“BAUDOLINO”, IL “NON ROMANZO” DI UMBERTO ECO

di Alfio Pelleriti

Baudolino ad Alessandria
La costruzione di una città nuova

Dopo Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault e L’isola del giorno prima, nel 2000 Umberto Eco pubblica Baudolino. Un’opera ponderosa, stracolma di informazioni sulla società altomedievale, sulla sua storia, sulla sua cultura. Il professore stupisce ancora una volta per la sua vasta erudizione che si irradia puntigliosamente nella trama del racconto, con discutibili risultati, purtroppo, per l’economia complessiva della narrazione.

La vicenda di Baudolino comincia nel 1154 nel territorio che sarà di lì a poco quello di Alessandria. Il ragazzino, per una serie di circostanze, lascia la sua famiglia, povera come tante, e diventa figlio adottivo dell’imperatore Federico Barbarossa e, grazie alla sua intelligenza e alla sua sagacia, sarà il suo più fedele consigliere.

Eco vuole fornire al lettore uno spaccato della civiltà medievale con tutte le sue peculiarità, con le sue contraddizioni, con i miti, le leggende, le tradizioni, con la mistione di sacro e profano che caratterizzava la vita di quegli individui, soprattutto quella delle classi popolari. È certo un originale modo di presentare un saggio sulla mentalità vigente in un’epoca, e il lettore spesso si trova catapultato da un genere all’altro di narrazione e si chiede se l’autore si stia muovendo nell’ambito storico o in quello della pura immaginazione o, come nel Nome della rosa, in un giallo storico.

Umberto Eco

Una figura centrale del racconto è quella dell’imperatore Federico Barbarossa presentato in tutta la sua fragilità di uomo che tergiversa continuamente e drammaticamente prima di fare una scelta volta a difendere la sua autorità, messa a rischio dall’intraprendenza dei comuni padani che mirano a conquistare una loro autonomia; oppure sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei musulmani che tentavano di estromettere i cristiani dalla Terra Santa, o se, dopo aver conquistato una città, doveva menare strage degli abitanti mostrandosi inflessibile o, viceversa, mostrare misericordia risparmiando loro la vita.

Eco scrive un saggio storico camuffato da romanzo, avvalendosi del suo protagonista per presentare un’epoca storica complessa e dai connotati drammatici, dove la violenza e la cattiveria degli uomini stavano insieme alle estreme ingiustizie, alle superstizioni, ai pregiudizi. Presenta un mondo dove la vita era appesa al filo sottile della casualità, dove la massa popolare viveva o moriva in relazione ai capricci del vassallo di turno o del Papa o dell’antipapa o del vescovo o dell’imperatore.

Il “Non romanzo” di Eco fluttua nel tempo dell’alto medioevo mettendo in evidenza ora le problematiche tra impero e papato o tra impero e comuni dell’alta Italia; ora assumendo i connotati di vicenda cavalleresca con Baudolino protagonista di intrighi, strategie, tattiche geniali per mettere nel sacco i nemici di Federico Barbarossa, suo padre adottivo e mentore; ora, all’improvviso, l’autore dà spazio all’avventura pura: un manipolo di uomini al comando dell’eroe Baudolino cerca di lucrare sull’ignoranza e sulle superstizioni diffuse anche tra i potenti, proponendo “affari” da non perdere: il Santo Graal (uno sgangherato boccale di legno usato dal padre di Baudolino in quel d’Alessandria); la testa di Giovanni Battista ed altre reliquie di santi, anche inventati, per evitare contraddizioni o smentite; il Sacro lenzuolo con impresso il corpo di Cristo; la macchina che crea il vuoto; un antidoto a tutti i veleni e altre improbabili “occasioni da non perdere” che in realtà sono autentiche “sole”.

Si rivela ammirevole la capacità di Eco di presentare uno spaccato della società medievale con tutte le variabili legate alla teologia, alla politica, alla religione, alle tecniche militari, alla mentalità, adoperando la tecnica narrativa. Il risultato tuttavia lascia perplessi poiché il lettore si trova davanti un ibrido ponderoso (525 pagine) che non è un romanzo, non è un saggio, non è un racconto biografico, anche se in Baudolino è facile individuare Eco, con la sua voglia di raccontare, di precisare, di argomentare.
Nel finale si assiste a un’ennesima sterzata stilistica e il protagonista, alla ricerca del regno del Prete Giovanni e della sua lettera di cui parlano saggi del tempo (Solomon, Zosimo, Kyot, Ardzrouni, Abdul) attraversa un territorio vasto, bello e orrido insieme, abitato da esseri che sembrano venuti da altre galassie. È il tipico ambiente fantasy dove la realtà cede il posto all’immaginario.

dalle Cronache di Norimberga

Il gruppo di cavalieri, accomunati dal desiderio di andare incontro all’ignoto e da quello altrettanto forte dell’arricchimento, incontrerà nel regno di Pndapetzjm le “ipazie”, fanciulle metà umane e metà caprine e con l’unicorno; gli “sciapodi”, uomini velocissimi anche se dotati d’una sola gamba con il piede palmato; i “blemmi” esseri senza testa, con gli occhi al posto dei capezzoli e un’unica apertura in pieno petto a far da bocca e da naso insieme; e ancora i satiri, gli eunuchi, i giganti.

Questo “non romanzo” di Umberto Eco contiene pagine esaltanti nella descrizione di ambienti, passioni, eventi ora comici ora tragici; altre raggiungono vette elevate quanto a sapiente costruzione linguistica e armonia espressiva; e certamente poetiche quelle dedicate alla dolce ipazia amata da Baudolino e le ultime, dedicate alla sua tragica fine.

Tuttavia ve ne sono tantissime che stancano e annoiano per la pedanteria nel riportare notizie storiche che Hegel avrebbe definito “accidenti” e gli storici delle Annales “événementielles”. Esse tolgono levità alla narrazione e il lettore spesso è portato a seguire i consigli di Daniel Pennac in “Come un romanzo”: saltare qualche pagina si può, a volte qualche capitolo; succede che a volte il desiderio di finire quel libro che hai in mano ti porta ad andare al finale o, in certi casi estremi, sarebbe bene chiudere il libro prima che la disaffezione alla lettura cresca in te come la gramigna.

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