Antonio Scurati, M Il figlio del secolo

di Alfio Pelleriti

Un grande, vero narratore, Antonio Scurati, perché in ogni pagina di questo ponderoso volume che impaura alquanto il lettore più votato al sacrificio non si nota una frase, una parola fuori posto. I cinque anni più importanti della vita di Mussolini, dal 1919 al 1924 sono inseriti in un contesto di fatti drammaticamente importanti e di “accidenti” che rendono avvincente la lettura. Si nota una narrazione che procede sempre con il giusto ritmo senza concessioni a divagazioni inutili, a orpelli retorici, ad approfondimenti pedanti. Il lettore è incollato al testo e procede senza annaspare, godendo delle azzeccate citazioni, delle precise descrizioni di eventi che appaiono chiari fin nei minimi particolari, della presentazione di personaggi anche secondari, delle sintesi folgoranti. Insomma una cadenza narrativa che somiglia al galoppo d’un purosangue sanfratellano, il cavallo dei Nebrodi che sei sicuro non ti abbandona mai, con cui entri subito in sintonia, come avviene tra due vecchi amici d’infanzia. Scurati sa come tenere incollato il lettore ad ogni pagina della storia; gli fornisce tutti gli elementi per poter entrare nell’atmosfera di un’epoca, e magicamente, lui che vive nell’anno 2019, si proietta nel 1919 senza avvertire strappi e costrizioni, e partecipa anche lui di quelle passioni, delle paure, delle tragedie soffrendo per delle scelte di individui o di gruppi che decideranno le sorti del popolo italiano.

No, non stanca il lettore Antonio Scurati, poiché con maestria tipica dei grandi registi sa scegliere i tempi, sa quando interrompere una sequenza per riprenderne un’altra che aveva sospeso; sa inserire considerazioni personali su eventi e personaggi senza forzature, con tocco garbato e sapiente, assumendosi tuttavia l’onere del giudizio.

La costruzione formale del testo è affidata a periodi non complessi, non ridondanti, ma chiari ed efficaci nell’economia della comunicazione; spesso fa ricorso a gemme espressive rare, belle ed uniche per rendere aristocratica o romantica una sequenza. Questa sua perizia ed eleganza nella costruzione linguistica del suo corposo romanzo/saggio (ottocentoquaranta pagine) gli conferiscono una fluidità narrativa che spinge il lettore a non fermarsi, ad andare avanti seguendo l’inserimento sapiente delle tante tessere del “mosaico”. È così che nel presentare alcuni momenti della biografia di Mussolini e nell’evidenziare tratti caratteristici della sua personalità, è facile accostare Scurati a Pietro Citati, perché come lui, sa condurre il lettore in un lungo viaggio pieno di piacevoli scoperte, di contrastanti e forti emozioni, che soddisfano mente e cuore senza mai cadere nella pedanteria o nell’avventatezza di trinciare giudizi affrettati.

E il contenuto? È un romanzo biografico? È un saggio storico? È una cronaca puntuale e analitica sugli anni più decisivi per la storia d’Italia del secolo scorso?

Tutti questi aspetti sono contenuti nell’ottimo lavoro di Antonio Scurati che presenta un arco temporale di cinque anni, dal 1919 al 1924: dal proclama di Piazza San Sepolcro a Milano e la costituzione dei Fasci italiani di combattimento al delitto Matteotti. Sono gli anni del “fascismo movimento”, quelli che già rivelano il suo vero volto e soprattutto presentano con chiarezza le caratteristiche psicologiche del suo capo: un uomo cinico, violento, amorale, bestemmiatore compulsivo, puttaniere senza scrupoli, esageratamente egocentrico, come tutti i dittatori, risoluto nella realizzazione dei suoi progetti e determinato nell’eliminazione anche fisica di coloro che lo ostacolavano.

Tanti sono gli elementi storici, culturali e sociali che fanno da sfondo alle vicende del “figlio del secolo”, cosicché emerge chiara, trasparente, la drammaticità di quei cinque anni che porteranno l’Italia ad una feroce dittatura e ad un’altra guerra mondiale. Furono gli anni dello squadrismo violento, degli incendi alle camere del lavoro, alle sedi dei giornali liberi, ai partiti tradizionali, delle uccisioni sommarie di contadini e di operai sindacalizzati. Squadre di ex arditi, già allenati a sgozzare o a colpire a morte con bastoni rivestiti in ferro o ai pestaggi a sangue, caratterizzarono il clima politico e sociale di quegli anni. Mussolini e i suoi sodali scientemente, cinicamente si avvalsero di tale ferale strumento di persuasione nei confronti degli avversari politici per ottenere col terrore, quel consenso elettorale che li avrebbe portati al potere.

Scurati fa finalmente giustizia di un certo revisionismo storico tendente ad uno sdoganamento morale e politico del fascismo. Si pensi agli scritti di Giampaolo Pansa: “Il sangue dei vinti” o “Sconosciuto 1944”; alle biografie di Mussolini presentato come un grande statista (ma si può definire in tal modo un mandante di omicidi e di aggressioni fisiche contro avversari politici?); si pensi alla presentazione di gerarchi fascisti come degli impavidi eroi, come Italo Balbo, dedito in quegli anni alle bastonature di socialisti e liberali e dopo, come comandante della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e sottosegretario al ministero dell’economia, dedito ad affari fraudolenti.

Scurati ci ripropone una verità storica che si tende, anche ai nostri giorni, ad oscurare o ad ammorbidire: i capi storici del fascismo a partire dai quadrunviri della “marcia su Roma” e dallo stesso Mussolini terrorizzarono la nazione, soprattutto la parte settentrionale e centrale di essa, ottenendo il consenso con le aggressioni e le minacce continue, facendo strame dei principi democratici e instaurando una dittatura cinica e violenta. Lo stesso Mussolini dichiarava dalle colonne del Popolo d’Italia o nei suoi discorsi pubblici la necessità della pratica della violenza, l’inutilità delle istituzioni democratiche, la contrarietà ai valori della pace e delle libertà civili, l’impossibilità del libero pensiero e della libertà d’espressione, una considerazione negativa del popolo, ritenuto semplicemente “massa” (“le masse son fatte così: basta guidarle e loro seguiranno come i bambini”).


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