Pippo Coco, “Di cosa parlano i biancavillesi quando escono in piazza”.

di Alfio Pelleriti

I Biancavillesi quotidianamente e in tutte le stagioni manifestano il medesimo desiderio: occupare uno spazio in Piazza Roma, il cuore pulsante del paese.

Pippo Coco, dal calendario 2005

All’ombra del campanile del Sada della Basilica Maria SS. Dell’Elemosina, ciascuno si sente protetto, sicuro, vivo tra vivi. Non si esagera affermando che è un’autentica necessità l’incontro con conoscenti e amici con i quali si creano le condizioni di una terapia di gruppo. Certo manca l’analista, colui che gestisce l’energia psichica che viene fuori quando si esternano con spontaneità ansie e paure, pulsioni aggressive o catatonici atteggiamenti che precedono inevitabili crisi esistenziali.

Ma, nei vari gruppi che si formano, comunque, un leader lo si trova, che inconsapevolmente diventa terapeuta e animatore della discussione. E così, man mano che il crepuscolo avanza e le ore scorrono veloci, tutti si calmano, i volti si rasserenano, si sorride soddisfatti quando qualcuno bonariamente canzona il più ingenuo del gruppo; altri alzano il tono della voce per rendere la propria opinione più solida; altri argomentano con improbabili sillogismi.

Ma di cosa parlano i biancavillesi mentre si auto analizzano? L’argomento è uno e uno solo, anche se con tante variabili o capitoli o settori: l’arte più antica e appassionante dell’uomo, l’agricoltura. Contadini, operai, impiegati, professionisti, scrittori, poeti, pittori, tutti, tutti si appassionano alla coltivazione della terra. Ognuno porta la sua esperienza di agrumicultore, di viticultore, di ulivicoltore, di esperto in ortaggi o in alberi da frutta; ognuno ha una sua personale soluzione per sgominare i parassiti; qualcuno usa in maniera massiva diserbanti e antiparassitari, altri sono per una agricoltura biologica. Tutti sono d’accordo che un bracciante non si può pagare così come vuole lo Stato: costerebbe troppo! Qualcuno propone di assumere come mano d’opera i rumeni, altri i marocchini o gli albanesi. Poi soddisfatti, ma con un po’ di languore allo stomaco, guardano in alto all’orologio del loro campanile. Sì, è ora di rincasare e cominciano a scemare. La terapia per quel giorno è finita, e tranquilli, rasserenati ma con un inspiegabile senso di vuoto (lo stesso che provano ogni sera percorrendo la strada verso casa) si avviano soddisfatti ciascuno al loro focolare.


Una risposta a "Pippo Coco, “Di cosa parlano i biancavillesi quando escono in piazza”."

  1. Bravo Alfio. Leggo volentieri i tuoi quadretti ironici sul popolo biancavillese. E ho letto volentieri la rivisitazione letteraria dei quadri altrettanto ironici di Picco Coco. Ho recentemente scoperto uno scrittore siciliano, di cui non sapevo nulla, Antonio Castelli, apprezzato anche da Sciascia, che ha scritto pochissimo, ma ha saputo cogliere magistralmente i sapori della piazza del paese e dei circoli, in primis del circolo dei “civili”. Tra lui e Coco sento una piena assonanza. Buon lavoro e buona gornata.

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