
Alfio Pelleriti
Nella Carta costituzionale si sancisce che il fascismo in Italia è un reato, incompatibile, sotto ogni sua forma, con la struttura stessa dell’apparato democratico. Nel 1952 con la legge Scelba si dichiara che il fascismo in Italia non è opinione ma reato e la propagazione e l’esaltazione di idee fasciste è un crimine.
Per evitare o superare il fascismo, dice Filippi, è necessario comprenderlo e questo si presenta come un dovere, sia per gli intellettuali che per la gente comune. E l’autore nella seconda parte del suo lavoro mette in campo tutti gli elementi indispensabili per una corretta comprensione, iniziando dalle interpretazioni che di esso diedero alcuni tra i più eminenti studiosi.

La prima interpretazione è quella di Benedetto Croce secondo cui il fascismo è come una “malattia” della nazione italiana, in un “corpo” fondamentalmente sano. Croce, dopo aver preso le distanze dal regime nel 1924, dopo l’assassinio di Matteotti, con la redazione del Manifesto degli intellettuali antifascisti, aveva indicato come riferimento ideale i valori dell’Italia risorgimentale e della tradizione letteraria nazionale e quelli della nazione unificatesi nel 1871 e che, dopo il ventennio della dittatura, continuava la sua esistenza democratica con il nuovo Stato repubblicano.

A tale interpretazione fa da contraltare quella di Antonio Gramsci, fondatore con Labriola del Partito comunista italiano, che scontò gli ultimi venti anni della sua vita nelle carceri fasciste. Egli pose l’accento sulla responsabilità degli industriali e degli agrari nell’essersi consegnate al fascismo per curare i propri interessi economici e per reprimere le esigenze degli operai e dei contadini, impedendo loro di emanciparsi e di partecipare alla vita politica ed economica del Paese.

Piero Gobetti, liberale, scrittore e filosofo, direttore de “La rivoluzione liberale”, morto dopo aver subito un vile pestaggio da un manipolo di fascisti, accusava la piccola borghesia in particolare, ma in generale le masse popolari, di immaturità e di incapacità di affrontare il gioco democratico, sfuggendo alle proprie responsabilità sociali e politiche, preferendo lasciare tali incombenze al fascismo, il regime dell’ordine che programmava degli schemi di vita per tutti i componenti della società, e una sola visione del mondo, quella indicata dallo Stato totalitario, quella del fascismo.
Infine Gaetano Salvemini che, riprendendo l’interpretazione di Gramsci e Gobetti, affermava che vi fosse un consenso colpevole del popolo italiano al fascismo: “Salvemini riporta il fascismo a una dimensione più interna, endogena, e lo inserisce senza particolari difficoltà nella lunga lotta delle classi inferiori per i propri diritti. Anche per Salvemini il fascismo è un fenomeno nato e prosperato in Italia: nessun inganno percettivo, ma un consenso consapevole, ricercato dal fascismo e concesso dagli italiani, specie in alcuni settori sociali.”[1]

Tuttavia sarà l’interpretazione crociana che passerà e sarà seguita dai più, poiché tutti ormai volevano chiudere con quell’ingombrante passato: gli italiani si autoassolveranno e diranno di se stessi che sostanzialmente sono “brava gente” tanto che, percepito il danno causato dalla “malattia” fascista, riescono a reagire con la Resistenza. Il futuro diventa così l’unica pagina su cui impegnarsi a scrivere un programma di opere da realizzare per uno sviluppo che sia giusto e roseo. Dice Filippi: “I campi di concentramento a gestione italiana in Jugoslavia e, ancor prima, le pratiche di pulizia etnica in Etiopia, Somalia e Libia, vengono derubricate a ‘semplici’ azioni di guerra o addirittura del tutto rimosse dal racconto pubblico. Gli italiani, semplicemente, non possono essere equiparati ai nazisti.”[2]
Alle elezioni politiche del 1948 la DC ottiene il 48% dei consensi, il Fronte popolare che vede insieme socialisti e comunisti, il 30, 76%. Partecipa alle elezioni anche l’MSI, fondato nel 1946 da Giorgio Almirante, già segretario del Comitato di redazione de “La Difesa della Razza” e capo di gabinetto del Ministero della Cultura della RSI, insieme a Pino Romualdi e Julius Evola. I governi che si formeranno da allora in avanti giureranno sulla Costituzione promulgata il primo gennaio dello stesso anno, ed essa diventerà “il pilastro attorno al quale costruire la ritrovata unità del paese”.
La storiografia si occuperà, soprattutto negli anni Settanta del ‘900, dei tratti peculiari della Resistenza e del movimento partigiano senza il cui intervento nella lotta al nazifascismo quella Carta non sarebbe potuta nascere con quelle peculiarità. A tal proposito fondamentale è l’opera di Roberto Battaglia, “Storia della Resistenza italiana”, Einaudi, 1975, dove si sottolinea che gli italiani, combattendo contro le forze nazifasciste, hanno riscattato l’onore della nazione: è il cosiddetto “paradigma antifascista”. Nel 1958 un decreto del Presidente della Repubblica istituisce nelle scuole italiane secondarie l’insegnamento dell’educazione civica. Il programma di storia includerà lo studio del fascismo, della seconda guerra mondiale, della Resistenza. Tuttavia tale ordinamento, dice Filippi, rimarrà a lungo disatteso dagli insegnanti, formati negli anni del ventennio fascista, almeno fino agli anni Settanta. In discontinuità col “paradigma antifascista” fu l’opera di Renzo De Felice su Mussolini, poiché egli nega che il fascismo sia stato un totalitarismo come lo fu il nazismo. Negli anni Novanta esce il fondamentale saggio di Claudio Pavone “Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza”. Un lavoro che tende a fare chiarezza sui valori della Resistenza, indicando tre distinti forme di Resistenza: la Resistenza come Guerra patriottica, come Guerra civile e come Guerra di classe. Da segnalare infine la pubblicazione nel 2005 di “Italiani, brava gente?” di Angelo Del Boca. Il libro che si occupa della ferocia manifestata dalle truppe italiane nei paesi occupati (Africa, Balcani, Grecia, Spagna). Infine da segnalare negli anni 2000 i romanzi storici di Antonio Scurati che hanno riscosso un meritato successo editoriale in Italia e all’estero (ha vinto due volte il premio Strega) che fanno parte di una trilogia dedicata a Mussolini e al fascismo: 2018, M. il figlio del secolo; 2020, M. l’uomo della Provvidenza; 2022, M. gli ultimi giorni dell’Europa.

L’ultima parte del saggio Filippi la dedica alla filmografia dedicata al fascismo negli anni dell’immediato dopoguerra con il Neorealismo (Rossellini, De Sica) fino agli anni 2000. Film che hanno fatto epoca e che appartengono ormai ai classici del cinema italiano, da “Roma città aperta” a “Paisà” a “Germania anno zero”. Si evidenzia come si cerchi di presentare i tedeschi come brutali invasori e gli italiani ancora una volta “brava gente” che dovettero subire la sciagurata decisione di Mussolini di allearsi col tedesco. Viene quasi messo in secondo piano o omesso che gli italiani parteciparono o furono protagonisti di violenze sui civili, di azioni di rappresaglia, di deportazioni degli ebrei e di antifascisti verso i campi di concentramento. Il cinema e ancor più la letteratura contribuirà al nascondimento degli aspetti più truci e immorali delle azioni dell’esercito e della milizia nei vari fronti di guerra, mettendo in evidenza un soldato italiano eroe, dotato di umanità, sfortunato. Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern presentando la disastrosa ritirata dell’ARMIR, contribuiranno a far passare questo cliché. Negli anni Sessanta i pocket Longanesi dedicheranno al tema tante pubblicazioni in cui si mettevano in evidenza le doti guerriere dei soldati italiani: “Canta mitraglia la rumba fulminante” (…che legionari siam di Mussolini), il titolo per la raccolta di episodi di vari fronti di guerra è tratto da un canto fascista; “Mancò la fortuna non il coraggio!”; “Rommel, la volpe del deserto”, Antonio Trizzino, “Navi e poltrone”, “I liberatori”.
Anno dopo anno si è ritornati ad una normalità stendendo un velo sul passato. I mezzi di informazione non risentirono del passaggio da un regime all’altro e tutti i giornalisti che avevano fatto da megafono alla propaganda del regime anche sotto la RSI, tornarono al loro posto nelle redazioni delle maggiori testate riprendendo il lavoro. Il 21 gennaio 1944, dopo una “velina” spedita dal ministero della Cultura Popolare sotto la RSI che invitava i direttori dei quotidiani ad abbandonare le critiche alle forze armate repubblicane, Il “Corriere della Sera” così svolgeva il compito:
“Il glorioso grigioverde, scomparso nei tristi giorni seguiti alla capitolazione, ha invaso oggi le vie e le piazze d’Italia. Le caserme risuonano nuovamente dei canti guerrieri e del passo cadenzato dei battaglioni dell’esercito repubblicano, che si preparano a riprendere il posto di combattimento accanto ai camerati germanici.”[3]
Il clima culturale dell’Italia dopo la vittoria netta della DC non era poi tanto roseo in piena “guerra fredda”. La vecchia censura fascista sulla cinematografia, ad esempio, varata con una legge del 1923 “in difesa del pudore e della morale pubblica” venne ripresa da nuovi occhiuti e severi censori. Si distinguerà in tale compito il democristiano Giulio Andreotti. Particolare fortuna negli anni del dopoguerra ebbe il giornalista e scrittore Giovannino Guareschi, direttore della rivista satirica “Il candido” e autore dei Racconti di Don Camillo da cui sarà tratta la serie di film sui due protagonisti, Don Camillo, parroco battagliero e anticomunista e Peppone, il sindaco comunista.[4]

Da segnalare i film usciti negli anni Settanta ambientati nel periodo fascista: “Amarcord” di Federico Fellini che conquisterà l’Oscar; “Mussolini ultimo atto” di Carlo Lizzani, “Il delitto Matteotti” di Florestano Vancini; “Salò e le 120 giornate di Sodoma” di P.P. Pasolini; “Il conformista” e “Novecento” di Bernardo Bertolucci; “Una giornata particolare” di Ettore Scola; “Il prefetto di ferro” sulla figura del prefetto Cesare Mori. Questi film, sebbene videro la partecipazione di grandi attori e realizzati dai più valenti registi del momento, non registrarono un successo di pubblico. Anche la televisione si interesserà all’argomento proponendo filmati d’epoca, interviste a storici nel canale dedicato, RAI storia, seguito nonostante gli sforzi della produzione, dallo 0,1 del pubblico.
[1] Francesco Filippi, Ma perché siamo ancora fascisti? edizione speciale Gedi 2021, su licenza di Bollati Boringhieri editore, Torino 2020, pag. 116
[2] Ibidem, pag. 121
[3] Giampaolo Pansa, Il gladio e l’alloro, Mondadori editore, Milano 1991, pag. 55
[4] A proposito del dibattito sulla Resistenza, nel 1996, nel discorso di insediamento come presidente della Camera dei deputati, Luciano Violante ricorda i combattenti della RSI in chiave conciliativa. La destra applaude, la sinistra invece avverte il tentativo di parificare i repubblichini e i partigiani.
Angela Carrà ha inviato…
Come sempre, ognuno espone teorie e riflessioni in modo funzionale, ovvero mette in evidenza pensieri che scaturiscono dai propri interessi egoistici ed utilitaristici…
Fino a quando l’uomo penserà di essere un individuo e guardare ai propri interessi, il fascismo o qualsiasi altra forma di totalitarismo troverà il terreno giusto.
Angela Carrà
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