Marcel Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, il capolavoro “infinito”

di Alfio Pelleriti

Avevo già messo per iscritto le mie impressioni sulla prima parte de “La strada di Swann”, primo volume dei sette di cui si compone la grande opera di Proust “Alla ricerca del tempo perduto”, che ripropongo per poi procedere:

Presto, datemi un foglio e la mia penna, strumento vitale e indispensabile alla mia mente ma soprattutto alla mia anima per poter fissare, in parte purtroppo, le emozioni, la meraviglia, l’incredulità provate alla lettura del primo libro della Recherche di Marcel Proust. Ci provo dunque a trascrivere il turbinio di sensazioni, di analogie con questo o quel filosofo, con il medico viennese, con la mia età d’infante.

Marcel Proust

Intanto il primo accostamento io lo farei con Michelangelo, con Leonardo, insomma coi grandi del Rinascimento artistico per questa prosa ch’è propria d’un gigante. No! Un momento, non sono stato felice nell’espressione, perché “gigante” fa pensare a un ente che occupa materia grandemente, alla fisicità porta il pensiero il termine infelice. Ma lo lascio tuttavia perché un altro sarebbe limitante o non adeguato per definire tale genialità espressiva, capace di trascurare la strada maestra della trama narrativa per guidare il lettore in un viaggio nell’interiorità del narratore.

Proust è il bambino che sa raccontarti le paure e le angosce che lo assalgono trovandosi in un mondo che gli sembra ostile e la sua felicità al bacio della mamma che lo accompagna nel suo nido da cui parte ogni notte per i suoi voli attraverso mari, montagne, boschi o luoghi risaputi, lì nel suo giardino.

Questo è un genio dell’introspezione, più grande dei frequentatori d’accademie e di congressi per analisti dell’Ego e dell’inconscio, perché sa dar voce a tutti gli elementi che s’incontrano, lottano, sfumano lì nella psiche, sua e di ognuno. E mentre descrive quel che attanaglia l’animo d’un bimbo (ecco la magia!), sa anche salire in alto sulle vette del “nobile sentire” poiché è attento ad ogni palpito del cuore e il sentimento è la cifra peculiare del suo poetico narrare. E per far ciò – attenzione! – non usa chissà quali parole ricercate, accostamenti dotti, allitterazioni ardite, magniloquenti adagi. No! Usa un linguaggio semplice, ma organizzato in periodi che lascian senza fiato perché somigliano agli orditi tramati della nonna se osservati da vicino, ma che, se appena lo sguardo poni in là, ecco, rivelano dolci e speciali sublimità e ne cogli l’armonia nella complessità.

Descrive le sue sensazioni, i suoi desideri d’infante e i suoi tormenti e pian piano, inconsapevolmente, mi sostituisco a lui, perché le sue emozioni penso d’averle anch’io provate: quel guardare insistente la madre e non stancarsi mai, il desiderio ardente di averla tutta per sé, di riceverne baci, di sentire la sua calda guancia e d’ascoltare le sue dolci parole che danno pace e la serenità cercata. Sì, sono quelle le sensazioni, mi dico, che provai tanti anni fa quando mia madre era per me calore serenità e amore.

Proust è un aristocratico della scrittura: con le sue superbe descrizioni ci dice come universalmente si comporta l’uomo in ogni tappa di sua vita. Ora lo definiresti romantico ora realista ora crepuscolare ora simbolista, ma son tutte catalogazioni inutili, buone soltanto per i ricercator di “pulci”, di quei particolari che portano effimere gioie nelle accademie, tentativi vani di imbrigliare un genio, un filosofo cui interessano sì le piccole cose, i comportamenti consueti, ma che in esse sa cogliere l’energia e il logos che attraversa continuamente la realtà, in una visione in cui anche ciò che è immateriale rappresenta, con le parole di Schelling, la “preistoria dello Spirito soggettivo”

Proust con la parola può far tutto: giocare, far ghirigori, muovere tempeste e poi acquietare i marosi. E’ un gigante che dispiega la sua forza di fronte al lettore che, incauto, volesse intraprendere la traversata del deserto senza sufficienti riserve materiali e spirituali. La lettura della “Ricerca” va condotta a piccole dosi, rispettando il titano, come l’avveduto scalatore di fronte ai suoi 8000 metri..

A conclusione del volume e giunto a metà del secondo, “All’ombra delle fanciulle in fiore”, edito nel 1918, faccio seguire ancora qualche riflessione sul grande capolavoro…

Ora fatta questa debita premessa, chiunque ardisca di addentrarsi nella “Recherche”, non deve avere fretta di finire il libro. Non deve farsi prendere dalla paura dei neofiti che contano i giorni già trascorsi e le pagine che restano per giungere alla fine. Non è un comportamento corretto con tutti i libri ma soprattutto con questo capolavoro, dove tutti gli elementi d’un gigantesco mosaico sono inseriti perfettamente: tutte le parole sono giuste, le frasi, i periodi, i moti del cuore, i sentimenti, il vento, i profumi, le luci con le varie sfumature, ciò che turba la mente di un bambino; ciò che si vorrebbe dire tra marito e moglie e non si trova il coraggio di esternare, il terrore della morte in chi è avanti con gli anni. Ogni emozione, sentimento, eventi piccoli e grandi, in questo romanzo trovano le giuste parole, a formare descrizioni perfette, sublimi, armoniose, belle in sommo grado e dunque eterne, come le tele del Rinascimento.

Raccontando, Proust cerca di riprendersi il tempo perduto; di vincere la battaglia che nessun uomo ha mai osato intraprendere contro il tempo, ricostruendo perfettamente ogni particolare della vita trascorsa.

La seconda parte del romanzo è dedicata all’amore di Swann per Odette. Le ansie, i dubbi, le illusioni di Swann sono analizzate con attenzione maniacale dall’autore, mettendo davanti al lettore tutti i pensieri e le false certezze, le ricostruzioni di eventi di un uomo geloso che ha perso la sua serenità e non è più l’uomo di prima nonostante gli sforzi per conservare la propria identità. Si avvia quindi un’analisi fenomenologica del rapporto d’amore che si trasforma sempre più in una lotta per la sopravvivenza legata al dominio psicologico dell’uno sull’altra in una lotta quotidiana senza esclusioni di colpi dove la prima vittima è la verità.

Proust, contemporaneo di Freud, sembra essere un componente della società psicoanalitica voluta dal medico viennese, poiché sembra affermare la cifra di quell’analisi dell’Io profondo puntando ad evidenziare tutti quei comportamenti, quelle reazioni a gesti, a parole, ad atti percepiti o immaginati, a desideri espressi o repressi che, dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta, si stratificano poi nell’inconscio di ciascuno determinando le caratteristiche della personalità.

Dello scrittore non si può non apprezzare, dunque, la rara capacità d’introspezione psicologica degna di un provetto psicoanalista; oppure, lo si può anche accostare ad un mistico che, poco interessato a ciò che è materiale o ad emozioni legate al soddisfacimento del proprio Ego, riesce, da un flebile respiro o al cadere d’una foglia, al muoversi d’un ciglio, a capire cosa accade nel cuore e nella mente di chi gli siede accanto. Insomma Proust sa leggere nei recessi più profondi dell’anima sua e di quelle altrui e a tradurre poi tali “osservazioni” con le parole giuste, quelle più eleganti e semplici, che si incastrano perfettamente nella frase e quest’ultima con quelle che la precedono e che la seguiranno. Tutto sta al suo posto, dici a te stesso, e non si poteva esprimere meglio.

Tuttavia, senza mettere in dubbio che Proust sia un gigante nel narrare, a me pare che i nati nella seconda parte del XX secolo fatichino ad apprezzare la sua propensione a fissare sulla carta anche un batter d’ali che accade là sulla scena del reale, e non v’è moto  del corpo che non trovi la penna dell’autore pronta a tradurlo in frasi che s’inseguono l’un l’altra, e paiono infinite, come le onde sembrano al bagnante che si riposa stanco nell’arenile fissando lo sguardo su quel moto, continuo e sempre uguale, di acqua e schiuma che s’invola, cedendo all’altra che le sta dietro e che avrà la stessa sorte.

Un profluvio di descrizioni minimali su pensieri, desideri, abitudini, atti mancati, vezzi, incubi, accadimenti vari, luci ombre, colori. Non sfugge niente al “flusso di coscienza” che aborre la sintesi, la evita, perché per lui, per lo scrittore, sarebbe come togliere a se stesso l’aria che respira e dunque rivendica la piena libertà di porre davanti al lettore anche il tossire d’una pulce. Un oceano infinito di parole che s’affollano da ogni parte, costruite con arte, da un fuoriclasse del narrare.

Ma io che sono un lettore semplice, comune, mi prendo la licenza di affermare che è troppo! Io sono nato nel ’52 e il mio sentire si è formato al cinema, cioè fin da bambino mi sono abituato a storie che hanno un inizio, uno svolgimento e poi una fine; lì nel buio della sala, in due tre ore di proiezione, avevo chiara la vicenda e poi tornando a casa, restava il tempo con gli amici di commentare a caldo quella storia, i temi trattati, il punto di vista dell’autore o l’interpretazione dell’attore protagonista. Sarà pure un limite, ma la sintesi, per chi non appartiene all’Ottocento, è una condizione indispensabile per apprezzare l’arte

Così lo stile narrativo del Nostro, a volte risulta troppo puntiglioso, forse, alla lunga, egli rivela un atteggiamento da “dagherrotipo mania”, tipico di chi non vuole farsi sfuggire niente in queste sue “maniacali” descrizioni. Lo scrittore, osannato da tanti e letto da pochi, a un certo punto stanca, poiché siamo sempre in casa con lui nel salotto buono ad analizzare il detto e il non detto di Swann, di Odette, del padre, della madre e della zia del narratore. Ogni gesto parola movimento o silenzi sono passati in rassegna con spiegazioni e analisi che alla lunga diventano (ardisco dire…) stucchevoli.

Il lettore si stanca di stare sempre dentro casa Guermantes, a seguire per centinaia e centinaia di pagine descrizioni, argomentazioni, che non tralasciano neanche uno starnuto. Una quotidianità descritta e analizzata con eleganza, resta comunque sempre quotidianità e perciò la tentazione di saltare qualche pagina diventa forte e l’ipotesi di chiudere il libro non si esclude, superate le seicento pagine.

Combray
Il vento
La strada di Swann
L’innamoramento

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