Antonio Bruno, “futurista” e traduttore (seconda parte)

di Alfio Pelleriti

Di questa mia esplorazione nell’opera di Antonio Bruno e di come si possa passare dal pregiudizio ad un esame più obiettivo dopo attenta analisi e umile accostamento alla tempra solida e inossidabile, profonda e delicatamente poetica del Nostro, voglio dare esemplificazione riportando le mie immediate sensazioni e le prime animose analisi prima di giungere a consapevoli giudizi e al necessario passo indietro a capo chino di fronte a tale acuto intelletto, a tale altezza creativa e alla non comune capacità d’accostamento al Bello.

MORE DI MACCHIA – 1913

Ex voto – Stupendo componimento per composizione formale e per tenero sentire, impreziosito da quel peso esistenziale che rivela un’anima gentile, nobile, aristocratica, romantica.

Invocazione – Questo componimento è un messaggio ai posteri e a me che solo ora scopro questo autentico genio e mi chino a sentire l’invocazione del poeta affinché un lettore, seppure d’altri tempi, capisca il suo dolore e accanto a lui si ponga ad ascoltarlo e a dirgli poi che gli è amico poiché anche lui ha i suoi “brandelli d’anima” lasciati sul selciato.

Altitudini – La folla è il tuo nemico, poeta d’ideali ardente. Sì, “alza la fronte in alto, ai trionfanti cieli di cobalto”, o nobile poeta!

Sonata patetica – Come tutti i poeti, anche tu fai la tua ricerca sull’Essere e sull’essenza della vita, ma non in polverose biblioteche ti aggiri per trovare le bramate risposte. A te basta porre le domande alle innocenti creature che, seppure mute, danno risposte che soddisfano il cuore solo con macchie di colori, solo col profumo che appena appena cogli… eppur t’inebria.

È un poeta Bruno, un vero poeta dell’Essere, che attraversa in un istante le marine onde e segna estasiato il volo dei gabbiani fino alla linea d’orizzonte dove si uniscono i due azzurri. È lieve il suo canto, come una brezza a primavera, come il canto acuto e dolce d’un adolescente. È un poeta e perciò immortale e, forse per tal motivo, non vedo mai fiori alla sua tomba. Domani verrò io a dirti grazie con un bianco crisantemo o col viburno che a te fu caro.

Soli al tramonto – Si ripete la magia linguistica: i poeti, immagine dopo immagine, propongono sentimenti cari a loro e a quei fratelli che dicono “sì” all’ascolto del ribollir dei loro sentimenti amari, archetipi disvelati in note soavi, lievi, preziose.

Penombra – Bruno insiste spesso con atmosfere cupe, quasi a far da contraltare alla bellezza virginale d’una giovane che, sorpresa tra vita e morte, tra beltà e mestizia, non partecipa alla tensione emotiva di chi scrive. Lei sta silente e immobile come cosa tra le cose, oggetto soltanto per nutrire il bisogno creativo del poeta.

A Lilla – Questa lirica Bruno la compone a 17 anni, dimostrando d’essere autentico genio, straordinario nell’evocare immagini, nell’uso già sapiente di metafore anche se ancora vicino alla prosa.

Bizzarra fioritura, giardino del piacere – Come potrebbe manifestare il turbinio d’un amore adolescenziale un giovanissimo poeta se non con questi versi, acerbi ancora, eppure fulgidi d’eroico furore, di esaltante passione giovanile.

In bianco minore – La retorica prende il sopravvento e una leziosità fine a se stessa caratterizza il testo. Il bisogno di creare non sempre aiuta il poeta, soprattutto quando forza se stesso a seguire schemi che appartengono alla moda del momento. Servirebbero all’uopo altri registri linguistici e una visione del mondo più ampia fino ad abbracciare qualche altra realtà fuor di noi stessi.

Ritorno – Anche questo componimento risulta appesantito da continui richiami alla natura per creare metafore, spesso forzate come i “castagni pensosi”. Resta immutato il suo talento ma obnubilato da una egotica volontà di vestire i panni del vate.

Allegoria – Convince questo componimento, attento al ritmo e alle assonanze e con un giusto riferimento ad una immagine per la sua allegoria dedicata al mentore.

Introduzione a “Fuochi di Bengala – La presentazione di Emilio Settimelli è una prova provata di come non bastano le letture appassionate del “topo di biblioteca” per produrre scritti sensati e degni d’attenzione. Settimelli, orgoglioso d’essersi schierato e di definirsi “futurista”, rappresenta la negazione dell’artista o dell’intellettuale che contribuisce all’elevazione spirituale della comunità umana.

La nuova genia di poeti futuristi per costui avrebbe dovuto far scomparire i Leopardi, i Foscolo, i Baudelaire, per cedere il posto a “poeti valorosissimi” del calibro di Maria Ginanni, Fulvia Giuliani, Rosa Rosà, Tommaso Marinetti, Bruno Corra e altri geni futuristi.

La sua presunzione che offende come una blasfemia, è un calcio volgare e greve al sacro artistico, testimone di un’epoca tragica cui i futuristi aprirono la strada, non paghi di aver acclamato agli incendi dell’immane tragedia che si era consumata con la prima guerra mondiale. Essi furono un humus perfetto per l’avvento del sentire fascista, del primato ottuso dell’azione sul pensiero, del totalitarismo sulle libertà democratiche.

Serenade d’autrefois – Siamo ancora alle romanticherie mielose dei componimenti giovanili: intimismo, pianto nostalgico, ricercatezze formali di un poeta di talento.

Musiche della sera – Amore e morte, ricercatezze botaniche (asfodeli) e per compagni di viaggio elementi naturali: luna, nebbia, mare, in un funereo componimento segnato dagli aggettivi defunto, funebre, Elisi (campi), nebbia violacea.

Isabeau – Il componimento mi lascia basito e interdetto. Come può un poeta aderire all’ideologia retorica di un movimento accettandone i paradigmi compositivi?

La sciarpa azzurra – Bruno si apre al ricordo e compone in prosa una pagina che sta tra la lettera e il diario. Elegante e raffinata costruzione poetica che esprime un desiderio di amare e di essere amato.

Solo – In questa pagina echi insopportabili di una retorica dannunziana a nascondere la realtà di un’anima infelice.

Illustrazione – Descrizione realistica d’un ambiente di periferia in cui vive un’umanità vinta e offesa. Quadretti da angiporti e poi… e poi nulla. Si chiude senza alcuna risposta, senza una parola aperta a una visione, a uno scopo.

Anniversari – Il giovane Bruno, acrobata del verso e soprattutto talentuoso creatore di prosa poetica che illumina se stesso, si autoincensa e si specchia mai pago di vedersi riflesso. Rimane acrobata senza diventare atleta.

Paesaggi – Insuperabile costruttore di immaginifici paesaggi, Bruno si avvale di un bizantinismo linguistico, di una pervicace insistenza ad essere ricercato nel lessico, come un incipriato damerino di una corte principesca del Settecento.

Giugno – Elegante, forbito, barocco, presenta la realtà fotografandola in un dagherrotipo senza giochi di grigi, uniforme, monocorde, come le sue descrizioni.

Nomade – Un’ossessionante ricerca di novità espressive condiziona l’innegabile talento che tuttavia si nutre di se stesso cercando affannosamente ninnoli e preziosità linguistiche per dare peso a componimenti che, ahimè, restano leggeri e vacui.

BALOCCHI, ad Ardengo Soffici – A proposito del suo vago e dubbioso sentirsi futurista, scrive: “Così – per guarirmi – un tempo mi sforzai di seguire i futuristi di Milano, e mi prefissi di recitarmi ogni giorno La fontana malata di Aldo Palazzeschi per dimenticare o ridere della signora Margherita Gasutier”.

A Mauro Itter – In questa sua lettera lo scrittore usa la penna come un’arma e consuma le parole come il tossicomane la cocaina. Le donne, il “borgo selvaggio”, “borghesi e campagnoli”, semplici occasioni per la sua esondante necessità di fissare parole sulla carta. Mette a fuoco una quotidianità minuta, ordinaria, banale e adopera un profluvio di parole, di immagini, per passare in rassegna un luogo dopo l’altro, dalla provincia siciliana, Firenze, e poi ancora Catania, in un rievocare ossessivo esperienze amorose in un compulsivo bisogno di apparire amante di donne aristocratiche e popolane.

Liberazione – Una grande voglia di sbalordire, di essere eccentrico nella costruzione di una prosa che sa di laboratorio e di tecnicismo. Non appare nessuna introspezione leale del suo Io; nessun riferimento alla condizione altrui o ad un valore etico. La figura femminile reificata come un qualsiasi ente. Contro tali limiti si infrange il mito del giovane poeta biancavillese che conobbe il bel mondo dei salotti letterari del primo Novecento.

Un breve giudizio di G. Verga su Bruno interpretato come un elogio da Maria Giannini – “Grazie, caro Bruno, del dono e della simpatia letteraria che le ricambio, pur da passatista – anzi da trapassato – il quale però vede e riconosce il molto che lei potrebbe darci, anche senza gli acrobatismi futuristi di cui non ha bisogno perché il futuro sta in Lei. Auguri e saluti cordiali”.

E Nicola Moscardelli… – E finalmente un giudizio vero, leale: “Avete un nocciolo, un nucleo, un fondo di poesia la quale affiorerebbe e attingerebbe con forza i vertici del canto, se non vi preoccupaste un po’ troppo di contentare la moda.”

Le traduzioni dal francese di poeti cinesi  

I testi propongono una tradizione tutta orientale che è quella di presentare quadretti paradisiaci, di una natura che, con l’apporto dello scrittore, si trasformano in eden senza tempo.

Si coglie in tali scritti la stessa esigenza evocativa dei dipinti su seta o sui più semplici e popolari supporti in cotone dei “batiques”, con i quali spesso si vuole nascondere una realtà dura e offesa da secolari ingiustizie, segnata da povertà diffusa, da scandalose sperequazioni sociali, da una sopraffazione  sulle donne a tutti i livelli sociali, cui fa da contraltare una retorica letteraria che presenta la donna angelicata anche se unicamente devota e sottomessa all’uomo che di lei si avvale per soddisfare le sue voglie, d’alto sentire o di bassi istinti.

Nelle traduzioni si ripropongono tali stilemi senza che la prosa di Bruno si sforzi di correggerne le esagerazioni formali e dunque, a tratti risulta esageratamente ricercata, cesellata oltre misura, stucchevole nella ripetuta presentazione di un Ego protagonista di avventure mai vissute, di amplessi mai consumati, di tremori mai sentiti. Si nota, insomma, un decadentismo che si rivela ridondante, che insiste sulle stesse note e stanca infine. Bruno sembra costretto e imbrigliato da un testo che è denso di una malinconia che deborda, di un pianto senza lacrime, di una nostalgia su un volto assente o sempre identico a se stesso, senza una piega al labbro, senza un brillar di lacrime, senza un moto solidale. Il riferimento alla luna, ai raggi del sole, alle acque placide di laghi e fiumi è costante, quadretti evanescenti di arcadia minore, di un neoclassicismo mieloso.

Ben diverso è lo stile di Antonio Bruno nelle traduzioni dei componimenti di Baudelaire di cui ne proponiamo alcune:

L’albatro
Zingari in viaggio
Profumo esotico
Tristezza della luna

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