
di Alfio Pelleriti
Questo mese di Ottobre vorrei dedicarlo alla scuola, a quell’universo speciale dove i piccoli umani imparano a leggere, a scrivere, a comunicare; lì dove esercitano abilità, svolgono attività, socializzano coi propri simili, affinano sentimenti, provano emozioni, scoprono valori che appartengono alla tradizione dei loro padri, della loro nazione e all’uomo in quanto tale, in quanto persona. La scuola, la più nobile delle istituzioni, quella in cui si decidono le sorti economiche, culturali, sociali di un popolo, è il tema sul quale invito tutti i nostri collaboratori a dare un contributo con interventi che possano accendere una piccola luce su un settore vitale per il nostro futuro.
Tocca a me cominciare e allora vi presento un resoconto della mia esperienza professionale nella scuola come insegnante di lettere nella scuola media inferiore prima e come docente di italiano e storia e di storia e filosofia nelle scuole superiori dopo, tenuto in occasione del mio addio alla scuola, il mio pensionamento, dal quale si evince la mia visione della missione del docente e del significato di educatore.
PENSIONAMENTO E RIFLESSIONI
Dopo 40 anni di servizio, è arrivato il momento di lasciare la scuola. Sono amari gli addii. Sempre. E noi tutto sommato stiamo festeggiando degli addii ad un mondo che abbiamo contribuito a far muovere e crescere.
È un addio all’incontro quotidiano con i colleghi: ai saluti, ai sorrisi, ai confronti, agli scontri a volte. Solo fuori dal contesto scolastico potrei incontrare Pietro, Franco, Sara, Salvatore e tutti gli amici con i quali ho empaticamente vissuto le gioie e i tormenti dell’essere insegnante. Non li incontrerò più nel cambio dell’ora per una battuta veloce, per una pacca sulla spalla, per un sorriso, per un abbraccio.

È un addio alle relazioni con i ragazzi; alle occasioni di vicendevole crescita umana e spirituale; un addio alla situazione unica e ideale per la trattazione di temi straordinariamente importanti per consolidare la formazione di ciascuno, compresa quella del docente.
Mi mancherà tutto questo. Niente potrà sostituire il sorriso che ti indirizza un alunno o un suo assenso quando mostra di capire e apprezzare il tema che gli hai proposto o ancora una sua lacrima di emozione quando parli loro dei grandi ideali per cui si vive e si muore. Non ho più il tempo per poter spiegare loro, ancora una volta, il grande valore della lealtà e della sincerità. Convincerli di difendere i loro ideali contro tutti i tentativi delle “volpi” di turno o dei “sepolcri imbiancati” che li attirano con sorrisi ammaliatori e ipocriti ammiccamenti.
Chi si accinge a porgere un saluto ai colleghi in occasione del suo pensionamento, si chiede come evitare di cadere nei consueti clichés. Per esempio uno di questi dice che chi va in pensione si riappropria della sua libertà, o meglio, si riprende la propria vita. … Io posso dire che mi sono sempre sentito un uomo libero e la mia vita mi è sempre appartenuta, anzi non sono affatto pentito di avere intrapreso la professione di insegnante, che ritengo, tra le professioni, la più nobile.
Negli anni, tante famiglie mi hanno affidato i loro figli perché contribuissi alla loro crescita culturale e spirituale ed a formarli come cittadini. Mi sono assunto la pesante responsabilità di dare loro un orizzonte di senso per affrontare con un’adeguata carica valoriale i rapporti sociali a tutti i livelli.
La nostra professione è meravigliosamente difficile e l’azione cui si viene chiamati non è mai scontata o predeterminata come non può esserlo nessun rapporto umano. La nostra azione docente prevede tante variabili: dalla preparazione sui contenuti disciplinari da trattare, alla conoscenza profonda delle strategie comunicative e metacomunicative, ma soprattutto chi insegna è chiamato non solo a rispettare gli alunni come persone e come cittadini, ma ad amarli come figli, tutti, dai più simpatici e dotati di tante potenzialità, agli indisciplinati, agli arroganti, agli apatici. E amare i propri alunni significa dare sempre il massimo, essere sempre presenti a scuola, dare testimonianza di correttezza e di coerenza con quanto dichiarato al loro cospetto, essere onesti intellettualmente; saper ascoltare le loro esigenze, capire che sono ragazzi in formazione e come tali deboli; amarli non significa diventare loro amico poiché un docente deve rimanere sempre tale vivendo quel ruolo con serietà e rispetto dell’istituzione che rappresenta; amarli significa rispettare il loro innato senso della giustizia e quindi è fondamentale per la loro crescita valutarli con equità, secondo il merito e l’impegno profuso.
Questa è stata la mia visione della scuola, ed essa si è fortificata proprio nell’ultimo periodo della mia carriera che mi ha visto impegnato al liceo classico “Giovanni Verga”, nel liceo dove sono stato studente nei lontani anni Sessanta.

Da qui si potrebbe continuare con dei pistolotti sulla scuola di una volta e con “come erano belli e romantici quegli anni”. Vi risparmio tali note nostalgiche, anche perché di quel periodo scolastico conservo oltre che bei ricordi anche molte ombre.
A voi che continuate auguro di cuore buon lavoro. Che possiate affrontare con coraggio, forti delle vostre convinzioni, il nobile compito di educare le giovani menti. La lealtà alla deontologia professionale, alla democrazia e la giustizia accompagnino la vostra quotidiana azione educativa e siano il viatico per il raggiungimento dei vostri obiettivi professionali.
Che il Signore vi illumini e vi renda forti, compassionevoli e giusti quando valuterete il lavoro dei ragazzi.
Il futuro della nostra società, la salute mentale, fisica e spirituale delle giovani generazioni sono sempre state legate a filo doppio alla scuola, se è vero l’adagio del prof. Carmelo Salanitro con il quale da tempo chiudo le mie riflessioni sull’universo scuola: “la scuola è la fucina delle rivoluzioni, delle vere e autentiche rivoluzioni!”
Grazie amici e colleghi, grazie al personale amministrativo e ai collaboratori scolastici. Vi ringrazio per avere accettato il nostro invito e per l’affetto che ci dimostrate in questo giorno in cui diciamo addio alla scuola.
Per noi si chiude una tappa importante della nostra vita. Se ne apriranno altre, anch’esse importanti, consapevoli che essere in questo mondo è già qualcosa di sublime e l’esperienza che abbiamo accumulato negli anni ci servirà per far crescere la nostra dimensione umana e spirituale.
Là fuori ci sono ancora strade da percorrere, attività da intraprendere, relazioni da curare, ricerche da continuare, orizzonti di senso da chiarire. Ognuno a suo modo, ma con l’identico impegno, col giusto interesse, con la necessaria curiosità e soprattutto, con l’aiuto di Dio, si avvicinerà ancora di più al Vero, al Giusto, al Bello.
Grazie e ancora tanti auguri!
19 giugno 2017
Ho letto con piacere le riflessioni sul mondo scolastico di Alfio Pelleriti, oltre che il suo discorso di saluto per il suo pensionamento.
Ho apprezzato soprattutto la dimensione umana e valoriale che Alfio ha messo in risalto nella professione del docente e, quindi, ‘quel senso dell’ orizzonte’ da trasmettere ai propri studenti.
Grazie Alfio per le tue preziose riflessioni che condivido e cerco di mettere in pratica nella mia pratica professionale.
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Grazie a te per la condivisione e l’apprezzamento. Ti auguro buon lavoro con i tuoi studenti.
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Penso anch’io che l’insegnamento sia uno dei lavori più belli, direi anzi privilegiati, perché non mi pare che ne esista un altro che abbia maggiori possibilità relazionali; non può esistere una scuola senza il dialogo tra esseri che mettono a confronto idee e pareri; se poi la condivisione riguarda una intera classe, l’eco si amplia, diventa immensa, perché incontra un mondo vario, di molteplici esperienze e tutti chiedono un confronto. A volte penso di essere stata molto fortunata nella mia carriera di insegnante; ho lavorato sodo senza risparmiarmi, ho tanto ascoltato, gioito, commuovendomi in certe occasioni, ho portato quello che la mia famiglia e la “mia” scuola mi avevano insegnato e queste eredità le ho trasferite a loro, agli allievi, che le hanno capite e accettate perché offerte con lealtà e generosità. A distanza di alcuni anni ripenso con piacere e tanta nostalgia agli incontri quotidiani fatti di interrogazioni, spiegazioni, temuti compiti in classe accompagnati da dubbiosi espressioni del viso, alle attività extra scolastiche durante le quali scivola di dosso l’abito scolastico e appare la vera identità di ognuno di noi: si ride, si scherza, si gioca ed emerge quella familiarità che la “maschera” quotidiana nasconde. Non si possono dimenticare le numerose manifestazioni di rispetto e fiducia reciproche, valori che testimoniano la crescita culturale, sociale e umana a cui ogni essere deve tendere, se vuole acquistare la vera identità di persona, valori che ancora oggi ci spingono a sentirci per telefono o per organizzare una cena insieme.
Loro, gli alunni, hanno avuto il merito di farmi ricordare il mio passato di studentessa alle prese con le mie difficoltà, con gli s oggi da superare, le regole da imparare; quindi è toccato a me capire le loro difficoltà, i loro problemi di studio oltre quelli di età ed essere pronta a cogliere; ed è quello, secondo me, il valore più grande, quel continuo dare e ricevere che ci fa sentire parte della Società.
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Leggere le sue riflessioni sulla scuola all’inizio di un nuovo anno scolastico è per me un’occasione per rinnovare i miei buoni propositi per contribuire alla crescita e formazione dei miei alunni. La sua visione della scuola è anche la mia: ogni giorno entro in classe con la responsabilità e la consapevolezza di svolgere un lavoro molto importante e di cui mi sento molto orgogliosa. All’inizio di una nuova giornata scolastica la prima cosa che faccio con i miei alunni è la preghiera, proprio come una volta, chiedendo al Signore che ogni mia azione o parola sia rivolta al bene dei “figli” che mi sono stati affidati. Grazie per la preziosa pubblicazione.
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Grazie a te Carmelita. Hai tutte le carte in regola per poter dare un contributo notevole alla crescita culturale e morale della nostra comunità. Perciò ti auguro buon lavoro, professoressa, c’è molto lavoro nella “vigna” e occorrono mani sapienti e tenere perché il raccolto sia il migliore possibile.
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