Fenomenologia della lettura

di Alfio Pelleriti

Nella profonda provincia siciliana nessuno può ritenersi indenne dal poter diventare argomento di conversazione con esiti da farsa degni d’una oscura taverna in una bigia, fredda sera d’inverno. Dileggiare gli assenti per rassicurare il proprio Ego, debole e smarrito, è costume antico tra coloro che vivacchiano nel terrore di perdere se stessi, la considerazione degli altri, l’autostima. Usa molto tale comportamento tra coloro che non hanno valori morali o religiosi che non siano quelli orecchiati dagli imbonitori televisivi che forniscono un’ideologia spicciola cui aggrapparsi quando si è soli con se stessi e ansia e terrore attanagliano, come gli orchi nell’incubo l’infante.

Chi ha scelto di non seguire il gregge e cerca il vero, chi vuole aprire gli occhi sui misteri della vita iniziando ad esaminare le sue scelte, le sue convinzioni, ha molte probabilità d’essere considerato un pazzo. La tenuta sociale di una società votata al materialismo consumistico poggia sulla menzogna, sull’ipocrisia, sull’avidità e su una continua tensione con gli altri, percepiti come rivali, come nemici. E dunque chi segue altre strade rispetto a quella dell’avere beni materiali, potere, soldi, piaceri, viene percepito come nemico, come individuo pericoloso, come un ingenuo, insomma come un folle.

Costui, allora diventa argomento “tappabuchi” nei momenti in cui, al bar o al circolo o mentre si passeggia in piazza, scarseggiano i temi su cui iniziare una conversazione evitando che scenda tra i presenti il “nemico”. Chi è il nemico? Ma è il silenzio! Quando cala e le bocche son cucite ci vuole un po’ di sforzo e un tantino di fantasia per trovare il modo di spezzarlo e riprendere in tranquillità la vita di sempre. È questo però il problema: in genere tra la gente “normale” c’è poca fantasia e quindi trascorrono decine di secondi, a volte minuti e quel tempo diventa lungo, dilatato, infinito. Ognuno, così, rimane con se stesso, con il suo presente, dominato da quei pensieri da cui poco prima era fuggito e ora quel silenzio angoscia e un velo di tristezza si legge su quei volti di pavidi assediati e anche quello spazio di libertà viene invaso da quelle erinni che non li mollano, che li assediano notte e giorno.

No, non è giusto, quello è il momento in cui non si pensa finalmente e si deve sorridere! Quello è l’unico momento in cui ci si convince d’aver carattere e che si ha un’opinione. Ognuno parla – senza impegno – così, – “pour parler” – del governo, dell’Iraq, di Gesù, del Papa, di Falcone, del quale, il più “coraggioso” della compagnia, a costo di sembrare “politicamente scorretto”, si chiede se fosse stato davvero eroe o un carrierista o forse un incauto utopista che voleva combattere e sconfiggere la mafia, nientemeno! Ma tu guarda! Neanche fosse stato Superman!

Il “folle” è “argomento facile” quando improvvisi calano i silenzi. È chiaro che lui non è presente fisicamente in tale consueta situazione perché sarebbe alogico, irreale: non si sparla di qualcuno quando l’interessato è lì presente. Allora dovrebbe accadere più o meno questa sequenza:

– “Oh, ultima notizia! Affieddu …”

– “Pubblicau n’autra ricinzioni!”

– “Ma nun c’è mancu piaciri cu vuautri! Vi vuleva dari na bedda nutizia e già tuttu  sapiti!?

Ma nun c’è mancu soddisfazioni!”

– “Ah, ah ah ah ah…!”

– “Ma quantu si macuni, Teddu!”

Risate, buonumore, convinzione profonda di essere tra amici fraterni con cui c’è empatia, con i quali ci si intende già con un solo sguardo. Tutto tranquillo, il presente di ognuno è stato allontanato e si può stare in quella strana ma piacevole situazione in cui ci si sente immersi fisicamente in un tempo speciale: lo vedi, lo senti, lo tocchi, lo ascolti! Ma non lo pensi, anzi ciascuno dà ordine al proprio cervello di non smarrirsi a far filosofia o peggio, teologia, invece di una sana “concretezza”! Insomma s’assapora il vuoto, la leggerezza del niente!

– “Ma dicu, ma cu si cridi d’essiri? Moravia, Pasolini? Vuoli fari l’intellettuali! E poi cchi scrivi? Cosi scunchiuduti e pirsunali!”

– “Sì, sì. Ma a nuautri chi ni cunta? Ni vuoli fari sapiri ca leggi tanti libbra? E allura? Tempu persu!

– Iu cu dda vignuzza, ora a zappu ora a putu ora a spùluru ora nzùffuru ora cogghiu;  i sparici, i fungi, i finocchi rizzi, i caliceddi mi ricogghiu e mi richiu. Nta stati mi godu a friscanzana mangiu, vivu, dormu comu n’jattu e t’haiu cuntatu u fattu!”

– “E iddu scrivi, scrivi! Ma chi fici n’pattu?”

Fuori dall’ironia e dalla farsa, vorrei fare il punto sull’attività più antica che ha sempre attratto l’uomo e cioè quella della comunicazione, iniziata con la pittografia, i cui segni le primitive comunità lasciavano sulle pareti delle grotte, rifugio alle loro grame esistenze.

Chi come me ha lavorato a scuola in qualità di docente di lettere, sa bene che la lettura e la scrittura sono definite abilità fondamentali, trasversali. Significa che saper leggere in maniera fluida, espressiva, adoperando molteplici tonalità per seguire l’impostazione denotativa data al testo dall’autore ma anche per sottolineare il peso connotativo delle sequenze di cui si compone, è fondamentale, poiché si dimostra a se stessi e agli altri di aver capito il testo e di saperne, volerne, poterne dare un’interpretazione.

L’insegnante ha modo di presentare ai ragazzi una variegata tipologia testuale e non mancherà di sottolineare come la lettura cambia nel tono, nel ritmo nella misura in cui dovesse cambiare il contesto comunicativo, la finalità che chi scrive intende raggiungere, a quale utenza egli si rivolge: un orario ferroviario è diverso dal bugiardino che accompagna un farmaco; una cronaca giornalistica differisce dalla pagina di un diario; un messaggio su WhatsApp ha una costruzione un po’ diversa da una relazione e il genere poliziesco in letteratura presenta una struttura narrativa  particolare rispetto al genere psicologico o alla biografia.

Un altro aspetto importante, sottolineava già Montaigne e poi Heidegger e soprattutto sottolineerà Gadamer, risiede nella interpretazione che ciascun lettore dà del libro cui ha dedicato parte del suo tempo prezioso. Qui parliamo di buoni lettori, cioè di individui che ritengono che leggere un libro significa mettersi in relazione con l’autore e man mano che ci si inoltra nella storia o nella problematica analizzata in un saggio, si è disponibili, senza pregiudizi e con coraggio, a mettere in discussione le proprie convinzioni, il proprio comportamento, i propri valori, senza alzare bastioni difensivi nei confronti dell’altro, e neanche senza eccessiva subalternità allo scrittore. A meno che non si legga per poter dire agli amici che, sì, “conosco l’autore!”; “Sì, ho letto il suo libro!” “Mi piace” o “Fa schifo la letteratura americana!” “Pasolini? Perché era anche uno scrittore?” “Gadda chi? Per me esiste solo Kean Follett!”

Leggere sul serio significa aprirsi al testo, cioè misurarsi con un universo sentimentale, valoriale diverso dal tuo ed essere disponibile a rivedere o a cambiare la tua visione del mondo! chi legge interpreta il testo e dunque gli aggiunge qualcosa di nuovo e di personale. Egli, da buon lettore, cambia se stesso e contribuisce a cambiare anche il testo. Tuttavia tale passaggio va chiarito. Com’è possibile che il lettore possa contribuire ad arricchire di significati un libro?

Tutto dipende dalla modalità di lettura. Se io leggo per passare due ore del pomeriggio dopo il pranzo o alla sera perché “leggere le mie due pagine mi aiuta a prendere sonno!” il discorso si ferma subito. Se leggo perché voglio cercare di conoscere meglio me stesso, gli altri, il mondo, l’uomo e la sua storia millenaria, allora durante la lettura e quando la termino, scrivo. Non la recensione che vuole imitare quella degli addetti ai lavori che nella loro rubrica in terza pagina presentano le ultime novità editoriali e generalmente si limitano a fare un riassunto del contenuto terminando con una esaltazione o con una stroncatura del libro. Non intendo riferirmi a tali modalità di scrittura. Scrivo perché la mia interpretazione del testo proposto dall’autore ha determinato in me riflessioni, emozioni e sentimenti che ritengo giusto comunicare agli altri e dunque preparo uno scritto per socializzare la mia interpretazione e contribuire alla formazione di quel “circolo ermeneutico” di cui parlava Gadamer che è fondamentale e necessario alla crescita culturale della comunità d’appartenenza e, col tempo, alla comunità umana in generale.

 Il buon lettore con tale operazione, non pone limiti di spazio per la sua “recensione”. Egli scrive in libertà perché vuole rispondere agli stimoli ricevuti dalla storia con cui lo scrittore ha occupato il suo tempo, ha impegnato le sue energie, ha stimolato la sua sensibilità. Egli sente di rispondere a tale esperienza e scrive per chiarire a se stesso cosa gli ha lasciato nel cuore e nella mente quel viaggio appena concluso. Egli comunica perché ha scoperto finalmente la chiave giusta per vivere la sua esistenza secondo la modalità dell’essere e dunque entra nella gioia del sentirsi in empatia con gli umani che sente fratelli al di là del tempo, entra in un’eternità d’istanti e in armonie spirituali che solo i contemplativi colgono quando si staccano da pensieri e bisogni materiali e si librano alti a cogliere essenze profonde, estatiche visioni.   


Una risposta a "Fenomenologia della lettura"

  1. Mentre leggevo il nuovo articolo,tra il serio e il faceto, mi sono tornate in mente alcune espressioni di mio padre, il quale sosteneva tra l’altro che alcuni uomini , sono molto pettegoli e superficiali,  incapaci il più delle volte di lavorare  sodo ma molto validi e ” valenti”  in facezie  e occupazioni leggere. Ad  avvalorare queste sue affermazioni, oggi mi soffermo a guardarmi intorno. Proprio davanti casa,da qualche anno,grazie a nuove disposizioni comunali,è sorto un chiosco. Il chiosco è frequentato da un discreto numero di uomini, sempre gli stessi, che  ogni santo giorno vi stazionano piantati come pali,per lunghissime ore.
    Non mi disturbano affatto,né mi disturba il continuo cicaleccio che creano, ma quello che mi incuriosisce è la loro vita, e si può chiamarla vita?…non oso soffermarmi nei particolari. Questa premessa per agganciarmi al tuo lavoro. Se il mondo è pieno di parassiti disposti a sprecare tempo ed energie in vaghe , inutili occupazioni ,è anche giusto che vi sia chi il tempo lo coltiva bene traendone beneficio per sé stesso e coglierne frutti da elargire a quanti l’apprezzano.
    A loro , persone occupate a far  poco  o niente  penso come agli Ignavi danteschi e vorrei dedicare l’attualissimo monito :” Non ragioniam di loro ma guarda e passa!”

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