Il testo è recitato da Giovanni Casella e da Alfio Pelleriti
Presentazione
E’ una canzone in vernacolo siciliano composta di settenari alternati a ottonari ed endecasillabi, divisa in cinque stanze di varia lunghezza.
La vicenda presenta l’incontro tra un professore che mena vanto della sua erudizione con un povero pescatore, al quale fa pesare durante una escursione in barca nella baia di Aci Trezza, la sua ignoranza e l’abisso che lo separa da lui, professore e studioso di astronomia e di scienze naturali. Il pescatore, risponde all’altezzoso professor Cicoliu con umiltà, ammettendo la propria ignoranza, ma affermando che comunque si sente soddisfatto perché è riuscito a dare un senso alla propria vita con la dignità del suo lavoro, con la fede in Dio e apprezzando ogni elemento anche il più semplice della realtà. Poi un’improvvisa burrasca e un forte vento fa capovolgere la barca e i due naufraghi devono cercare di sopravvivere. Il pescatore sa nuotare e si salva, il professore, pur avendo tante conoscenze, non sa nuotare e soccombe quindi al mare in tempesta.
Il componimento rivela il talento dell’autore nel versificare, poiché egli crea armonie metriche e stilistiche non comuni, ma soprattutto colpisce la sua capacità di saper dosare l’ironia e il sarcasmo senza mai farlo divenire mordace o greve. Al contrario, monsignor Distefano spinge al sorriso e spesso suscita un divertimento sano che conduce ad una naturale riflessione sull’uomo e sui rischi che egli corre quando crede, con superbia, di padroneggiare il mondo illudendosi di conoscerlo e quindi di poterlo gestire. (A.P.)




Grazie. È un piacere multiplo: scoprire la grazia e la leggerezza di un poeta compaesano di cui non sapevo nulla; conoscerne l’opera attraverso voci di cui riconosco il timbro, che sono miei ricordi di gioventù; godere la bellezza letteraria del dialetto che giace come un tesoro di monete fuori uso nella mia anima, come i grumi di monete antiche che si vedono nei musei archeologici. E altro ancora. Grazie.
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Divertentissima performance di due lettori che danno valore ad un testo già “saporito” per la presenza di termini vernacolari quanto mai ri-cercati, introdotti con maestria da una elegante metrica. Dalla lettura emerge il piacere dei due lettori che si divertono a loro volta a dare varie intonazioni ai particolari momenti che la narrazione richiede. “La scienza di Cicoliu” non è, a parer mio, solo una risposta, o una meritata conclusione, alla supponenza di chi vanta, esagerandole, le proprie virtù, ma valorizza pure la presenza di quell’altro mondo, quello del semplice Giovanni, che dà vita ad un sereno quadretto tanto comune e non meno importante tra la gente dell’ambiente marinaro: gli affetti familiari, la conoscenza dei mutamenti atmosferici, l’impatto che gli stessi hanno sulle correnti marine, i sacrifici che il lavoro comporta, e naturalmente la serenità, che non appare rassegnazione, dell’accettazione del proprio stato. Mentre Cicoliu non ci dice niente di sé, di ciò che vorrebbe, di ciò che sente, parla di cose che ha studiato, cose “altrui”, non sue, e di quelle si vanta. Credo che Mons. Distefano abbia voluto presentare così dietro Cicoliu, tutta quella umanità che lavora e regge in silenzio le sorti di un Paese, lasciandoci un messaggio che fa della vanità un bene effimero quanto necessario per alcune persone.
Elsa Vittoria Sangiorgio
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È un arido sapere quello di Cicoliu, sciorinato solo per “mortificare” il pescatore, il quale nella sua umiltà mostra tutta la grandezza.
Neanche un grazie al Creatore o un semplice pensiero di ammirazione nel guardarsi intorno in quell’immenso mare azzurro e per tutto il silenzio che li avvolge, rotto solo dal rumore dei remi che vogano e dal suo continuo ininterrotto eloquio che mai appare stancarlo. Mi è sembrato di vederli, i due, nella barca, così ben descritta la scena e magistralmente interpretata da sembrare a teatro.
Ma così è il teatro della vita!
Così bella la giornata di primavera, finita in tragedia.
Nemmeno un pensiero di redenzione nell’ultimo respiro: esala ingoiando acqua salata ed insultando il pover’ uomo giudicandolo “Giufa’”.
Lui, il professore muore con tutto il suo pesante bagaglio di sapere che non gli è servito a salvarsi. Cosa resta da aggiungere ad una storia tanto triste quanto appassionante? ….che sorella Umiltà lo avrebbe reso amabile, più prudente e meno ingordo.
Ancora una volta un sentito Grazie di cuore ad Alfio con tanti complimenti da estendere anche al Dottore Casella che simpaticamente ha condiviso il riuscitissimo esperimento.
Santina Costanzo
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