Alfio Pelleriti

A ragione Maria Falcone, sorella di Giovanni Falcone, afferma che la strage di Capaci del 23 maggio 1992 sia da assimilare all’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre del 2001, poiché anche l’uccisione del giudice e di sua moglie, Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, segna uno spartiacque nella storia del nostro Paese e della Sicilia in particolare. Quell’eccidio, come il vile attentato alle due torri di Manhattan a New York, ha segnato le coscienze di chi ha vissuto quei momenti e ogni anno si rivive lo sgomento e lo sconforto che assalirono apprendendone la notizia, fissando per sempre nella memoria quelle drammatiche immagini di uomini e cose fatti a pezzi dall’esplosione di cinquecento chili di tritolo.
Brindarono a quella strage le pedine del male, gli esecutori e i mandanti, coloro che appartenenti alle istituzioni, mal sopportavano quegli uomini integerrimi servitori dello Stato libero e democratico, difensori estremi delle sue leggi; tirarono un sospiro di sollievo i tanti che erano piegati al senso comune, non disponibili a credere che potessero esistere uomini disposti all’estremo sacrificio per difendere la legalità. Gli altri cittadini, gli onesti, chi con lealtà e senso del dovere, lavorava, studiava, rispettava le regole civili e non si piegava ai soprusi e alle angherie, alle lusinghe dei potenti, ai consigli interessati dei portaborse e dei furbastri compari dei potenti, soffrirono alla notizia della strage di Capaci; provarono un senso di vuoto e di smarrimento, così come avviene apprendendo che ti è stato tolto improvvisamente, violentemente, un sostegno morale, un riferimento ideale, chi rappresentava la speranza in un mondo più giusto.

Falcone prima e poi Borsellino, caduto anche lui con la sua scorta due mesi dopo, il 19 luglio in Via D’Amelio, anche lui vittima di un’esplosione di un’auto imbottita di tritolo, sono morti da eroi non solo per il loro costante impegno nella lotta alla mafia, ma per la consapevolezza di essere nel mirino di uomini non degni di essere così definiti, bestie feroci e senza scrupoli; sono stati eroi nel compiere fino in fondo il loro dovere in difesa dello Stato democratico, parlamentare, repubblicano, diventando per sempre testimoni ed esempio da additare alle generazioni che verranno.
Falcone e tutti i caduti sul fronte dell’antimafia non scelsero di seguire il proprio interesse personale, non mirarono al carrierismo né a diventare strumenti utili per questa o quella parte politica al fine di accrescere un potere o un prestigio personale. Furono uomini che servirono lo Stato, la comunità sociale contro l’arroganza, la corruzione, il malaffare, la barbarie mafiosa, contro gli ipocriti che li criticarono alle spalle e li contrastarono con ogni mezzo, compresa la calunnia, perché si sentivano messi in ombra o minacciati di essere scoperti nelle loro trame ordite sul crinale scivoloso che separa la legalità dall’illegalità, quegli stessi uomini che poi si unirono al coro degli ipocriti dolenti, al passaggio delle bare.

Così come non bisogna restare indifferenti in occasione delle altre date che ricordano altre tragedie, come la Shoah, la Resistenza al nazifascismo, si partecipi con sentita commozione al ricordo della tragedia di Capaci, celebrando la memoria di quegli uomini che sacrificarono la loro vita assolvendo un dovere civico ed etico. Testimoniamo la nostra riconoscenza ai caduti nella lotta alla mafia, dei quali Giovanni Falcone è l’icona assorta a simbolo di correttezza, coraggio, lealtà alle istituzioni.