senza qualità”, ma non tanto perché manchi di particolari abilità o di conoscenze utili per farsi apprezzare in questo o quel campo, quanto piuttosto per non avere costanza e forza di volontà, per cui, alla prima difficoltà egli alza le mani arrendendosi e inventandosi qualche altro progetto in altro settore, dove egli stesso e gli altri possano apprezzarlo.
Tale caratteristica, tuttavia, non è solo Ulrich a mostrare, ma anche altri personaggi: uno di questi, ad esempio, è un suo amico d’infanzia, Walter, promettente pianista, geniale direttore d’orchestra, scrittore in nuce, amministratore d’azienda votato al successo. Ma in realtà fallimentare in tutti i campi in cui gli avevano fatto credere d’essere un sicuro talento. Ulrich lo invidia perché ha sposato Clarisse e tale sentimento negativo soverchia la lealtà di cui s’era sempre vantato nei confronti di quel rapporto “fraterno” risalente all’infanzia. Anche Clarisse possiede talenti e anche lei non sa come farli fruttare, né è riuscita a trovare la chiave giusta per instaurare un rapporto felice con il marito di cui aspetta invano il successo.
Poi a un certo punto della lettura, l’idea che faceva capolino tra una sequenza e l’altra è diventata sempre più presente, insistente direi, fino a diventare un’ipotesi interpretativa: Ulrich sono io che sto leggendo. Quest’uomo senza qualità in fondo rispecchia quella parte della personalità di ciascuno che non sta alle regole, che tende a prendere scorciatoie dettate dall’egoismo, dal desiderio narcisistico di porsi sempre in luce; quella parte ancestrale, barbarica, che si nutre di informazioni di cronaca nera: di assassini, di delitti insensati, orridi. Questo romanzo costruito con stile aristocratico e con intelligente ironia, sottende l’amara convinzione che l’uomo resta profondamente egoista pur aderendo a partiti, associazioni di volontariato e declama obiettivi altruistici perseguendo finalità familistiche. Musil, come Dostoevskij o Bulgakov, come Pirandello, coglie la drammaticità che prepara il nuovo secolo che si affida ai nazionalismi più radicali, permettendo alla parte più oscura dell’uomo di emergere.

Tra le pagine 200 e 206 lo stesso autore spiega le ragioni della scelta del suo stupendo romanzo. Ed è ancora stupefacente come Musil si muova con elegante apparente semplicità tra concetti filosofici che non hanno però la pesantezza del trattato ma la levità dei poeti autentici che appartengono alla complessità della ricerca ontologica e della relazione uomo-società. A Leopardi penso, a quel genio recanatese che, brillando come eccelso poeta, portò le osservazioni su se stesso, sugli uomini, sulla natura e sulla storia, sotto forma di creazione artistica, dunque, attraverso la categoria del Bello che arriva subito al cuore più che il Vero.
Poi all’improvviso, il Maestro (lo chiamerò così, come s’addice a un genio Musil, scrittore è poco per un tale gigante!) si dà alla descrizione di una coppia al pianoforte: sono Walter e Clarisse, di cui i ragionamenti, le considerazioni divengono essi stessi spettacolo, gioco linguistico, arte poetica, fuoco pirotecnico. Una meraviglia per descrivere la coppia che vive sentimenti opposti in quel frangente in cui riesce a dare un saggio musicale da cui emerge unica un’anima, un essere che con quattro mani e una sola mente fa vibrare d’intorno una musica che scuote, penetra, ottunde e trasforma il povero lettore.
Nei capitoli dedicati agli incontri per l’organizzazione della cosiddetta “Azione Parallela”, a cui partecipava da moderatrice Diotima (caso raro, essendo lei donna in una riunione politica, appannaggio in quel tempo di soli uomini), Musil racconta, passando nel suo racconto da riflessioni su piccoli particolari a quelle sulla storia dominata dalla razionalità o dal caos, con rimandi ora ad Hegel ora a Ficthe o a Schelling ora a Kant, e poi, con eleganza non comune, al comportamento dei cavalli da tiro del conte Arnheim o alla differenza qualitativa tra avvenimenti storici, ovvero direbbero gli storici degli Annales, sul concetto di “evenementielle” e di eventi di medio/lungo periodo. Il tutto trattato ed espresso con la solita eleganza stilistica, con la levità dell’ironia, con una aristocratica costruzione linguistica.
Leggendo questo capolavoro di Musil, prima o poi viene da pensare che il Maestro riesce a dire con estrema semplicità tutto ciò che le persone normali soltanto avvertono come un pensiero fugace di cui si riesce ad afferrare qualche luminescente particella. Così come al mattino, del sogno che si avverte essere stato particolarmente complesso e articolato in tante parti, se ne ricordano soltanto delle fuggevoli immagini, senza che l’impegno a rimetterne in piedi la struttura ottenga un minimo successo. E invece, a Musil riesce tutto ciò che a persone normali è difficile o impossibile. Certo riescono alcuni specialisti dei vari settori culturali: all’architetto, allo storico dell’arte, al fisico nucleare, al filosofo, al teologo, allo psicoanalista. In Musil coesistono tutte insieme tali specializzazioni e ne coglie egli, per ciascuna, l’essenza, ma con leggerezza, senza appesantimenti accademici, con l’eleganza e la semplicità dei geni fondatori di quelle discipline o dei Padri delle scuole. E infine, dopo aver dato saggio della sua portentosa capacità nell’analisi ontologica, porge la mano al lettore per mantenerlo in piedi e sulla giusta strada, concedendo una battuta umoristica, leggera come un batter di ciglia o un affondo salace su qualche suo personaggio che non gli sta simpatico, come Ulrich o Diotima, o Sua Signoria, il conte Deinsdorf.
E ora qualche esempio della sua straordinaria capacità narrativa e sul raro acume nell’analizzare la realtà umana:
Sull’uomo che vuole cercare la Verità:
“L’uomo avrà ancora un’anima quand’abbia imparato a capirla e a trattarla perfettamente sotto l’aspetto biologico e psicologico?… La conoscenza è un atteggiamento, una passione. Un atteggiamento illecito, in fondo, perché come la dipsomania, l’egotismo e la violenza anche la smania di sapere foggia un carattere che non è equilibrato. Non è vero che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore. Egli la subisce. Il vero è vero, e il fatto è reale senza curarsi di lei; egli ne ha soltanto la passione, è un dipsomane della realtà e questo foggia il suo carattere, e non gliene importa un fico secco che dalle sue scoperte venga fuori qualcosa di completo, di umano, di perfetto o di chicchessia. È una creatura piena di contraddizioni, passiva e tuttavia straordinariamente energica!”[1]
…
“Ulrich, sempre dotato di ottimi nervi, si addormentò tranquillo, abbandonandosi alle nebulose spirali della declinante coscienza, con la stessa delizia già provata oscuramente mentre veniva atterrato.”
Descrizioni superbe, adoperate per descrivere sensazioni e fatti quasi banali.
“Certi poeti non si sporcano con pensieri contemporanei, forniscono per così dire poesia pura e parlano ai loro fedeli un morto linguaggio di grandezza, come se fossero appena tornati dall’eternità per un breve soggiorno sulla terra, a modo di un uomo che da tre anni vive in America e al suo viaggio in patria parla già male la lingua del suo paese.”[2]
Citazione sull’uomo ricco e sulle sue qualità:
“Arnheim era persuaso che la ricchezza è una qualità di carattere. Tutti i ricchi la pensano così. E anche tutti i poveri. Il mondo intero, in fondo, ne è totalmente convinto. Solo la logica solleva qualche difficoltà, poiché sostiene che il possesso di denaro conferisce qualche qualità, ma non però mai divenire esso stesso una qualità umana. L’evidenza però lo smentisce. Non c’è naso che non fiuti il delicato odore di indipendenza, abitudine di comandare, abitudine di scegliere sempre il meglio per sé, leggero disprezzo degli altri e costante consapevole responsabilità di potere, che emana da un reddito alto e sicuro… Alla sua superficie il denaro circola come la linfa in un fiore; non esistono qualità acquisite, abitudini contratte, nulla è indiretto, nulla è ricevuto di seconda mano: distruggi il credito e il conto in banca, e l’uomo ricco non è soltanto senza denaro, ma dal giorno in cui l’ha compreso è un fiore avvizzito.”[3]
Alle pagine 270/277 un piccolo gioiello, una riflessione sull’anima in tutte le sue variabili, condotta con la solita eleganza e sapienza.
[1] Robert Musil, L’uomo senza qualità, Giulio Einaudi Editore, Torino 1957, pag.315
[2] Ibidem, pag. 553
[3] Ibidem, pagg. 567-568