di Alfio Pelleriti
Forse il libro più citato quello del filosofo francofortese, studioso, maestro e divulgatore della psicoanalisi. Fromm insieme ad Adorno, Marcuse e Horkheimer, fu uno dei protagonisti nella famosa “Scuola di Francoforte”, almeno fino al 1934, quando, insieme ad altri lasciò la Germania nazista lavorando negli Stati Uniti insegnando al Bennington College, alla Columbia, Michigan e Yale University.

Fromm, insieme ai filosofi di Francoforte, diede tanti stimoli e notevoli contributi alla psicologia e alla sociologia oltre che alla filosofia, ispirando altresì la politica in generale e i movimenti giovanili che con le loro contestazioni negli anni sessanta e settanta del Novecento portarono avanti istanze che avrebbero contribuito a cambiare profondamente la mentalità e le istituzioni politiche e sociali dell’Occidente.
Le opere di Fromm divennero famose in quegli anni: Fuga dalla libertà, L’arte d’amare, Marx e Freud, Anatomia della distruttività umana, pubblicate tra il 1971 e il 1975.
“Avere o essere” è un saggio ancora di estrema attualità, da inserire pertanto tra le opere classiche e intramontabili della filosofia, fondamentale per capire le peculiarità della società liberista contemporanea e le sue contraddizioni.
Il saggio mette in evidenza gli ostacoli che l’uomo moderno incontra alla sua completa realizzazione, alla sua possibilità di essere felice. A tali aspirazioni si oppone il fascino esercitato da veri e propri “idoli” della società consumistica: il denaro, i beni materiali, l’esercizio del potere. Questi vengono percepiti dalla stragrande maggioranza delle persone come necessari, indispensabili, essenziali per poter raggiungere l’autostima, vivendo in una società dove il lavoro viene subìto e percepito come competizione con gli altri, come un mezzo per poter guadagnare denaro e poter accaparrare oggetti. Si vive cioè non secondo scelte libere degli individui ma secondo modelli veicolati dalla pubblicità e ritenuti unici per potere assaporare gioia, serenità, realizzazione piena. In realtà sono solo modelli consumistici e vuotamente formali: viaggi, vacanze al mare o in montagna, automobili, gioielli e tantissimi altri oggetti con cui si riempiono le case e che poi finiscono buttati contribuendo notevolmente all’inquinamento planetario.
Tale realtà innesca non solo comportamenti che mirano all’avere, ma la tendenza allo sfruttamento dei lavoratori (contratti a termine, caporalato e lavoro in nero), aggiramento delle norme (evasione fiscale, truffe, connivenze con organizzazioni criminali), assuefazione ad atteggiamenti ipocriti e bugiardi, passività del pensiero nei confronti di stili di vita tipici del consumismo, individualismo ed egotismo patologici.
“Nella modalità dell’avere la propria felicità risiede nella superiorità sugli altri, nel proprio potere e nella capacità di conquistare, depredare, uccidere. Secondo la modalità dell’essere, la felicità consiste invece nell’amare, nel condividere, nel dare.”[1]

Fromm ricorda che anche Sigmund Freud ha affrontato tale problematica evidenziando la caratteristica della personalità dell’individuo che incarna la modalità dell’avere: costui assumerà un comportamento nevrotico ancorato fortemente e patologicamente alla fase anale dell’evoluzione psichica e sessuale del bambino. Egli concentrerà ogni sua energia nel tesaurizzare denaro e oggetti, come l’avaro o il collezionista che trasformano i loro oggetti amati in idoli, appunto, con cui hanno un rapporto feticistico assumendo comportamenti meticolosi, pignoli, testardi. Il legame simbolico, dice la psicoanalisi, è quello tra denaro e feci, tra oro e sudiciume. Tale “malattia” si può trasferire, aggiunge Fromm, dagli individui alla società che diventerebbe una società malata.
La modalità dell’essere significa “rinnovarsi, crescere, esprimersi, amare, trascendere il carcere del proprio io isolato, essere interessato, prestare attenzione, dare.”[2]
L’individuo che sceglie la modalità dell’essere non vive in maniera alienata rispondendo a forze interne ed esterne che lo dominano ma è capace di un’attività produttiva in cui il sui Io è in armonia con ciò che produce. In tale orizzonte esistenziale la ricerca della verità diventa la migliore tra le possibili attività umane. Aristotele chiamava “Eudaimonia” l’attività conforme alla virtù e San Tommaso D’Aquino affidava alla vita contemplativa la strada maestra per la realizzazione piena dell’uomo e quindi la possibilità di vivere in pace e in serenità con se stessi e con gli altri. E sulle stesse posizioni Spinoza e Marx (sorprendentemente, ma non per chi legga il filosofo di Treviri senza pregiudizi ideologici!).
L’avere significa non solo consumare ciò che si ha, ma bramare altro, essere permanentemente avidi e insoddisfatti. L’ingordo non è mai sazio, infatti, e per tale motivo è anche infelice seppur ricco. L’ingordigia porta inevitabilmente allo scontro con gli altri individui e le cose non cambiano quando agli individui si sostituiscono le nazioni che, a seconda del ricorso alla guerra o al dialogo della diplomazia nei loro rapporti, si collocano su posizioni tipiche dell’avere o dell’essere. Dice infatti Fromm: “cupidigia e invidia sono così ben radicate in noi, non perché ineriscano alla natura umana, ma a causa delle difficoltà che incontra chi intenda opporsi alla spinta collettiva a essere un lupo tra i lupi.”[3]
Importante è anche la distinzione tra gioia e piacere. La prima si rivela come uno stato permanente che non è legato al possesso di beni ma ad una percezione di se stessi come parte di un tutto che va al di là della dimensione spaziotemporale, per cui non essendo legati ai beni e al potere costoro non temono la morte. La seconda si manifesta come uno stato momentaneo di euforia cui segue tristezza e noia.
L’ultima parte del libro è dedicata a Marx e Freud, che anticiparono i tempi indicando la via maestra dell’essere affinché l’uomo e soprattutto chi vive in prima persona le contraddizioni del sistema fondato sull’avere possa raggiungere uno stato esistenziale dignitoso per sé, per gli altri e per l’ambiente.
Fromm indica infine come avviarsi alla scelta dell’essere e quali comportamenti assumere perché si possa arrivare alla personale liberazione da quei pregiudizi e/o convinzioni che sembrano naturali ma che invece provengono dalla tradizione, dal sistema economico produttivo che inducono alla formazione di un carattere sociale utile al consumismo e all’arricchimento di pochi, un sistema questo che sta comportando il rischio concreto e a breve termine della distruzione dell’ecosistema.
Nel suo richiamo alle condotte da assumere per salvare se stessi e gli altri si avverte il misticismo di Maestro Eckhart[4], teologo molto apprezzato da Fromm che già nel XIII secolo ammoniva i cristiani a non coltivare desideri di possesso di beni terreni e ad uscire dalle maglie dell’egocentrismo per potere autenticamente cogliere il messaggio evangelico.
Sarebbero da citare tutti i comportamenti virtuosi che secondo Fromm dovremmo assumere perché si arresti il processo di disumanizzazione cui porta la brama dell’avere, ma almeno tre vorrei offrirli all’attenzione dei lettori:
“- Amore e rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni, con la consapevolezza che non le cose, il potere e tutto ciò che è morto, bensì la vita e tutto quanto pertiene alla sua crescita hanno carattere sacro.
– Avvertire la propria unicità con ogni forma di vita, e quindi rinunciare al proposito di conquistare la natura, di sottometterla, sfruttarla, violentarla, distruggerla, tentando invece di capirla e di collaborare con essa.
– Far propria una libertà che non sia arbitrarietà, ma equivalga alla possibilità di essere se stessi, intendendo con questo non già un coacervo di desideri e brame di possesso, bensì una struttura di delicato equilibrio tra crescita o declino, tra vita e morte.”[5]
[1] Erich Fromm, Avere o essere, Mondadori editore, Milano 1978 (3 ediz.), pag. 112
[2] Ibidem, pag. 120
[3] Ibidem, pag. 258
[4] Fu figura importante dell’ordine domenicano e il massimo rappresentante del misticismo in Germania. Visse tra il 1260 e il 1327. Fu attento studioso dei testi sacri e di teologia e mise in evidenza la necessità di spogliarsi di ogni desiderio affidando la propria attività alla conoscenza di Dio, intesa però non come “possesso” ma come percorso che porta ad un autentico amore di Dio e della sua Parola.
[5] Op. cit. pag. 222