Alfio Pelleriti

Affollatissimo il Circolo Castriota di Biancavilla sabato 8 aprile, per un evento che ha riunito giovani e meno giovani provenienti da Catania e dai paesi limitrofi. Presenti il sindaco Antonio Bonanno e il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gaetano Galvagno, il giornalista Nicola Savoca e il dott. Antonio Mursia. Il protagonista del resto non era uno qualsiasi, bensì un habitué dei salotti televisivi, lo scrittore e giornalista Pietrangelo Buttafuoco, un intellettuale della Destra nostrana, sebbene lui pare preferisca essere definito un “artista” (intellettuale gli sembrerà un termine, oltre che abusato, appartenente alla galassia linguistica della Sinistra). Un “artista” effettivamente egli lo è, anzi un “giocoliere”, un “acrobata” con le parole, con le quali inizia un periodo con una principale, tenendo sottinteso il soggetto, e continuando poi, con ritmo sempre più incalzante, con decine di subordinate, inserendo delle incidentali, dei motti, degli aforismi, e varia di poi, a tratti, il tono della voce indicando a chi lo ascolta che ha aperto una parentesi e alla fine, percependo che gli astanti annaspano trattenendo, smarriti, il respiro, chiude, comunicando il soggetto della barocca costruzione linguistica, sempre che il pubblico non resti ancora confuso, allora, magnanimo, il soggetto lo sottolinea porgendolo con “sto parlando di…”.
Il giornalista e il dott. Mursia hanno porto delle domande sul tema da sviluppare, “L’Italia è fimmina!”, ma lui è un “artista” e dopo averle ascoltate le ha adoperate a suo piacimento, divagando, ironizzando, tessendo orditi, inerpicandosi di premessa in premessa, per cominciare poi una veloce discesa tra concessive, causali, avversative, consecutive, in un gioco pirotecnico che in realtà non entrava nel merito delle questioni riprendendo dei luoghi comuni o avanzando tesi piuttosto avventate.
L’Italia è “fimmina”, ha spiegato l’illustre ospite, perché il presidente del Consiglio è Giorgia Meloni che, provenendo dalla Garbatella, sa quali esigenze hanno le famiglie meno abbienti; conosce le difficoltà economiche affrontate dagli operai, dai piccoli commercianti; sa dei drammi dei nullatenenti, dei disoccupati, degli sfruttati del “quarto stato” e dunque provvederà con scelte adeguate. Non è certo Elly Schlein, la neo eletta segretaria del PD, che ha studiato in Svizzera e ne conserva ancora la cittadinanza (sogghignando e guardando di sottecchi Savoca), che può rappresentare le istanze e i bisogni dei lavoratori e di chi si riconosce ancora nella Sinistra di questo Paese. Buttafuoco non ha spiegato perché la giovane segretaria sarebbe inadatta al compito politico, né tanto meno si è capito perché non possa fare da contraltare alla Meloni nell’attuale realtà politico-culturale nazionale. Il compito di Buttafuoco era quello di spiegare perché “L’Italia è fimmina” ma, se accezione positiva c’è in questo bislacco titolo, la povera Schlein non vi rientra punto e non servono spiegazioni.
Tuttavia, giusto per continuare sulla tesi secondo cui la Meloni fa una vera politica “di sinistra” e sta vicino alle esigenze del popolo indigente, sfruttato e vilipeso, non si capisce perché per tutelarne gli interessi si continua con i condoni fiscali; si aumenta il tetto all’uso del contante fino a 5.000 euro (ma si sono visti dei poveri con 5.000 euro in tasca, pronti a fare qualche spesuccia?); perché rinviare una nuova contrattazione per la gestione delle spiagge visto che i concessionari pagano delle cifre ridicole allo Stato; perché si è abbassata la fiscalizzazione per i redditi medio alti e infine perché si contrasta la richiesta di diritti civili da parte delle coppie omosessuali. Sarebbe questa la rivoluzione della “pasionaria” della Garbatella? E che dire dei suoi ministri che si danno ad affermazioni alquanto penose che lasciano basiti e sconcertati, come quella del ministro della cultura con le sue ridicole affermazioni su Dante Alighieri che sarebbe il padre della Destra politica nazionale; o quella del ministro degli Interni per cui la morte in mare dei migranti a duecento metri dalla costa calabra sarebbe da addebitare agli stessi naufraghi partiti avventatamente, sconsideratamente; o l’imbarazzante intervento del ministro dell’istruzione Valditara che minaccia la preside di provvedimenti censori, colpevole d’essere stata solidale con un alunno della scuola pestato da due energumeni appartenenti ad una formazione di estrema destra e di aver ricordato ai suoi studenti di non rimanere indifferenti di fronte alle violenze fasciste; o infine, la smargiassata del presidente del Senato Ignazio La Russa sull’attentato di Via Rasella a Roma, azione definita “pagina ingloriosa della Resistenza”, portata contro dei “semi-pensionati” utilizzati nella banda musicale non in azioni di guerra o di repressione anti partigiana.

Ha affermato “l’artista” che in Sicilia è difficile amministrare, molto più difficile che nelle regioni del Nord, poiché per ogni decisione che un sindaco, il presidente delle regione o un semplice assessore dovessero assumere, ecco che verrebbe bloccata dalla magistratura. Un esempio? Impercorribile, dice, è ormai diventata la statale 121! E non si dica che sono gli amministratori distratti o incapaci o, come insinua certa stampa, collusi con la mafia, poiché essi mai si fanno corrompere, sono tutti capaci e si assumono tutti la responsabilità di fare delle scelte secondo quanto prescrive il loro mandato. Chissà perché si registra la piaga ormai endemica dell’abusivismo edilizio, dell’evasione fiscale verso ogni tipo di tributo, dell’insicurezza dei cittadini, del degrado quanto a pulizia e quiete? E ancora, aggiunge Buttafuoco, non ha vita facile l’imprenditore siciliano stretto in una morsa tra la mafia da una parte e dall’altra lo Stato, con le sue leggi vessatorie. Quindi, per l’acclamato funambolo della parola, la mafia e lo Stato si possono mettere sullo stesso piano, così come sosteneva Totò Riina. Secondo questa acuta analisi, al Nord, nella ricca Lombardia o in Veneto, la mafia non si azzarda a farsi avanti, checché ne dica Gratteri, il magistrato che da anni denunzia le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto economico e politico a livello europeo e internazionale. Ancora, dunque, si fa circolare l’idea dello Stato nemico, come tuonava nei comizi Finocchiaro Aprile cercando di arringare i giovani a sposare la causa dell’indipendentismo siciliano. Ancora lo Stato è il nostro nemico, e i Siciliani “vogliono dormire e si sentono Dei”, dice Buttafuoco, citando dal “Il Gattopardo”, in particolare dal dialogo tra il Principe Don Fabrizio e Chevalley.
Ma a chi intende riferirsi Buttafuoco? Se cerca sponda in Tomasi di Lampedusa si sbaglia perché, già dalle prime pagine, lo scrittore non è tenero con i rappresentanti della classe aristocratica cui appartenevano i suoi avi. A loro imputa arretratezza e povertà della Sicilia e punta il dito accusatore anche sul nuovo potere costituito che si sostituirà ai vecchi governanti. L’autore sembra gridare la sua verità evidenziando le peculiarità caratteriali dei siciliani: l’arroganza e la supponenza, la tracotanza nel perpetuare ingiustizie a danno dei più deboli, l’inedia e la mancanza di senso civico, il violento individualismo. Non fa sconti in questa sua cruda e amara analisi; non esclude questo o quel gruppo sociale. Elenca delle debolezze che obiettivamente sono state d’ostacolo ad uno sviluppo economico e sociale della Sicilia nonostante le tante occasioni legislative: dalla cassa del Mezzogiorno, alla riforma agraria degli anni Cinquanta, nonostante la concessione di una forte autonomia amministrativa che, anziché essere volano di sviluppo economico, è stata sfruttata dai Sedara di turno per arricchimenti personali o di consorterie e partiti di riferimento.
E che dire dell’affermazione secondo cui il popolo italiano non ha potuto fare le scelte giuste nei decenni passati a favore della Destra politica più radicale a causa della disinformazione giornalistica che avrebbe frapposto una vera e propria barriera tra tale forza e il governo del Paese? Ma era necessario un “artista” della comunicazione, eletto a nuovo “vate” dalla destra radicale, per tali affermazioni trite e ritrite da bar dello Sport? Una domanda del giornalista sul problema dei diritti civili l’ha spinto ad una nuova inondazione di parole e ad una grandinata di subordinate, giusto per sbalordire il pubblico in sala già mezzo intontito per far passare l’ennesima scontata posizione conservatrice dei bambini che vogliono un papà e una mamma, non due papà o due mamme, con annesso applauso del pubblico,

E infine la “perla”, buttata lì come l’esca all’amo per quell’uditorio plaudente che avrebbe abboccato senza alcuna esitazione: l’accusa, infondata e bugiarda, secondo cui fantomatici esponenti della Sinistra si darebbero alla distruzione dei sacri testi della filosofia e dei prodotti culturali in generale! Ma chi sarebbero tali esaltati e soprattutto a quale fonte ha attinto? Io so soltanto che i roghi purificatori dalla cultura giudaica avvenivano in Italia con il fascismo e le sue leggi “fascistissime” degli anni 1925/26 e con le leggi razziali del 1938, in Germania con il nazismo massacratore e antisemita, con lo stalinismo sovietico culminato con i processi farsa degli anni 1936/38.
Sgradevole è stato per me ascoltare questo prestigiatore della comunicazione che fa scomparire e ricomparire a suo piacimento sotto altre spoglie la povera, vilipesa verità.
Penso che in Sicilia i cambiamenti ci siano stati nonostante le resistenze dei notabili di ieri (baroni, principi, marchesi, gabellotti, banditi e mafiosi) e di oggi (apparati deviati dello Stato, milizie armate segrete – Gladio – massoneria, mafia agraria e mafia degli appalti e finanziaria), nonostante i politici che tradiscono la loro coscienza morale per la conquista del potere e per vantaggi personali e familistici o delle congreghe d’appartenenza. Tale ignominia altri siciliani hanno contrastato sacrificando la loro vita purché trionfasse la libertà e la giustizia, rappresentate dallo Stato repubblicano nato dalla lotta resistenziale e culminato con la sua fondazione, suggellata dalla Costituzione antifascista. Non si sentivano “Dei” né preferirono dormire sopraffatti dall’inedia, ma divennero martiri della nostra Repubblica parlamentare i sindacalisti Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, i giudici Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livatino, il segretario regionale del PCI e sindacalista Pio La Torre, il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, il Prefetto di Palermo, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il sacerdote Don Pino Puglisi, l’imprenditore Libero Grassi, i commissari di P.S. Boris Giuliano, Beppe Montana e Ninnì Cassarà.

Bravissimo Alfio. Hai argomentato con slancio e verità. Ti ringrazio personalmente perché considero la verità un diritto che si gode solo se c’è chi la racconta. E non è facile, non è immediato riconoscerla travolti come siamo dalle menzogne e dalle truffe della comunicazione dei tanti “buttafuoco” nostrani. Grazie.
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Grazie, Agata.
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Sempre arguti i tuoi commenti/analisi. Bravo Alfio.
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Grazie.
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