Governo della città e coscienza morale

Alfio Pelleriti

Cosa potrebbe succedere se né saggezza né giustizia albergassero più nella coscienza morale degli individui di una comunità della nostra bella isola, i quali, con disinvoltura, pensassero a loro stessi e ad aumentare il loro tesoretto o a far carriera nel lavoro o a risolvere qualche problema per un loro familiare avendo le amicizie politiche giuste, piuttosto che pensare al bene comune?

Si affermerebbero certo comportamenti egoistici e atteggiamenti arroganti che ci farebbero precipitare sempre più in basso nelle classifiche che misurano la qualità della vita delle piccole e grandi comunità nazionali. Si sottolineerebbe sicuramente il poco senso civico e la mancanza di rispetto della legalità tra gli artigiani o gli esercenti che intascano i loro compensi senza emettere alcuna fattura; emergerebbe inevitabilmente l’avidità di certi imprenditori usi a ricattare i loro operai costringendoli a paghe da fame pena il licenziamento al minimo accenno di protesta, mentre impongono ai loro clienti aumenti nel costo dei servizi qualora insistano nella richiesta della fattura alla fine della prestazione; emergerebbe un disinvolto comportamento di gestori di bar, di panificatori, di meccanici, di parrucchieri, muratori, idraulici, elettricisti che rilasciano lo scontrino per incassi bassi, omettendoli quando l’incasso è elevato.

Biancavilla – Piazza Roma (foto Pelleriti)

E in tale immaginario contesto sociale ed economico tutti si renderebbero complici di tale malcostume, di tali gravi comportamenti incivili, egoistici, furfanteschi. Per timore di apparire pedanti o per non perdere “l’amicizia” o per non fare la figura del Savonarola o peggio dello “sbirro”, molti si presterebbero a diventare complici dell’evasore dal cuore peloso e dalla morale abortita e morta anzitempo. Girato l’angolo, tuttavia, quegli stessi che sono stati presi nel vortice dell’immoralità “allegra”, accompagnata cioè da una sagace battuta contro lo Stato mai sazio di incassare tasse sempre più alte, si faranno sentire con gli amici che discutono di politica sottolineando, magari, i mancati investimenti del governo in tema di realizzazione di infrastrutture, di sanità pubblica, dell’annoso problema della mancanza di assunzioni nell’ambito delle forze dell’ordine, della magistratura, dell’amministrazione pubblica, della sanità, della manutenzione delle strade e della prevenzione di disastri ambientali. “Dove sono i soldi che incassa lo Stato dai cittadini, vessati e vilipesi da leggi ingiuste!?” tuoneranno quegli stessi che le tasse le evadono, e faranno loro eco quegli altri che non hanno insistito per avere la fattura dopo una prestazione professionale o artigianale.

In questo paese immaginario della Sicilia orientale qualora né saggezza né giustizia albergassero più nella coscienza morale dei cittadini, sarebbero tutti pronti a tuonare contro lo Stato che non fornisce servizi adeguati, mentre intanto continuerebbero a pagare in contanti l’intervento del medico o del dentista o dell’idraulico. Essi, giustamente, si lamenterebbero per non essere collegati al continente con un ponte e per non avere efficienti collegamenti autostradali come nel resto d’Italia, ma non si indignerebbero affatto quando Salvini o Berlusconi auspicano ancora condoni per gli evasori e azzeramenti delle cartelle esattoriali o quando ironizzano schifati se Letta propone, “una tantum”, una tassazione sui redditi milionari.

Di questa spensierata comunità si dovrebbero denunziare i comportamenti incivili e arroganti in tema di rispetto delle regole, semplici e basilari per una convivenza tra persone normali: non sostare l’auto davanti all’ingresso dei garage di un condominio; non sostare l’auto sul marciapiede occupandolo interamente, non metterla l’auto in un incrocio ostacolando il regolare flusso dei veicoli; non sputacchiare per terra né buttare dal finestrino dell’auto il fazzoletto appena usato; non gridare come forsennati fino alle 4 del mattino spinti dall’alcool accumulato in una lunga serata al pub; e ancora le deiezioni dei cani, l’uso smodato dei clacson e degli stereo; i fuochi accesi per eliminare spazzatura lasciata nei campi o nelle strade di periferia. Di fronte a tale scempio uomini e donne, giovani e anziani, ignoranti e laureati, se difettassero di saggezza e di senso della giustizia farebbero finta che tutto va bene e se i marciapiedi sono occupati, pazienza, continuerebbero a camminare sulla strada, e farebbero finta che tutto sia normale: continuerebbero a conversare allegramente del Milan, della Ferrari, della guerra in Ucraina, degli immigrati diventati un vero “problema nazionale” e la vita scorrerebbe sempre uguale a se stessa. Solo il Savonarola di turno “un poco fissato e fuori di testa”, potrebbe continuare con le sue noiose accuse per il mancato controllo delle forze dell’ordine, per l’insufficiente attenzione prestata a tali problemi dalle agenzie formative, dalla scuola, alle parrocchie, alle associazioni culturali.

Ecco, se si giungesse in tale avito paese a comportamenti siffatti, tutti dovrebbero cominciare ad analizzare finalmente la propria dimensione morale chiedendo a se stessi se esiste contraddizione tra ciò che si afferma nella pubblica piazza e il proprio agire quotidiano, fatto di compromessi, di ipocrisie, di viltà. Bisognerebbe cominciare a pensare per valori quando ciascuno si propone obiettivi da raggiungere progettando la propria vita o quando si chiederà come educare i propri figli o i propri alunni. Dice Vito Mancuso nel suo interessantissimo ultimo libro, “La forza di essere migliori”: “Cominciamo a guardare alla giustizia come virtù, come abito interiore o attitudine di un essere umano; la giustizia che coincide con l’essere giusti, cioè retti, equi, onesti, integri, probi, miti, comprensivi, umani.”[1]


[1] Vito Mancuso, La forza di essere migliori, Garzanti editore, Milano 2021, pag. 154


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