Monsignor A. Distefano, “Saper leggere”

di Alfio Pelleriti

Poche volte mi è capitato di conversare con monsignor Distefano, lì nei pressi della chiesa del Rosario. Era amabile, sorridente, accogliente e subito riusciva ad eliminare quella tensione che si crea tra persone che si intrattengono non appartenendo alla stessa generazione e non avendo contatti abituali. Percepiva l’imbarazzo di noi ragazzi degli anni Settanta e interveniva prevenendo tempi “morti” nell’incontro, momenti in cui di solito non si sa cosa dire e su cosa; se salutare e andar via o fidare nel proprio estro tirando fuori un argomento originale e interessante, lì su due piedi, col rischio concreto di essere inopportuno, invadente o ridicolo. Allora prendeva lui l’iniziativa quasi scrutando cosa accadeva nel nostro cuore e nella nostra mente, e gestiva l’incontro con una delicata autorevolezza, senza farlo notare o pesare. “Allora, tu sei Alfio Pelleriti, hai segnato il numero che ti avevo dato nel nostro precedente incontro? Il tuo numero è il 37!” diceva guardandomi dritto negli occhi, ed io li sgranavo per la meraviglia, chiedendomi come potesse ricordare quel numero che gli avevo comunicato tanto tempo prima. La stessa sensazione di stupore si provava quando si assisteva in TV alle straordinarie esibizioni di Silvan che con le carte tra le mani e con il suo “Sim sala bim!” lasciava basiti. Poi rivolto al mio amico ripeteva anche a lui il numero azzeccandolo e quindi sorrideva soddisfatto, sottolineando l’importanza dell’esercizio della memoria, della necessità di apprendere le giuste tecniche per potenziarla. Poi chiosava su qualche avvenimento di attualità e ci salutava lasciandoci liberi di godere della nostra giovinezza, con i suoi profumi, con gli splendidi progetti, con le profonde convinzioni ideali.

Sono trascorsi almeno 45 anni da quegli incontri e solo in questi giorni ho letto per la prima volta “Saper leggere”, un saggio sulla lettura e sulle abilità che devono essere messe in campo perché essa sia giusta, efficace, utile per la comprensione del testo e propedeutica alla memorizzazione della sua struttura logica. Il lavoro, presentato sotto forma di dialogo tra un nonno e il nipote, possiede una forte valenza educativa e didattica, pur conservando una levità espressiva che richiama spesso i dialoghi platonici. Nel saggio, l’autore sottolinea l’estrema importanza della lettura del testo suggerendo tecniche appropriate; mette sapientemente in relazione l’interesse per la lettura, specialmente dei classici, con l’esercizio della scrittura; sottolinea il valore dello studio coniugato con la ricerca costante del Vero; fornisce una definizione del Bello che richiama quella kantiana fondata sulla differenza tra “gusto”, caratteristica individuale di apprezzamento del bello e “senso comune”, caratteristica universale, “a-priori”, direbbe il filosofo della “Critica”. Attraverso la percezione del Bello, osserva il “nonno”, si può approdare alla cognizione del Bene e alla percezione di una dimensione spirituale che si nutre non solo di relazioni con i coevi ma anche e soprattutto con i grandi del passato, necessarie per l’aspirazione ad una realtà escatologica e al consolidamento di una fede nel Dio Creatore.

“Saper leggere” va oltre la trattatistica per approdare al romanzo/saggio e oserei affermare, che esso assume, a tratti, le connotazioni di una preghiera, segnando una luminosa strada per i giovani, indicando loro di impiegare bene il loro tempo, unico, prezioso, ma breve. Ed è proprio sul concetto di tempo che si impegna particolarmente monsignor Distefano, per lanciare al lettore un vibrante monito a non sprecarlo con un iperattivismo privo di finalità etiche o con atteggiamenti indolenti che si rivelerebbero improduttivi, oltre che possibili prodromi a turbe del comportamento e della personalità in generale.

Nei moderni trattati sulla lettura si possono trovare passaggi indicati dal Nostro a proposito, ad esempio, della lettura ad alta voce; dei ritmi di lettura da rallentare al fine di una migliore comprensione connotativa del testo; delle giuste pause da inserire anche oltre quelle indicate dalla punteggiatura; della necessaria interpretazione del testo; della indispensabile dizione chiara, scandita, evitando assolutamente l’enfasi o le insopportabili cantilene o le impostazioni artefatte della voce, scandendo sillaba per sillaba senza supponenza alcuna, identificandosi con i personaggi, calandosi nelle situazioni o nelle problematiche presentate dall’autore. Dice monsignor Distefano di andare all’incontro con i classici “disarmati”, cioè senza pregiudizi, disponibili a prestare ascolto a quanto hanno da dirci della propria esperienza esistenziale Leopardi o Dante Alighieri, o Alessandro Manzoni o il grande Sofocle. Leggere significa essere disponibili a farci attraversare cuore e mente da eventi gioiosi o tragici, afferma il Nostro, raccontati o presentati in versi, e consentire di fare risuonare nella propria anima quel “canto”, quella “sonata”.

Un dialogo tra nonno e il giovane nipote, tra due generazioni lontane nel tempo cronologico ma unite dall’amore del nonno, convinto come Socrate che l’essenza della ricerca della verità sia la prossimità al Bene, che, a sua volta, non è da intendere come un ente statico ma come un fine che si conquista in maniera dinamica: nella pratica della carità, cioè dell’altruismo disinteressato, nell’azione quotidiana per affermare la giustizia.

Devo concludere che dopo aver letto il saggio di monsignor Distefano non citerò più il docente/scrittore di successo Daniel Pennac e il suo pamphlet, “Come un romanzo”, nel quale lo scrittore francese consiglia ai ragazzi che si annoiano leggendo, fosse anche un classico, di prendersi la licenza di saltare qualche pagina o qualche capitolo; oppure a chi ha una curiosità irrefrenabile di giungere repente alla fine, suggerisce che si può anche trasgredire la consuetudine e andare subito alle ultime pagine per riprendere dopo dal punto lasciato momentaneamente. No, non dà tali consigli al “nipote/alunno” il “nonno/professore”. Altri sono i suoi suggerimenti: abituarsi al sacrificio e alla costanza nello studio con atteggiamento serio e maturo; dedicare un tempo determinato della giornata alla lettura condotta col giusto metodo, magari usando il dizionario per i termini  sconosciuti; magari prendendo qualche appunto su concetti particolarmente elaborati e complessi; magari chiedendosi, man mano che si legge, se si sta comprendendo tutto e fino in fondo o si sta vagando altrove con la fantasia o con le “associazioni libere”; e infine, finita la lettura, provare a scrivere un breve riassunto o meglio una recensione.

Leggere senza fretta è il segreto, dice il Nostro: “festina lente” (agire ma con cautela), con l’atteggiamento dello scalatore che impavido supera immensi ostacoli per giungere all’agognata vetta. E ancora tanti altri suggerimenti e non solo agli studenti in “Saper leggere”, attinti da studi teologici e filosofici, si possono trovare nel saggio, illuminante e profondo, oltre che campione di levità formale.


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