XXIV LIBRO – Priamo alla tenda di Achille

di Alfio Pelleriti

Achille, ritornato nel campo acheo, si occupa di dare degna sepoltura a Patroclo. L’occasione rivela ancora quali sentimenti contrastanti albergano nell’eroe: la sete di vendetta mai doma e la capacità di amare oltre misura il suo fraterno amico. Egli infatti non sembra rassegnato alla perdita e piange lacrime copiose alimentate da un dolore sempre acuto. Tale sentimento, così nobile, non placa, tuttavia, in lui la rabbia che diventa ferale, assassina: quando si accende la pira su cui giace il corpo di Patroclo, Achille, oltre agli animali da sacrificare in suo onore, uccide dodici giovani prigionieri troiani che fa porre accanto al corpo dell’amico perché non vada sola la sua anima nell’Ade.

Nessuna pietà egli prova sopraffatto dall’ira e dal rancore e sembra che la sua parte immortale e divina sia proprio quella più lontana dalla pietà, che è un sentimento umano, poiché gli uomini temono la morte e ne hanno paura, anzi terrore. E tale sentimento li accomuna, anche se appartenenti a fronti opposti. Achille non teme di morire, la paura non sa cosa sia e per tale motivo è un eroe “a metà” o forse non lo è affatto, poiché l’eroe compie grandi imprese nonostante tema di perdere la vita e si pone problemi etici quando la sua azione potrebbe provocare dolore estremo ai suoi avversari, sui quali non sa infierire (il tema etico sarà evidente con le grandi tragedie di Sofocle).

Ettore era sincero quando, rivolto ad Achille, gli proponeva che il vincitore restituisse il corpo dell’avversario ai parenti; Achille invece non fu sfiorato da alcun dubbio e derise Ettore, non potendo reagire in altro modo a causa del suo vuoto morale. Egli è una “perfetta macchina da guerra”, impietosa e sadica. Simone Weil scrisse il suo saggio sull’Iliade nel 1937/38 alla vigilia della seconda guerra mondiale, ma aveva già visto le atrocità della guerra moderna in Spagna dove si era recata arruolandosi tra i repubblicani. Il modello Achille e il riferimento costante alla sua forza e alla necessità di combattere alla ricerca della gloria, la facilità con cui dava la morte agli avversari induce a pensare alla mistica nazista, ai loro simboli di morte, alla programmazione e all’attuazione maniacale di eliminazioni etniche, alla totale insensibilità verso il rispetto della dignità umana.

Intanto le divinità dell’Olimpo continuano la loro guerra parallela ed ogni occasione è buona per intervenire a favore di uno schieramento o dell’altro. Apollo e lo stesso Giove fanno in modo che almeno il corpo di Ettore non venga sfigurato e lo proteggono dai cani cui Achille lo aveva esposto, ma Giunone e Minerva non sono d’accordo e protestano pretendendo che la vendetta di Achille sia completa. Non passerà tale pretesa e Teti la madre di Achille sarà inviata da Giove al figlio per convincerlo ad accogliere Priamo che si recherà alla sua tenda con un ricco riscatto per chiedergli la restituzione del corpo di Ettore.

Il vecchio re segue le indicazioni di Iris, messaggera di Zeus, di recarsi da solo al campo greco portando con sé solo un domestico per il trasporto del corpo di Ettore. Achille, avvertito dalla madre Teti che era volontà di Zeus che il corpo venisse restituito a Priamo, non si opporrà alla richiesta, convinto dal ricco riscatto che gli viene portato da Priamo e dal dolore del vecchio re che gli ricorda il padre Peleo che presto proverà quella stessa sofferenza poiché sa che vicina è la sua fine.

La chiusura del poema dunque è all’insegna del dolore e delle lacrime: Priamo, Ecuba, Andromaca, quasi ad ammonire che la guerra, infine, conduce alla morte e alla sofferenza, alla perdita delle persone care e alla solitudine e dunque alla disperazione.

Giove impone la restituzione del corpo di Ettore
Teti dal figlio Achille
Iris, messaggera di Giove, da Priamo
Restituzione del corpo di Ettore
A Troia si piange la morte di Ettore

Una risposta a "XXIV LIBRO – Priamo alla tenda di Achille"

  1. Tra tutti i suoi tantissimi figli, il re Priamo e la moglie Ecuba amano enormemente il valoroso Ettore, il quale ha ucciso in battaglia Patroclo, amico intimo e fedele del feroce Achille che, profondamente sconvolto dal dolore causatogli dalla perdita dell’amato, giura vendetta, consumata senza alcuna pietà. Infatti dopo aver colpito Ettore mortalmente e legato per le caviglie al suo carro, lo trascina per tre volte attorno alla pira dell’amico.
    Il vecchio re decide di recarsi da Achille e di implorarlo che gli renda il corpo del figlio.
    Achille, pur nella sua malvagità e ferocia, scopre un attimo di umanità guardando in lacrime il re Priamo che gli ricorda il proprio padre Peleo, ed anche se travagliato interiormente dai sentimenti più vendicativi, viene commosso dalla fragilità del vecchio e rende il corpo, ripulito dalla polvere e dai duri segni della battaglia, rivestito degnamente per la sepoltura.
    Piange il forte Achille ricordando il suo dolce Patroclo, piangono Priamo ed Ecuba per l’amato figlio, piange Andromaca, moglie affranta che tanto aveva supplicato Ettore perché non la lasciasse sola col figlioletto, lei che già aveva perso gran parte della sua famiglia, e lo strazio e i lamenti di fratelli e cognate e parenti tutti riempiono la reggia dove anche i servi piangono le dolorose perdite.
    Ed infine, ci emozioniamo anche noi se solo per poco ci compenetriamo nei personaggi delle vicende, i quali, pur se lontani dal mondo odierno, conservano intatti quegli umani sentimenti che ci insegnano e tramandano gli orrori per le guerre di ogni tempo.
    Ecco che con le lacrime degli eroi, lacrime purificatrici di tanta malvagità e cattiveria, trionfa la bontà ed Omero riesce così a commuovere generazioni di scettici e increduli che trovano tra le righe, una umanità senza tempo disposta a superare ogni avversità pur tra dolore e lacrime.

    Santina Costanzo

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