di Alfio Pelleriti
Coco era socio onorario del Circolo Castriota e in segno di gratitudine donò al sodalizio due suoi dipinti. Tuttavia questo non significò dover smussare la punta mordace e corrosiva della sua matita.

La tavola si presenta divisa in due sezioni: la prima occupa il fondo della prospettiva con la chiesa del S. Rosario illuminata dai raggi del sole e quindi assume un colore giallo ocra che esalta l’architettura e la perfetta armonia delle forme. Queste ultime, grazie all’uso sapiente dei colori, assumono una profondità e una prospettiva perfette ed indicano serenità e armonia
La seconda parte della tavola, in netto contrasto con la prima, si presenta caotica, priva di una logica interna. E’ un luogo dai toni grigi non illuminato da quella luce che indora la facciata della Chiesa pur occupando la stessa posizione prospettica di quella. Ma l’autore fa la sua scelta, e gli unici colori concessi sono quelli delle lettere a testimoniare che esse hanno una loro forza interiore, capaci di dare, se sapientemente unite in proposizioni e sequenze, un prodotto comunicativo formidabile, il giornale, strumento del pensiero libero, di analisi critiche su temi e problemi delle comunità umane.
La comunicazione linguistica contenuta in quei fogli è però troppo vigorosa e necessita, per essere capita e interpretata, della forza mentale e spirituale dei lettori, altrimenti tutta la struttura si scioglie e le parole si atomizzano e poi sfarinano in lettere che sfuggono, corrono in tutte le direzioni e aleggiano confuse tra i lettori che sono attraversati da quei formidabili segni comunicativi che presentano diverse tonalità di ocra in una dominante grigio-azzurra.
Coco fornisce forza e dinamicità alle parole che dominano dei lettori statici e incapaci di reggere la forza connotativa della scrittura. L’attenzione alle pagine da cui fuoriescano disordinate le parole prive del collante emozionale del lettore, smarriscono la loro struttura, si atomizzano e diventano lettere “isolate” le une dalle altre. La stessa situazione si intravede all’interno del salone del circolo, invaso da lettere che sembrano avere assunto una loro autonoma forza invasiva, non dominate da lettori che tengono in mano soltanto un simbolo distintivo della categoria sociale.
Il giornale diventa un vessillo, un labaro da mostrare all’esterno alle altre categorie sociali che guardano attonite (in piedi segnano il confine tra i due spazi) a quel rito assurdo e surreale di individui che stanno insieme per poi isolarsi per delle ore con gli occhi puntati su un foglio scritto che osservano, leggono, facendosi attraversare imperturbabili, identici a se stessi, privi di emozioni, o di dubbi o di improvvisi sussulti morali.