Oggi 2 Giugno, 75° anniversario della nascita della Repubblica italiana e del sistema democratico parlamentare sanciti dalla nostra bellissima Costituzione. Ci piace in questa occasione pubblicare un magnifico articolo di Agata Salamone, che denunzia l’identità smarrita dell’uomo moderno in una società sempre più distopica, indicando nelle varie manifestazioni artistiche e culturali di cui dovrebbero tutti nutrirsi, la strada maestra per una rinascita sociale e un autentico progresso della nostra comunità nazionale. (A.P.)

di Agata Salamone
E io chi sono? Domanda di chi si è perso, di chi ha avuto una esperienza di sé che non riconosce come sé; di chi ha scoperto, nelle trame dei suoi abituali sentimenti e pensieri, un intruso, un altro sé di cui non ha consapevolezza, che stravolge l’immagine che ha avuto fino ad ora di sé. E cosa sta succedendo? Forse sta uscendo dal buio di una caverna per una intuizione salvifica di un livello più alto di realtà di cui non sapeva l’esistenza, oppure si sta perdendo nell’ombra di una selva oscura? Chi sono? È definibile la mia identità? O è un flusso mutevole e spaventoso, inconscio e conscio, a metà strada tra il piano della realtà condivisa e quello delle proprie allucinazioni?
È importante saperlo poiché la nostra libertà dipende da ciò che sappiamo di noi. Sono libero se so di me cosa voglio, e se so come posso agire in vista di ciò che voglio nella realtà della mia vita presente. Quindi la nostra libertà ha anche a che fare con la conoscenza del mondo. La fisica rende liberi, la letteratura, la poesia, la filosofia rendono liberi, sono come mappe e specchi per conoscere, per conoscersi, e orientano la volontà, cioè fondano la libertà. Le letteratura ci mette in dialogo con l’umanità, sbroglia lo “gnommero” della complessità della intimità umana, incrementa la nostra libertà. Le dittature ne fanno a meno: la loro forza speciale sta nel confortevole, comodo, spensierato, cieco conformismo eterodiretto. (Vedi il discorso del “grande inquisitore” ne “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij). La peculiarità di un regime è quella di intrufolarsi negli spazi intimi del pensiero togliendo autonomia alla volontà.
Un regime, più subdolo dei regimi politici, è anche quello massificante del consumismo. Come in tutti i regimi le vittime finiscono per collaborare coi carnefici, anzi finiscono per gradire l’assenza di libertà che è anche esonero dalle proprie responsabilità. Anzi di più: finiscono per preferire le limitazioni severe allo sforzo del pensiero e della scelta libera e finiscono per sentirsi più protetti e sicuri. La questione della libertà è centrale. Spesso la diamo per scontata, ma così non è. Centrifugati dal nostro modo di vivere non ci accorgiamo della dispersione che annebbia l’anima. Questa dispersione o dimenticanza di sé si sta rivelando fatale per noi, per la nostra generazione, per le generazioni viventi e presenti di oggi, che rischiano, realisticamente, di non avere più posteri. Non si ha coscienza di questa estrema possibilità, e gli allarmi e le allerte anziché generare paura e indurre una correzione dei comportamenti, paralizzano la volontà. Dalla paura potrebbe essere suscitata un’energia nuova che potrebbe rendere capaci di azioni sorprendenti. Potrebbe avere, la paura, una funzione feconda. Günther Anders la chiamava “angoscia amante”.

Forse una costante cura della vita spirituale potrebbe avere l’effetto di un risveglio. Penso che il movimentismo politico e i sistemi di rappresentanza istituzionali su cui si fa affidamento da almeno due secoli per progredire, non siano più attuali. Penso che gli unici dispositivi umani che possono efficacemente aprire alla speranza di un futuro siano l’arte, la letteratura, la filosofia. La grandezza della poesia è di essere una parola profetica, suscitatrice, che accende forze sentimentali e visioni e scuote dall’indifferenza. Come scrive il mio carissimo amico e poeta Ciccio Minissale, fare una “ecologica igiene mentale”, “rimodellare rapporti inquinati dal germe distruttivo dell’ipertrofico io”, questa la missione dell’arte. Il potere della parola può disturbare il conformismo, allertare le coscienze. Cadute le speranze rivoluzionarie che hanno colorato le nostre adolescenze anticonformiste, ha prevalso il senso della nostra impotenza. Noi stessi ci siamo traditi. Non siamo stati all’altezza delle nostre aspettative morali. La letteratura può però ancora suscitare quel senso di emergenza e intollerabilità del reale storico, suscitare la condizione emotiva dell’allerta, della paura. Può farci pensare che l’esistente non è di pietra, ineluttabile, e farci desiderare una salvezza, un autentico progresso.
Questa normalità quotidiana, soporifera, di chi non si chiede più nemmeno perché vive, la routine televisiva che ha normalizzato anche una pandemia globale, che è tornata a commentare le notizie di guerra, il numero e la qualità delle vittime, senza indignazione, senza indignazione e senza rabbia, è cultura di morte.
Ci pensano i poeti, i romanzieri, i filosofi, gli scrittori di cinema, i musicisti, gli artisti a pungolare questa bestia seduta che è la nostra impenitente società dei consumi. Loro che sono gli eterni indignati, campioni di rabbia intellettuale, di furia filosofica e ci insegnano l’inno della “internazionale delle generazioni”. Zagrebelsky in un suo articolo di qualche anno fa, commentando la fine della civiltà antica delle isole di Pasqua (finita quasi senza una causa esterna) sollevava la questione in questi termini: Per soddisfare appetiti di oggi, non si è fatto caso alle necessità di domani. Ogni generazione si è comportata come se fosse l’ultima, trattando le risorse di cui disponeva come sue proprietà esclusive, di cui anche abusare. Una prevaricazione intergenerazionale che le categorie del diritto non sanno e non possono dirimere. La felicità, il benessere, la potenza delle generazioni attuali al prezzo dell’infelicità, del malessere, dell’impotenza, perfino dell’estinzione di quelle future. Eppure tutto il male che può essere loro inferto, perfino la privazione delle condizioni minime vitali, non rappresentano alcuna violazione in senso giuridico. Le generazioni successive non hanno diritti da vantare nei confronti di quelle precedenti, ma a queste si possono invece imporre dei doveri nei confronti di quelle, come è per chi è madre nei confronti del bambino quando lo porta ancora in grembo. La terra appartiene tanto ai viventi quanto ai non ancora viventi. Potrà essere la categoria del dovere rispetto ai posteri a farci cambiare? Oggi la democrazia mostra di poter essere un regime di saccheggio delle risorse, per i viventi contro i posteri. La democrazia ha infatti ceduto spazio alla tecnocrazia. Affinché la tecnica possa essere benefica dovrebbe poter essere a sua volta controllata. Ma da chi? Dalla democrazia, quando essa riuscirà a incorporare, senza annullarla o umiliarla e senza esaltarla, la dimensione scientifica delle decisioni politiche. Quando la libertà si esprimerà a conclusione di un discernimento scientificamente condotto.

Uno dei paradigmi mentali con cui pensiamo è l’opinione che riduce il mondo a un fondale inerte per le imprese umane. Così il mondo è stato considerato limitatamente al suo valore economico, alle possibilità produttive e di speculazione. Oppure pensiamo alla natura come a un esterno infinito, senza confini: “oltre le nuvole il cielo, oltre il pensiero le nuvole, cielo e pensiero illimitati limiti” come scrive il mio amico poeta. C’è un altro mito che persiste malgrado se ne sia vista abbondantemente la pericolosità: quello della proprietà privata che sta nella piena disponibilità, anche distruttiva, del possessore. Anche il mito che la ricchezza smisurata sia incontestabilmente legittima anche se rompe i legami sociali col resto della umanità è pericoloso. Anche la libertà di arricchimento illimitato è uno dei paradigmi pericolosi e devianti. Sono tutti punti ciechi che fabbricano ingiustizie e conflitti. Dare per scontati questi luoghi comuni che sono paradigmi del nostro modo comune di pensare, passivamente, rende i comportamenti attuali acquiescenti di fronte alle ingiustizie patenti di questo invivibile mondo moderno. Ostacoli culturali più forti di quelli esercitati da chi ha il potere economico e capitalistico. Mettere in critica i fattori di ordine mentale, morale, sentimentale di questa cultura consumistica tranquillizzante che ci fa preferire la sicurezza nella abbondanza dell’inutile piuttosto che la libertà e l’onore, soddisfatti da un intrattenimento sedativo, che non fa capire niente del mondo in cui vive, in attesa della fine, piuttosto che il sentimento cosmico dell’affratellamento planetario, è un passaggio decisivo.
Abbiamo dimenticato che la storia umana è in una linea di discendenza che trae dagli avi e consegna ai posteri, che il senso di ogni impresa è l’eredità che si lascia ai posteri, che chi nascerà porterà il nuovo e instaurerà la possibilità di trascendere l’esistente, darà luogo a qualcosa di imprevisto, interromperà la routine. La letteratura, la poesia, l’arte aprono varchi di libertà mentale. Sono testimonianze e rappresentazioni profetiche, voci letterarie che tengono vivo il senso di intollerabilità delle catastrofi che accadono. Eppure di queste catastrofi gran parte della gente vive ignara, sentimentalmente indifferente, malgrado siano fatti scandalosi che la logica storica non può assorbire perché non stanno in una linea di sviluppo della storia precedente.

Forte come un urlo, risuona a scuotere le nostre vite sommerse da troppe, inutili ma ormai indispensabili comodità.
L’Uomo, creato ad immagine e somiglianza del Creatore, mantiene ancora ( e per fortuna dico io!) quella profonda nostalgia del giardino dell’Eden, che ciascuno conserva nell’intimo del proprio essere.
Ed è questa nostalgia che fa scatenare il dissenso, la forte ribellione per ogni forma di sciacallaggio, sia esso l’inquinamento degli oceani, il disboscamento selvaggio, il bracconaggio sconsiderato e tante altre simili “amenità!”
Non possiamo restare inermi davanti alle meraviglie enunciate nella “Laudato sii”….
Troppe le ragioni, il sole, la luna, il cielo, l’acqua, il vento e la nostra amata e martoriata madre Terra che ancora ci sostiene e ci ama, in un afflato indissolubile che lega tutti come un cordone ombelicale. Ma per quanto tempo ancora sarà possibile perpetuare scempi, consentire alla nostra Libertà di operare in “infiniti spazi e sovrumani silenzi” senza lasciare inaridire il sacro Humus che ci è stato donato?
Santina Costanzo
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