di Alfio Pelleriti

Non voglio aspettare il 4 agosto per ricordare il maestro Pippo Coco, di cui mi onoro d’esserne stato amico. Definito uno dei più famosi disegnatori al mondo, riconosciuta unanimemente la sua genialità artistica tanto da collaborare con le più importanti testate giornalistiche, dal Corriere della Sera, a Famiglia Cristiana, dalla Gazzetta dello sport a L’ Espresso, da El Pais a Paris Match, fino a La Repubblica, Panorama e Playmen, nel suo paese, a Biancavilla, è completamente dimenticato, nonostante egli abbia donato ottanta suoi disegni al Comune di Biancavilla e abbia creato, nel 2005, un calendario illustrato su Biancavilla.
L’attuale amministrazione ha istituito un premio nell’ambito di Etna Comics, il Festival internazionale del fumetto e della cultura Pop, che si svolge a Catania ogni anno presso le Ciminiere. Penso tuttavia che non sia sufficiente e che la comunità biancavillese debba muoversi senza appoggiarsi ad enti esterni, con le proprie istituzioni, con le proprie agenzie educative. Sarebbe opportuno, per esempio, coinvolgere le scuole con un progetto che abbia come tema il Bello nelle sue tante possibili manifestazioni. Sarebbe straordinario creare un appuntamento annuale con la creatività, con la pittura, la poesia, il racconto breve, la fotografia, il cortometraggio, la musica, il teatro. Del resto le scuole di ogni ordine e grado si pongono come scopo fondamentale della loro azione educativa e didattica, quello di fare affiorare nella mente e nel cuore di bambini e ragazzi la capacità di distinguere ciò che è importante per l’uomo da ciò che è banale: una capacità di discernimento del vero e del giusto e al contempo la necessità di saper comunicare in varie forme e con diversi canali i sentimenti e le riflessioni dell’uomo.
L’Ente comunale potrebbe aiutare le scuole del suo territorio nel raggiungimento di tale fondamentale “mission” dell’istituzione scolastica offrendo supporti logistici per una festa della creatività a conclusione dell’anno scolastico che preveda dei premi alle migliori performances.
Un premio “Pippo Coco” che affronti ogni anno un’espressione artistica, preparato con apposito bando, con la nomina di una giuria di esperti e che preveda dei premi da assegnare alle opere migliori. Intanto sarebbe anche importante che l’Amministrazione comunale intitolasse una strada o una piazza al maestro il cui talento come pittore e come disegnatore era ed è ancora unanimemente riconosciuto.
Ma per presentarlo a chi non l’ha conosciuto vorrei assumermi l’onere di tale compito pubblicando la lettera di commiato che scrissi dopo la sua dipartita, nell’agosto del 2012 e che è rimasta nel cassetto, fino ad oggi.
Si leggono su Coco definizioni riduttive, giusto per darne una collocazione e con ciò il gioco è fatto. Come i collezionisti compulsivi che vogliono soddisfare una pulsione interiore e profonda che viene da lontano. Essi sentono l’esigenza di fare ordine in un microcosmo a cui danno un’importanza eccessiva, maniacale, poichè dentro di loro, nella profondità del loro Io quell’ordine, quella pace serena, gratificante non c’è e convivono in un caos disperante. Allora il magma si cerca di sublimarlo con un ordine esterno che tuttavia non risolve il problema, non dà pace. Allora il collezionista cerca il pezzo mancante e quando lo trova lo incasella lo registra e lo dimentica, concentrandosi sulla caccia dell’oggetto del desiderio.
– “Coco è un surrealista!” Amen.
– “Chi Coco? a me non piace!”
– “E quando mai le donne si rappresentano come delle streghe?” “…e poi non si poteva parlare con lui: era scontroso con tutti!”
…..
L’ho conosciuto quindici anni fa presentatomi da comuni amici del Circolo Castriota, di cui era socio onorario. Non sapevo come rivolgermi a lui che s’era conquistato a Milano soprattutto e in altre città d’Italia e d’Europa una meritata fama di disegnatore, di illustratore e di pittore. Per qualche tempo mi rivolsi a lui chiamandolo “maestro”, anche se l’appellativo mi sembrava eccessivo. E comunque, del mio evidente imbarazzo mi tirò fuori presto invitandomi a dargli del tu. E da allora iniziò una “strana” amicizia che non conobbe rotture e stanchezze, tanto che alcuni suoi “ex amici” quando volevano informarsi su Pippo chiedevano a me qualche notizia.
Era difficile, invero, mantenere rapporti amicali con Pippo Coco poiché, quando essi cominciavano a diventare continuativi, intensi, apparentemente forti, Pippo trovava una scusa qualsiasi per interromperli e spezzarli. E dire che lui ne avrebbe avuto necessità di relazioni durature, visto che viveva da solo per scelta convinta. Era come se l’amico che si faceva presente, che lo cercava, che voleva intrattenersi con lui, gli togliesse libertà e quell’autonomia di giudizio a cui lui teneva fortemente e che si ritagliava nell’intimità della sua casa, nel suo studio-laboratorio, concedendosi soltanto qualche ora al Circolo per rilassarsi giocando a carte. Così, avendo capito tale meccanismo psicologico, quando lo incontravo, mi intrattenevo con lui per non più di dieci minuti (qualche volta si arrivava a mezz’ora quando con la solita passione mi parlava delle caratteristiche del surrealismo o del postmoderno o dei principi del Buddismo cui si sentiva molto vicino).
Pippo non era molto tenero con i suoi compaesani, anzi era un fustigatore spietato dei vizi caratteriali dei biancavillesi. Celebri le sue tavole create per l’edizione di due calendari voluti dall’amministrazione comunale. In tali occasioni diede prova oltre che del suo grande talento, di grande autocritica e di spiccato senso dell’ironia, fino ad uscire fuori dagli angusti limiti del suo campanile per evidenziare gli aspetti più egoistici e materialistici dell’uomo: la ricerca affannosa del potere, l’accumulazione del denaro, il cinismo, l’arroganza, l’egocentrismo e la supponenza, l’ignoranza.
Pippo non si definiva un disegnatore satirico, se alla definizione si vuole dare il senso dell’intervento salace per commentare la notizia dell’ultima ora o il personaggio politico. A lui interessava analizzare l’uomo e dell’uomo metteva in evidenza ciò che era riconducibile al sottosuolo, alle radici dell’inconscio profondo. Cercava e sapeva trovare le tracce dell’uomo cacciatore e nomade spinto dall’istinto di sopravvivenza. Quell’uomo che riusciva a battersi con animali più forti e più grossi ma meno violenti e ferali di lui.
Aveva una visione politica, Pippo? Certo non amava gli schieramenti né i condizionamenti. Uomo libero, amava la Verità e la Verità non abita né a destra né a sinistra, ma abita dimensioni alte, lì dove per raggiungerla bisogna essere disposti a intraprendere percorsi difficili, impervi, lungo sentieri stretti, dove c’è spazio solo per il concetto di Umanità. Da soli s’intraprende questo viaggio e non si può bleffare: si osserva, si interpreta, si giudica, si procede. Pippo non amava i diktat: aborriva gli autoritarismi; lo scandalizzavano Auschwitz e i gulag siberiani, il razzismo e ogni fondamentalismo politico o religioso, ogni comportamento ipocrita, mellifluo, accomodante, adulatorio. Egli amava la coerenza e non concedeva deroghe o scarti comportamentali alle affermazioni linguistiche. Il suo eroe era Don Chisciotte perché di quell’ingenuo condottiero amava la voglia di battersi per i valori di giustizia e verità, andando controcorrente e mordendo spesso la polvere, soddisfatto però di aver condotto, anche se in solitudine, la propria battaglia.
La sua cultura era vasta, non solo nell’ambito della storia dell’arte ma anche in letteratura (amava molto Cervantes). Non sopportava, dunque, il dilettantismo e, senza censure o falsi pudori, tranciava i suoi giudizi sferzanti su “poetastri” e “imbrattatele”, su attorucoli e improvvidi registi o su tronfi pseudo intellettuali.
Insomma un personaggio scomodo Pippo Coco, come chi, non avendo peli sulla lingua, lealmente e sinceramente esprime ciò che pensa a costo di risultare antipatico e di costruirsi fama di misantropo.
Ora che Pippo se n’è andato, forse i suoi tanti critici saranno più indulgenti. E a coloro che lo hanno apprezzato nonostante le sue ugge, mancheranno le sue dotte analisi sui pittori rinascimentali, moderni o delle postavanguardie. Ci mancheranno la sua sottile ironia, i fulminanti aforismi, le sagaci battute, il coraggioso, laico, libertario tentativo di minare alle radici pregiudizi, ideologismi e fideismi ottusi.
Quando si presentava nel suo autoritratto amava ritrarsi con grandi occhiali scuri, quelli che portava a tramonto inoltrato, a volte fino a sera. Erano un filtro, un ultimo baluardo difensivo tra il suo Io e l’altro e l’”esterno”, che sentiva distante e temeva. Le sue paure ed angosce, del resto, trovavano ampio spazio nei suoi lavori: donne aggressive, donne streghe, donne mostri a simboleggiare il lato oscuro dell’uomo presente e determinante il comportamento dei singoli individui. Quei volti, spesso ambigui e ambivalenti, rappresentavano la malvagità che alberga dietro il perbenismo. Le sue tavole prendevano di mira una società robotizzata in cui la ragione diventa strumentale al fine dell’accrescimento materiale dell’uomo; una società con i falsi miti consumistici che annullano ogni forma di spiritualità. Analisi nichilistiche dell’uomo, pessimismo senza speranza, solitudine come unico destino per l’uomo moderno. Ecco perché non c’era nella sua pittura nessuna esigenza della ricerca del Bello attraverso una presentazione figurativa del reale o nelle altre forme dell’impressionismo, nessuna forma ludica come nel simbolismo e nel surrealismo, nessun gesto rivoluzionario, come nelle varie forme d’avanguardie artistiche del primo Novecento, ma analisi spietata della realtà umana attraverso un tratto essenziale, semplice, efficace.
Il prossimo autunno gireremo ancora lo sguardo verso la porta d’ingresso del Circolo e per un attimo crederemo di vedere apparire Pippo con la sua giacca un po’ troppo stretta che saluta con un cenno della mano e che veloce attraversa il salone diretto al tavolo da gioco per uno scopone scientifico con Turi Lentini, con l’avvocato Salamone o col dottore Catania.
Noi adesso preghiamo Dio misericordioso perché possa accoglierlo in Paradiso memori della sua genialità, grati per le opere artistiche che ci ha lasciato e per il lustro che ha dato alla sua Biancavilla.
…le tavole del calendario sono una esemplificazione della sua arte e della sua visione del mondo. le pubblicheremo una ad una con commento del sottoscritto.
A proposito del maestro Coco ti voglio dare un piccolo aneddoto. Quando ero piccolo e leggevo i tanti giornali andavo a cercare le vignette di Coco, perché sapevo che era di Biancavilla e poi mi piaceva molto. Lo conobbi in tempi lontani perché suo padre, persona simpaticissima, era amico, anche se le età erano diverse, di mio zio Nino Greco e le volte che andavo a trovarlo nella Società degli Operai (di cui erano soci tutti e anche il Maestro) capitava che Coco figlio, tornato da Milano per qualche giorno, stava nella stanza di mezzo della Società e poi, a ora di pranzo, si avviavano insieme al padre e a volte anche con mio zio. Io li salutavo e me ne andavo. Il padre di Coco mi salutava con qualche battuta e il figlio mi guardava come se volesse dirmi tanto e non lo faceva o perché non gli veniva o chissà perché. Una volta ebbi il coraggio di chiedergli come stava a Milano e che mi sarebbe piaciuto andarci. Mi rispose con una frase profetica: “vai dappertutto basta che non resti qua! Perché qua si muore di inedia”.
Caro Alfio non voglio annoiarti di più, ma per me quelle parole furono importanti.
Ciao a presto.
Vincenzo D’Agati
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Ho sempre amato l’arte Naif, così dolce e tenera nei vari soggetti, così soave nei variopinti colori, passione la mia incompatibile con l’arte del maestro Coco.
Per questo chiedo umilmente scusa se posso sembrare irriverente, dissacrante, al Maestro prima, e a quanti lo hanno conosciuto. Consideravo la sua arte incomprensibile, aggressiva, in alcuni tratti addirittura schizofrenica.
Del resto, non è certo il primo artista ad essere considerato tale, basti pensare per un attimo al grande Van Gogh e tanti altri, e non è il primo personaggio famoso nel mondo che resta poco o niente amato nel proprio ambiente d’origine; non per niente il detto “nessuno è profeta in patria!”
Figuriamoci, anche per nostro Signore Gesù è stato così! …
Ma devo ammettere che di recente, qualcosa in me è cambiato, avendo spesso ammirato alcuni dei suoi lavori esposti per diverso tempo nel salone delle conferenze a Villa delle Favare.
Ho visto in quei lavori una sofferenza nascosta, quasi un dolore inconfessato, espresso in soggetti e contenuti estremi, inusuali, con tante forme sovrapposte, come a voler confondere lo spettatore e proteggersi da eventuali critiche.
Sicuramente resterà a lungo nella storia del nostro Paese, come spero lo sarà ancora e per tanto tempo nella storia dell’Arte, come tanti suoi colleghi estimatori e promulgatori di poesie “stampate!
Santina Costanzo
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