di Alfio Pelleriti
Due fatti oggi mi hanno colpito: un intervento di Claudia Koll tenuto a Chieti nel 2018 sulla sua esperienza spirituale e la notizia della morte di Alessandro Talotti, campione italiano di salto in alto, deceduto per un tumore all’età di 40 anni lasciando la moglie e il figlio di pochi anni.

Le due esperienze, pur diverse, hanno qualcosa in comune e proverò a spiegarlo. Claudia Koll è una bellissima donna di 55 anni dallo sguardo dolce e profondo ed è una brava attrice di cinema e di teatro. Nell’anno 2000, in occasione del Giubileo, comincia un periodo di riflessione sulla sua vita, sui suoi rapporti con gli altri, sulle sue scelte, e reimposta la sua esistenza alla luce del Messaggio evangelico.
Per caso, navigando su Internet, non so come, si è aperto un video e per un’ora e mezza ho seguito la sua testimonianza che per me è stata davvero sorprendente, straordinaria, commovente, esaltante. Ciò che mi ha colpito è stato il tono della sua voce, pacato, dolce, accompagnato da un’espressione piegata ad un accennato sorriso e poi la sua levità e la discrezione quando l’argomento si spostava su Dio Padre e Dio Figlio, Gesù. Il suo discorso non tendeva mai all’esaltazione mistica o al tono teoretico del piano teologico, bensì si manteneva sempre su un piano pragmatico, riportando sempre le sue esperienze di vita, poiché, diceva Claudia, dire “amore”, nell’ottica di un cristiano, significa praticare l’amore, distinguere il Bene dal male e praticare il Bene; impegnarsi nella ricerca del Vero e approfondire il concetto del Bello poiché anche attraverso il bello si può avere contezza di ciò che è il Bene.

Amare Dio, ho capito da Claudia, significa fare emergere il giusto, il buono, il vero in ogni nostra azione e amare, infine, significa non lasciare nessuno indietro, soprattutto i fratelli che hanno occhi pieni di pianto. Amare, dice Claudia, significa non concedere il nostro tempo all’effimero, o peggio, ai sentimenti negativi, di cui l’odio è quello che porta lontano da Dio e quindi allo smarrimento esistenziale.
Un messaggio di vita autentica mi sono ripetuto mentre camminavo sulla via alberata che conduce alla casa del mio vecchio padre che però non ho mancato di rimproverare aspramente per una banalità, mandando così in fumo i buoni propositi di mezz’ora prima.
È proprio vero che la nostra debolezza e la nostra istintività sono i primi ostacoli che bisogna superare; ci sono d’ostacolo le nostre abitudini, consolidate nel tempo, che si sostanziano in una reattività istintuale e di esse si avvale il maligno per portarci lontani da Dio. Dobbiamo insistere in una lotta da condurre all’interno di noi stessi per liberarci “da” pregiudizi, narcisismo, edonismo, consumismo, ecc. e dunque, come ci ha ricordato il nostro Vito Mancuso in “Il coraggio di essere liberi”, impostare la nostra religiosità sulla libertà “per”: per affermare l’amore di Gesù per l’umanità e per tutti gli esseri del Creato; per accettare i nostri e gli altrui limiti; per affermare i valori etici raccogliendo il frutto delle esperienze che ci hanno consegnato i padri nobili della nostra cultura e in generale i grandi personaggi della storia umana, e quindi essere coerenti con ciò che si pensa e con ciò che si dice.
L’altra notizia sembra non avere nulla a che fare con la testimonianza di Claudia Koll. Cosa c’entra infatti la morte di un giovane atleta? Claudia rappresenta la vita mentre la morte di Alessandro Talotti rappresenta una tragedia che tutti vogliono cacciare via dai loro pensieri. Certo, è così! Vita e morte si escludono. Basta pensare al vuoto che lascia una persona cara privandoci dei suoi sorrisi, delle sue attenzioni, della sua presenza. Claudia ricorda a tal proposito, presentando le sue personali vicissitudini, di andare con il pensiero all’orto degli ulivi e a Gesù che in quella notte insonne che precedeva il suo calvario, pensava ai suoi discepoli, ai suoi genitori, a tutti gli uomini e alle donne che aveva incontrato e che avrebbe ancora voluto incontrare, ma sapeva invece che avrebbe dovuto soffrire, essere deriso, malmenato e poi ucciso e dunque, la fine, la morte. Le sue parole: “Gesù disse loro: ‘la mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate! ’ poi andato innanzi si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: ‘Abbà, Padre! Tutto è possibile a Te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che Tu vuoi” (Marco 14,32).
Succede che la nostra preghiera tante volte è esaudita da Dio Padre, ma qualora non si possa sfuggire alla morte, quelle nostre preghiere non saranno state vane, poiché niente andrà perduto d’ogni sincera e autentica manifestazione d’amore.
Il Signore, Padre nostro, fa le scelte, che per noi restano incomprensibili, al fine di ottenere un bene superiore. Non è una contraddizione poiché l’amore di Dio e la sua concezione di bene travalica la nostra dimensione terrena. Ciò che conta per la nostra anima è la salvezza eterna, è la dimensione spirituale. Questo non significa certo che bisogna disdegnare ciò che è materiale e terreno, tuttavia bisogna vivere non solo in vista delle realizzazioni delle necessità materiali ma vivere perché con le nostre azioni possiamo nutrire e soddisfare anche e soprattutto la nostra dimensione spirituale, andando anche contro corrente, a dispetto delle mode, del “così fan tutti”, del “così si dice”; contro anche l’impostazione di vita che vogliono per noi i nostri genitori, i nostri fratelli o amici. Occorre, a volte, “morire” nella mente e nel cuore degli altri e rimanere soli nella “notte buia” del dubbio per risorgere a una vita eticamente alta, spiritualmente ricca.

La morte resterà sempre orrida all’uomo e soprattutto a coloro che colgono l’inclita bellezza del sublime naturale e delle vette artistiche di cui è capace l’uomo. Ogni volta che presto attenzione alle piante che coltivo sul mio balcone, noto che, arrivata la primavera e vestitesi di infiorescenze e di nuovo verde, sono necessarie le forbici per togliere alle margherite quei fiori che ieri erano colorati e con turgidi petali e che poi a distanza di alcuni giorni muoiono e rinsecchiscono, di peso alla pianta e ai nuovi nati che si preparano a condurre il loro breve viaggio per finirlo come gli altri che li hanno preceduti e vanno incontro al medesimo destino. E così per le rose, per le magnolie e così tra gli animali e così tra gli uomini.
“l’essere-per-la-morte”, dice Heidegger, è la condizione degli esseri viventi, ed è cosa saggia, dunque, pur provando angoscia al suo pensiero, vivere convenientemente non sprecando il nostro tempo, poiché esso è limitato e un giorno finirà.