di Alfio Pelleriti

Il saggio del professore e teologo Vito Mancuso, “Dio e il suo destino” è stato pubblicato nel 2015 da Garzanti.
Un filo rosso unisce le opere del teologo: distinguere la religiosità formale da quella che si nutre di ricerca e che si sostanzia in comportamenti coerenti col Vangelo, cioè comportamenti volti alla realizzazione del bene, e nel vedere in Dio una sorgente di Logos e di energia che si traduce poi nell’amore.
In questo libro la tesi portata avanti dal Nostro è quella di demolire la visione di una divinità onnipotente, che egli definisce “Deus”, di un Dio Padre e Signore che è Beato ma pronto a giudicare gli uomini anche in maniera inflessibile, e vuole dimostrare che vi è un Dio che è causa del mondo e che vive nel mondo; un Dio che ogni uomo può incontrare ogni volta che compie un gesto d’amore e di carità; un Dio che soffre con gli uomini perché partecipa dell’evoluzione del mondo, anzi ne sostanzia la direzione e ne fornisce il senso; un Dio che sta alla base della dimensione spirituale dell’uomo perché di essa ne è causa e fine; un Dio, infine, che non esclude il caso, l’imponderabile (“deum” lo definisce Mancuso) che nella storia degli individui e dei popoli occupa un ruolo importante.
Largo spazio dà l’autore ai più importanti eretici che diedero vita a movimenti che portarono la Chiesa cattolica a reagire soprattutto in campo dottrinale. In fondo fu grazie a tale confronto, a tale reazione, che la Chiesa diede ordine alla dottrina che poi diventò ufficiale. Come ad esempio avvenne con gli gnostici o con Ario, da cui il primo Concilio ecumenico di Nicea nel 325 che ratificò il dogma della consustanzialità tra Padre e Figlio e poi, nel 381, a Costantinopoli, il dogma della Trinità.

La creazione di Adamo
Volta della Cappella sistina
Interessante l’analisi di tanti passi dell’Antico Testamento dove mette in evidenza forti aporie sulla presentazione di un Dio violento e contraddittorio con il suo popolo eletto, ma anche e soprattutto con i nemici degli ebrei. Un Dio geloso, che infligge punizioni e che in maniera spietata mena strage degli uomini, cioè delle sue creature, dei suoi figli. Inoltre, Egli appare come un Dio non dell’Umanità ma solo di un popolo. Tale concezione, sostiene Mancuso, la si nota anche nel Nuovo Testamento, man mano che ci si allontana, nei Vangeli, dal Gesù storico, cioè nell’ordine, da Marco, e a seguire Matteo e poi Luca e infine Giovanni. Nell’Apocalisse si ritrova l’atmosfera cupa del Giudizio finale, ove non c’è posto per la misericordia verso i peccatori. Tanto che Marcione vissuto nel II secolo, pensava al solo libro di Luca e alle lettere di Paolo per il Nuovo Testamento, eliminando gli altri tre perché intrisi di filo ebraismo.
Rilievo importante poi assegna l’autore alla libera ricerca, alla teo-logia, cioè all’analisi libera, filosofica, su Dio, senza la quale la Dottrina rimane asfittica, chiusa in se stessa e incapace di capire il mondo. Senza dialettica, senza libertà, ricorda Mancuso, si rischia di non cogliere il senso profondo del cristianesimo, che deve essere letto alla luce di un mondo nuovo, ricco di esperienze, di un’umanità che si è evoluta dal punto di vista della ricerca in tutti i settori e dunque capace di fare tesoro di tali esperienze anche drammatiche per riflettere su Dio e inserirlo nella riflessione sulla storia, sull’evoluzione, sulla ricerca filosofica, teologica, scientifica. “Se non tocca il presente la Scrittura rimane scrittura, una delle tante scritture più o meno interessanti prodotte dagli uomini. Solo se tocca il presente generando in essa la carità, la scrittura diviene Scrittura, meglio ancora ‘Parola di Dio’… e quanto narrato nella Scrittura non ha altro valore che manifestare alla vita qui ed ora che il vero senso dell’esistenza è l’amore…la rivelazione c’è da sempre con il sorgere stesso della vita dell’uomo e che è l’eternità del vero amore il cui unico tempo è il presente.”

Durante la lettura del libro “I cani e i lupi”, di Irene Nemirovsky, una pagina in particolare mi ha sorpreso e mi ha riportato a “Dio e il suo destino”, perché si presenta la percezione di Dio che hanno gli ebrei ortodossi che richiama il “Deus” autoritario, giudice inflessibile dei primi capitoli del saggio: “Dio, immobile e onnipresente, spiava l’uomo come un ragno al centro della tela, pronto a punirlo se si mostrava orgoglioso della sua fortuna, Dio non si distraeva mai, era instancabile e permaloso; bisognava averne timore e, pur rendendo grazie alla sua benignità, non lasciargli credere di avere esaudito tutti i voti della sua creatura, affinchè non l’abbandonasse e continuasse a proteggerla.” (Irene Nemirovsky, I cani e i lupi, pp.17-18, Parigi 1940, Milano 2012 Edizioni RCS MediaGroup).
Vito Mancuso fa chiarezza, dipana dubbi e getta luce su una materia, la concezione di Dio e il rapporto Dio-Mondo, da sempre complicata. E ancora cerca di dare risposte a domande fondamentali: da dove viene il male? Qual è il ruolo di Dio nella creazione? Come si colloca nella visione di Dio la venuta di Gesù di Nazareth? E poi ci dice cosa significa per lui credere in Dio e con una sintesi straordinaria, afferma: “Io penso a Dio come una casa. Non come un punto isolato là in alto, ma come la dimora del livello più raffinato dell’essere-energia che chiamiamo spirito…”

Vi si trova un richiamo alla Chiesa e ai fedeli perché svolgano un ruolo attivo nel perseguire il bene e la giustizia; indica una visione trinitaria per superare gli steccati del teismo e del deismo, per recuperare la dimensione dello spirito che, in quanto tale, può esercitarsi solo nella libertà di scelta. Sostiene che sarebbe importante riconoscere che per perseguire il bene e rispettare ogni elemento del creato la mia fede deve diventare “politica” oltre che etica, aldilà di ogni concordato tra Stato e Chiesa. E infine che bisognerebbe evitare la trasmissione acritica della dottrina, perché diventerebbe autoritaria ed autoreferenziale.
L’autore chiude la sua analisi riferendo di un suo incontro con Don Gallo con il quale discusse dei temi affrontati nel suo libro e che gli raccontò un episodio, giunti ormai al momento dei saluti: ad un suo amico che gli poneva la difficile domanda sulla Trinità, per cui 1 + 1 +1 non fa tre ma uno, egli con convinzione rispose: “Sai non so come risponderti, ma una cosa per me è chiara: Dio è antifascista!” Con tale affermazione Don Gallo voleva indicare non un Dio come quello immaginato dai crociati o dai nazisti che si davano a trucidare i loro “nemici” al grido di “Dio è con noi!”, ma un Dio che è padre di tutta l’umanità contrario ad ogni ipocrisia. A che vale che si invochino i santi e la Madonna e poi si odiano i diversi e non ci si pone il problema degli africani che a centinaia di migliaia ancora oggi muoiono di fame e per le guerre. Dio è “antifascista” perché sta dalla parte di chi soffre ed è sfruttato, ridotto in schiavitù da chi vuole garantirsi alti profitti e poi, senza remore morali, alla domenica, col vestito buono ed il rosario in mano, va in Chiesa a recitare il Credo. “La religione”, dice Mancuso, “nasce come estensione a tutto il genere umano, direi a ogni forma di vita, dell’essenza umana in quanto cura. La religione è cura per il destino di tutti i viventi, passione della mente e del cuore perché il senso di ogni vita sia custodito e la sua esistenza non sia stata vana.” (pag. 402)
SEI UN ERETICO!
di Alfio Pelleriti
Succede che le parole a volte, certe parole almeno, occupano prepotentemente uno spazio significativo della mente e della coscienza insieme.

Succede che una parola all’interno di una frase scandita da un passante o da chi ti accompagna in una passeggiata lungo il corso, rimanga lì, incastrata nelle pieghe del tuo preconscio, e non si decide a scendere più sotto, nelle profondità del “buco nero” dell’inconscio dove tutto ciò che si avverte come inutile o troppo tagliente e spigoloso da ferire il nostro Ego, sprofonda rimosso, e la vita può riprendere serena come prima. Ma succede, a volte, che il meccanismo s’inceppa per cui certe esperienze lasciano traccia e provocano ferite che stentano alquanto a rimarginare.
“Vito Mancuso non è serio! Di ciò che dice non accetto nulla! E’ un eretico!” questo l’ennesimo giudizio negativo sul teologo discepolo del cardinale Carlo Maria Martini, sul filosofo e professore che mi ha permesso di riscoprire Dio, vivificando la mia fede; colui che mi ha aiutato a guardare al mondo con gli occhi del credente nella Parola di Gesù, squadernandomi una visione sublime della vita e permettendomi con le sue analisi di cogliere il senso della vita.
Sono rimasto allibito, esterrefatto, sentendo queste frasi buttate lì, quasi senza attenzione, su uno studioso e un teologo apprezzato dagli ambienti progressisti della Chiesa, denigrato da quelli più oltranzisti e conservatori.
Tali affermazioni gratuite tuttavia mi spingono a qualche riflessione. Si può affermare, oggi nel terzo millennio, che un intellettuale, un filosofo, sia un “eretico”? Quali significati cercare in tale apodittico giudizio in un contesto culturale dove le libertà di pensiero e di espressione si sono affermate grazie a settant’anni di gioco democratico e a leggi e principi sanciti dalla più bella Carta costituzionale del mondo? Tacciare la visione religiosa di un teologo come “eretica” solo perché non soddisfa le esigenze dell’ortodossia più conservatrice significa riportare le lancette del tempo storico al Medioevo.
Quell’aggettivo suona come una condanna a morte da eseguire sulla pubblica piazza, a monito di eventuali altri moti libertari. Vito Mancuso può non essere d’accordo su interpretazioni della Scrittura che si sono affermate nel tempo, può dissentire su alcuni punti del Catechismo tridentino del XVI secolo o su quello di Pio X del 1905, ma fin qui siamo nella normalità dialettica. Altrimenti cosa dovremmo farcene del grande teologo e saggista Hans Kung, teorico del confronto costante tra cristianesimo e altre religioni e critico del pontificato di Giovanni Paolo II e del successore, Ratzinger? O ancora del teologo Karl Barth o della eroica testimonianza del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer? Di Pavel Florenskij e di Simone Weil? Del nostro Enzo Bianchi o di Alberto Maggi, di Don Gallo e di Davide Maria Turoldo?
La parola “eretico” dovrebbe essere bandita dalla nostra cultura. Se ancora ha senso l’adagio agostiniano per cui non si dà una vera fede senza ragione e non può esserci ragione produttiva del Vero senza l’apporto della fede.
Penso che il cardinale Carlo Maria Martini o il nostro amato pontefice, Sua Santità papa Francesco, non abbiano mai immaginato di usare tale termine perché esso stride col senso profondo del Vangelo, che rimanda all’amore universale e al senso di misericordia e di accoglienza senza escludere nessuno dei peccatori o in ragione della fede religiosa, politica, dell’appartenenza alla classe economica.
Proprio Gesù era solito indicare scribi e farisei, cioè gli ortodossi, i difensori della tradizione, con i peggiori epiteti. Erano costoro i suoi persecutori. Furono loro a strapparsi le vesti indicandolo come “eretico”. Con tale accezione mai Gesù indicò il peccatore. A Lui non interessava difendere una vuota e fredda ortodossia ma indicava con la sua vicenda umana, con il sacrificio sulla croce l’amore per l’umanità e con la Resurrezione la speranza della salvezza e della gioia eterna.
Cosa dire infine, se usassimo la rigidità dei giudizi senza appello dei difensori del Catechismo, del consesso interreligioso di Assisi dove cattolici, protestanti, buddisti, induisti, musulmani, scintoisti pregano insieme per comuni obiettivi Iddio nostro Padre? E cosa dovremmo dire del “Cortile dei gentili” organizzato ogni anno dal cardinale Gianfranco Ravasi per dialogare con atei, non credenti e tutta la tipologia dei laici? Anche Ravasi è un pericoloso “eretico” o un incorreggibile estremista?
Chiudo ringraziando ancora Vito Mancuso per avermi aiutato a trovare la giusta strada che conduce a Cristo, che non è certo quella dei labari e dei gagliardetti al vento, né quella dei tribunali dell’Inquisizione o dei moderni farisei che conducono la loro ipocrita battaglia a difesa della famiglia tradizionale contro le unioni civili, contro il divorzio e le separazioni o contro i contraccettivi. Chissà se Gesù, secondo costoro, sbagliava quando apriva le braccia ad accogliere i pubblicani, le prostitute e i ladroni?
Mi piace iniziare il commento ringraziandoti per aver scelto un così difficile e complesso argomento .
Ricordo con quanta enfasi e direi pure con devozione ti soffermavi a parlare di Mancuso.
Confesso di essere stata sempre prevenuta nei suoi riguardi ma confesso pure la mia quasi totale ignoranza verso il suo pensiero.
Forse hanno avuto la meglio su di me alcuni pregiudizi a proposito della sua scelta di lasciare il sacerdozio. Non voglio entrare nel merito se giusto o sbagliato, ma se parla di Dio e d’amore mi pare molto contraddittorio un “lasciare e un prendere”.Io sostengo l’Amore Oblativo!
Devo ammettere che trovo interessante ,ma fino ad un certo punto,l’ideache dice di vedere Dio come casa; questo se da una parte è bello ,poiché dice , nella travagliata Odissea della vita,la casa e quindi il ritorno, viene inteso come rifugio, porto,accoglienza e quant’altro,di positivo possa rappresentare.
Tuttavia è per me molto restrittivo, condizionante,relativo e provo a spiegarmi meglio.
Per me Dio è tutto :Aria ,luce,acqua, terra e fuoco,mare e cielo , sole e luna, Logos infinito e sempiterno, partenza e arrivo,principio e fine ,Alfa e Omega ,appunto come insegna il catechismo.
Ed io mi sento assolutamente minuscola ed impreparata ad affrontare un simile discorso,pur trovando come dice il Mancuso, necessario il confronto , necessario il dialogo e mi risulta pesante giustificare chi lo definisce “eretico”.
Certo si deve ragionare sulla fede,proprio perché Gesù stesso lo vuole:Andate e predicate”,Mc.16/9/20.È l’invito che suole fare ai discepoli.
Di Mancuso mi piace la sua idea di libertà, intesa come Ponte che unisce i pilastri che generano relazione armoniosa che genera Amore.
È più che mai costruttivo ed edificante trovare nella Parola di Dio,la Via,la Verità e la vita,che tradotto semplicemente generano il Giusto,il bello e il vero.
Santina Costanzo
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Caro Pelleriti,
la ringrazio molto della sua attenzione verso il mio pensiero e complimenti sinceri per il suo lavoro. Quanto all’eresia, è indubbio che la mia visione del mondo, dell’uomo e di Dio non è più in linea con la dogmatica cattolica e quindi si può anche dire che io sia “eretico”, se si ragiona nella prospettiva, a mio avviso molto ristretta, secondo cui verità = cattolicesimo.
Se però si ragiona nella prospettiva più ampia e più pacifica secondo cui la verità è maggiore del cattolicesimo, come di ogni altra dottrina umana, allora la qualifica di eretico andrebbe riservata a ogni serio ricercatore della verità. E infatti, se Lei ci pensa, molti di coloro che hanno dato un contributo al progresso spirituale sono stati qualificati eretici dai poteri del tempo, a partire da Gesù.
Le mando un caro saluto e ancora grazie per l’attenzione al mio lavoro,
Vito Mancuso
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