Antonio Scurati, M L’uomo della provvidenza

di Alfio Pelleriti

Anche questo secondo volume di Antonio Scurati si presenta con una scrittura elegante, lieve ma efficace, che ci è ormai familiare. E succede che contravveniamo a quanto si era deciso prendendo in mano il libro: leggere non più di un’ora e poi passare a un altro impegno. No, il racconto ti avvince, l’ironia ti stimola, e ti sembra perfino di sentirla la voce dell’autore poiché leggendo la evochi, così come immagini il suo volto teso, espressivo, ottocentesco e aristocratico, romanticamente eroe nell’essere schierato contro l’uccisore della democrazia e la sua accolita di violenti in camicia nera.

Stessa scrittura asciutta ed elegante, precisa e completa, a tratti incalzante, con ritmi interni che appagano il senso estetico oltre al desiderio della conoscenza dei fatti tragici del ventennio.

Ad Antonio Scurati riesce naturale muoversi tra la narrazione e la ricostruzione storica e il lettore apprezza, aiutato dalla fine ironia, dal sapiente ricorso alle figure retoriche, pur non trovandosi nel campo poetico. Gli anni che segnano la fine della democrazia e dell’antifascismo, il 1925 e il 1926 sono tragici per il numero di morti ammazzati dalle bande squadristiche, per gli incendi delle sedi sindacali o dei giornali che osavano avanzare una seppur minima critica.

Giusto spazio viene dato dall’autore alla figura del segretario del PNF, Farinacci, uomo violento, amorale, mandante di efferati assassini; a quella di Alfredo Rocco, giurista e senatore, responsabile del nuovo codice liberticida e delle leggi “fascistissime” e alla propaganda fascista che ribaltava la realtà illudendo le anime candide o impaurendole.

Il 1926 è l’anno in cui muore la democrazia e la dittatura assoluta di Mussolini ha inizio. Essa è ferale, ottusa, caparbia, mai paga di eliminare possibili rari nemici. I cani da guardia, come Farinacci, sono sempre pronti ad azzannare il nemico: popolare, socialista, liberale, non importa. Scurati, pagina dopo pagina lo racconta in un modo unico, piacevole, elegante, pacato. Lui è come se non ci fosse ma la sua voce sì. È la voce narrante, in una situazione comunicativa che non prevede l’ascolto, ma nei suoi libri accade questa magia: il lettore apre gli occhi, inquadra il testo, procede aprendo la mente e recepisce le emozioni perché “ascolta” Scurati che gli propone quel racconto tragico della sua patria vilipesa, dei suoi uomini migliori uccisi o imprigionati o torturati o costretti all’esilio. Rimane la massa clamante l’amorale dittatore.

Mi si conceda a questo punto una citazione di un passo del libro, una superba sintesi lucida, chiara, essenziale, una chiosa utile più di quanto possano esserlo 100 pagine sulla svolta del fascismo con le leggi “fascistissime” del 1926: “la nazione fascista è la nazione che non vota, che crede, obbedisce, combatte e, se necessario, muore. Benito Mussolini è il suo Grande Padre, amoroso, severo, presago del futuro e del volere del popolo, il cui vero volto palpitante gli appare attraverso il velo delle statistiche, dei rapporti prefettizi, delle cronache giornalistiche. Riunificazione emotiva tra la massa e il suo Duce, religione civile di devozione a un monumento umano trascendente i vecchi monumenti di pietra, una fiamma sempre accesa. Questo significa avere una rivoluzione e un Capo”.

È questo il programma di Augusto Turati, segretario del PNF dopo l’estromissione di Farinacci, troppo rozzo e violento, sadico nell’ottusa e pervicace persecuzione degli antifascisti, sempre pronto ad aizzare gli ex arditi a bastonare o a sparare. Turati è invece il profeta del nuovo fascismo che si identifica con lo Stato. È colui che interpreta il volere del Capo. Egli assume il compito di trasformare ogni uomo o donna, ogni giovane, ogni bambino in perfetti fascisti, poiché tutti avrebbero respirato, si sarebbero nutriti della mistica fascista, fin dalla più tenera età grazie ad una scuola fascista, ad una chiesa fascista, ai sindacati fascisti, ad una magistratura fascista, ad una famiglia fascista, ad una allegria fascista e ad un mondo accademico fascista. E quando tutti sarebbero diventati “naturalmente” fascisti la repressione poliziesca, la violenza squadristica, sarebbero state inutili, essendo entrati in una efficiente distopia, una perfetta macchina del consenso che si sarebbe autoalimentata. La repressione sarebbe rimasta appannaggio delle dittature barbare e senza anima, come il nazismo, come lo era già il comunismo sovietico.

Si afferma spesso, senza conoscere i fatti storici, che il fascismo fu una dittatura “morbida” senza “eccessi” come altri Stati totalitari. Gli assassini politici e le violenze ci furono invece e furono una costante, fino al giorno della liberazione, nell’aprile del 1945. E se ad un certo punto diminuirono ciò avvenne perché in Italia tali metodi divennero inutili, poichè negli anni Trenta si giunse al consenso di massa al fascismo. Tutti, cioè, si abituarono alla venerazione del Capo, tutti si conformarono al pensiero unico, tutti rinunciarono alle libertà personali e al libero pensiero, per se stessi, per i propri figli e nipoti. Una situazione aberrante tanto quanto quella della repressione ottusa.

Non ci fu nessuna opposizione, perfino i poeti e gli artisti divennero tiepidi e distratti, guardando con bonomia e rispetto al dittatore che si era appropriato dell’Italia e delle sue istituzioni politiche, per le quali i suoi figli erano morti durante il Risorgimento e la Grande guerra del 1915/18. Il 26 maggio 1927, da Montecitorio, Benito Mussolini, ci ricorda Scurati, prima ancora del nazismo in Germania, lanciò la campagna demografica per la difesa della razza e per la formazione di un esercito in grado di dare un Impero all’Italia e indicava la strategia di puntare sulla formazione dei bambini e dei ragazzi (balilla e avanguardisti) per l’affermazione dello Stato totalitario: “Oggi noi seppelliremo la menzogna del suffragio universale…Prima della cultura viene l’ordine. Il poliziotto ha preceduto nella storia il professore…L’opposizione è stolta, superflua in un regime totalitario”.

L’autore riesce con abilità a portare il lettore in un contesto storico relativamente lontano, il 1928, spingendolo a considerare quali eventi di tragica aggressività e di straordinario peso per la vita di ciascun italiano si consumarono in quegli anni per volontà di un personaggio come Mussolini, uomo ambizioso, amorale, ateo convinto, che fece strame di leggi che garantivano una vita democratica attraverso la rappresentanza dei partiti, nonostante il vecchio Statuto dovesse essere rivisitato come tutte le Costituzioni. Nel marzo 1928 passò nelle aule parlamentari prive di oppositori al fascismo una riforma della legge elettorale che aboliva i partiti sostituendoli da un’unica lista nazionale decisa dal Gran Consiglio del fascismo e quindi da Mussolini. Nasceva lo Stato totalitario, orgogliosamente rivendicato da Mussolini e dai suoi sodali.

Il 1932 chiude il secondo saggio/romanzo con la fine ingloriosa di Augusto Turati, ex segretario del PNF, appesantito e distrutto da una schiera di calunniatori prezzolati da Farinacci, violento ras di Cremona e dalle spie dell’Ovra manovrate dall’ottuso e zelante segretario del partito fascista, Achille Starace; muore l’amore di Margherita Sarfatti, musa del Duce e sua protettrice e ispiratrice negli ambienti culturali e aristocratici del dittatore; muore Arnaldo Mussolini, fratello maggiore del capo supremo e muore il “leone del deserto“ Omar al Mukhthàr ultimo difensore della Cirenaica contro l’invasore italiano, piegato dall’uso massiccio della tristemente nota iprite, usata negli anni della prima guerra mondiale e messa al bando il 17 giugno 1925 dal Protocollo di Ginevra (firmato anche dall’Italia), che causò migliaia di morti soprattutto tra la popolazione civile, che si volle terrorizzare piegandone la resistenza.

Congresso del PNF
Finisce la democrazia
Le leggi speciali
Lo Stato totalitario
La riforma elettorale
Il Concordato
La conquista della Cirenaica
L’iprite

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