Ray Bradbury, Fahrenheit 451

Alfio Pelleriti

Il rischio del contagio del coronavirus e le giuste rigide norme che vietano ogni riunione o assembramento ci impediscono di tenere i nostri incontri settimanali per leggere e commentare i libri programmati per il Salotto letterario. Ma nessuno può impedirci di leggere a casa. In questa pagina della categoria “Salotto letterario” potremo inserire le nostre impressioni, nostri commenti, piccoli e semplici giudizi, qualche frase o sequenza che ci ha colpito. Comincio io con questa mia presentazione.

Scritto agli inizi degli anni Cinquanta, il romanzo narra una storia che si colloca a buon titolo nella letteratura di fantascienza o meglio in quella della distopia. Bradbury avverte che negli Stati Uniti del secondo dopoguerra ci si stava avviando a grandi passi nella costruzione di una società  massificata diretta da governanti sempre più intolleranti e pronti a soffocare ogni critica al sistema: sotto la presidenza Truman opererà la Commissione diretta dal senatore Mc Carthy che, con processi pubblici e trasmessi in diretta televisiva, metterà sul banco degli imputati artisti, intellettuali, registi, attori, accusandoli di essere comunisti e di complottare contro lo Stato americano o comunque di collateralismo col nemico sovietico. Era la “caccia alle streghe” che costrinse Chaplin ad abbondare l’America, dove non metterà più piede fino alla morte. Del resto erano gli anni in cui la televisione entrava in tutte le case come un elettrodomestico qualsiasi, prima negli USA e poi in tutto l’Occidente, suggerendo nuovi stili di vita, nuovi modelli di comportamento, nuovi valori che puntavano essenzialmente all’individualismo, al godimento del presente, all’acquisizione di beni considerati indispensabili, all’omologazione di massa. In poche parole si affermava una cultura consumistica e uno svuotamento costante dei valori tradizionali che venivano sempre più messi da parte per fare spazio all’individualismo e alla superficialità comportamentale.

Karl Popper, Pier Paolo Pasolini e altri intellettuali lanciarono l’allarme ma furono considerati delle cassandre che volevano ad ogni costo rovinare l’ebrezza del godimento e della spensieratezza dopo gli anni della guerra e della miseria degli anni seguenti in cui bisognava rialzarsi e ricostruire. E Bradbury che voleva guardare la società fino in fondo senza fermarsi alla superficie fu considerato un profeta di sventure o, nella migliore delle ipotesi, un autore di storie fantascientifiche, più o meno un autore per fumetti.

Il tema ancora una volta è la libertà e la sua difesa, trattato già da Aldous Huxley e da George Orwell, e la denuncia dei rischi che porta con sé la società capitalistica ipertecnologica per la piena realizzazione dell’uomo. L’autore denuncia una società di massa che rischia di trasformare i cittadini in automi, disabituati ai confronti e agli approfondimenti critici, insensibili alle problematiche legate allo sfruttamento indiscriminato della natura, spinti soltanto ad inseguire a tutti i costi il profitto anche a costo del mantenimento nella miseria di larghi strati della popolazione mondiale, sfruttata e violentata nei diritti naturali.

Si presenta nel libro una società dove il pensiero libero viene considerato un pericolo e Beatty, il comandante della caserma dei pompieri, rappresenta il difensore della minoranza che gestisce la vita della comunità, l’antagonista con cui dovrà fare i conti Montag, il protagonista del romanzo a cui esterna il suo punto di vista sul governo della comunità: “Dai alla gente concorsi a premi in cui basta conoscere le parole delle canzonette più famose, le capitali degli stati o quanto granoturco si è prodotto l’anno scorso nello Iowa. Riempila di informazioni innocue, rimpinzala di tanti “fatti” e si sentirà intelligente solo perché sa le cose”.

In Fahrenheit 451 Ray Bradbury ci ammonisce che può accadere che ciò che per noi è importante e che lo è stato per tanti secoli, possa andare perduto; può accadere che una minoranza possa da sola accentrare il potere e condizionare la vita di tutti capovolgendo il senso stesso e il valore della realtà. In una società distopica la guerra si considera un bene; l’aggressività sui deboli un divertimento che tempra i giovani; i libri sono considerati pericolosi per la tenuta sociale della comunità e quindi distrutti, bruciati. Il rapporto di coppia vissuto senza alcuna passione, né trasporto sentimentale. Montag è un pompiere provetto, che insieme ai suoi colleghi non spegne gli incendi ma li appicca per distruggere i libri e la casa che li contiene. I libri, infatti, sono considerati il vero e autentico pericolo poiché in essi si presentano valori che mettono a rischio la produzione di beni effimeri ma utili ad un ingranaggio sociale dove il denaro diventa il solo discrimine per giudicare se un uomo vale oppure no.

Beatty, il suo capitano, quando Montag fa trasparire un qualche ripensamento e manifesta qualche dubbio, gli dice chiaramente che i libri sono pericolosi e portano dritti all’infelicità, soprattutto quelli scritti dai filosofi, dai sociologi, dai teologi, poiché indagano sul “perché” degli eventi umani. E quindi vanno distrutti, vanno bruciati e lo esorta a non avere dubbi sull’importanza della sua “missione” e come un caro amico gli sussurra: “Siediti Montag, e guarda. Lo facciamo delicatamente, come se fossero i petali di un fiore. Dai fuoco alla prima pagina, poi alla seconda. Diventano farfalle nere, guarda come sono belle. Dai fuoco alla terza con la seconda e così via, a catena, fai scomparire le stupidaggini che dicono quelle parole, le false promesse un capitolo dopo l’altro, le filosofie logorate dal tempo”.

Nella prima parte del libro, “Il focolare e la salamandra” si impatta in pagine davvero angoscianti in cui si presenta una realtà rovesciata rispetto al nostro abituale sentire, alla nostra idea di Bene, anche se tale analisi non è nuova. Di essa si sono occupati Dostoevskij, Kafka, Sartre e tutta la letteratura distopica.

E anche nella seconda parte, “La sabbia e il setaccio”, l’autore fa muovere il lettore in un mondo dove non c’è posto per l’amore, per l’altruismo, un mondo dove domina il buio dell’egoismo e della superficialità. Montag comincia a maturare un sentimento di ribellione verso il sistema che si regge sul popolo-gregge, sugli individui acefali, preda facile della propaganda di regime falsa e bugiarda. La svolta la deve all’incontro con Clarisse, giovane donna che sa giudicare ciò che le succede intorno; ha un animo gentile e apprezza le più semplici creature della natura, essendo capace di coltivare sentimenti buoni e di avere una visione del mondo completa, totale. Tale forza le viene dalla lettura che coltiva insieme al nonno e a pochi altri e che per questo son costretti a vivere nascosti. Un’anima bella che come le più splendide farfalle non avrà una lunga vita.

Si incontra anche il personaggio di Mildred, moglie di Montag, completamente condizionata dal senso comune, parte della “maggioranza silenziosa” che subisce ubbidiente, attratta dai programmi frivoli e inconcludenti della televisione con cui riempie le sue giornate.

Dice Montag a Mildred, inascoltato: “Noi siamo ricchi e il mondo non lo è, ma non ci interessa. Ho sentito voci secondo cui l’umanità muore di fame, ma noi abbiamo cibo in abbondanza. È vero che il mondo fatica ad andare avanti mentre noi giochiamo? È per questo che ci odiano tanto?… Forse i libri possono aiutarci a mettere la testa fuori dalla caverna”.

La terza parte, “Divampante fulgore” è dedicata all’azione del protagonista, a Montag, che come un eroe tragico greco si ribella allo Stato leviatano. Egli porta il peso della millenaria tradizione dell’uomo sulle spalle, di cui i libri conservavano (e conservano) memoria. È solo un uomo a lottare contro giganti, come altri hanno fatto nelle varie tragiche contingenze della storia e lotta da eroe perché vuole che la bellezza della natura, la sua logica interna, la sua misteriosa armonia si salvino. Vuole lottare contro una terribile Idra, novello Eracle, per passare alle generazioni che verranno il lascito di coloro che in passato contribuirono al progresso: uomini semplici insieme a grandi pensatori; artigiani insieme ad eccelsi artisti ed architetti; piccoli costruttori di storie insieme a grandi romanzieri; onesti lavoratori insieme ad inventori ed ingegneri.

Il finale del libro è un omaggio agli uomini di cultura che con coraggio scelsero la lotta per difendere la libertà di pensiero, coloro che con onestà e umiltà videro nella Natura non un terreno di conquista e di sfruttamento selvaggio, ma la grande casa dell’umanità. Nel romanzo sono rappresentati da un gruppo, cui si unirà Montag, che lascia la città ipertecnologica illuminata a giorno e piena di divertimenti insensati, di vani eccessi e idiote amenità, per continuare il cammino della civiltà salvando i libri e con essi la memoria dei padri, senza la quale la vita sarebbe inutile e noiosa, semplice sopravvivenza. “…la sua speranza era che un giorno le città si aprissero al verde, alla terre e alla natura sempre più, per ricordare alla gente che a tutti è dato un po’ di spazio sulla terra e che viviamo della sua ricchezza, ma che la natura può riprendersi quello che ci ha dato con la facilità di un soffio di vento o un’onda di marea, ricordandoci che non siamo poi così grandi”.

E poi il bellissimo brano tratto dall’ultima pagina che è un auspicio dell’autore per l’umanità intera: “Quando ci chiederanno cosa facciamo, dobbiamo rispondere: Noi ricordiamo. È così che vinceremo alla fine. E un giorno ricorderemo a tal punto che costruiremo la più grande pala a vapore della storia e scaveremo la fossa più gigantesca di tutti i tempi: là seppelliremo la guerra e la ricopriremo.”

Santina Costanzo

Ho letto la recensione ed il riassunto del libro e dico Avvincente pur nella sua drammaticità.

Personalmente non potrei mai neanche immaginare di vivere in un mondo senza libri o carta stampata. Pensare di veder bruciare le pagine di un libro una dietro l’altra in maniera impassibile o peggio di godere facendolo mi pare follia pura. Ma questo è il tema del romanzo che si legge d’un fiato, incollando gli occhi increduli alle parole che scorrono.

Il finale, dà un senso di consolazione nonostante tutto, infatti l’ultimo pensiero contempla: “Scaveremo la fossa più gigantesca di tutti i tempi, là seppelliremo la guerra e la ricopriremo. “

Questo pensiero rapportato al dramma dei giorni che stiamo vivendo mi sa di profetico. …è quanto faremo tutti noi al “virus” che ci costringe in casa e che ricorderemo e racconteremo, perché poterlo fare sarà sempre la più bella esperienza  (conquista ) della vita.

A tutti voi, buona lettura.

Maria Grazia Merlo

Nel libro ho trovato una similitudine notevole con “1984” di G. Orwell. Il fatto che tutto viene vidimato, proibito e censurato e che si bruciano i libri che parlano di libertà e perché no, pure di felicità, mi trasmette un senso di oppressione e quasi di soffocamento, di malinconia e di frustrazione.
L’unica nota positiva, oltre la conclusione, è Clarisse, la fanciulla che di nascosto, insieme al nonno, continua nella lettura con passione e amore. Lei sarà per il protagonista Montag la chiave per capire le sue tante insoddisfazioni, tra cui il rapporto con la moglie Mildred. Clarisse lo aiuterà a far luce nella sua esistenza, caratterizzata da una profonda infelicità.

Salvo Greco

Montag, l’incendiario, dopo dieci anni che bruciava libri, incontra una ragazza che gli si presenta: Clarisse, diciassette anni e pazza, che riesce a scuotere la sua coscienza, aiutandolo a scoprire cose che aveva dimenticato, e per la prima volta sente l’odore addosso del cherosene che usava per incendiare case e libri.

Questo mi fa capire che a volte siamo così attenti a ciò che facciamo da non renderci conto se facciamo del male, fino a quando non arrivi qualcosa che fa rivoltare la nostra coscienza.


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