Lawis Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie

Il trionfo del nonsense in atmosfere da incubo

di Alfio Pelleriti

Charles Lutwidge Dodgson, noto come Lawis Carroll, era un reverendo anglicano che abitò sempre a Oxford, nel Christ Church College e a Eastbourne trascorreva le vacanze. Nel ritratto che di lui traccia Pietro Citati nel suo “Il Male assoluto”, emergono delle manie tipiche di un individuo nevrotico ma attento ed innamorato della vita e di ciò che può offrire di bello ed interessante. Lo scrittore coltivò tante passioni: per il teatro, per la fotografia, per le lunghe passeggiate, ma quella più grande, quella che lo esaltava e lo mandava in estasi fu certo quella per le bambine. Per le bambine dall’aspetto androgino, fino ai sette/dieci anni, poiché quando cominciavano a prendere forma, sviluppandosi sessualmente, allora il suo interesse svaniva.

Aveva le sue tecniche per attrarre le mamme o le tate che portavano a passeggio le bimbe, riuscendo ad ottenere il consenso di portarle al College e affidate solo a lui. Alle bimbe raccontava storie che si inventava al momento, le ospitava in una stanza i cui grandi armadi erano pieni di giochi meccanici o di carte disegnate da lui e poi le fotografava, anche nude. Era convinto, dice Citati, che “le sue piccole amiche fossero delle creature cadute dal mondo ‘di là’ che avevano assunto un viso incantevole, un corpo bellissimo, e pure continuavano con tutte le forze della nostalgia ad aspirare all’Eden dal quale erano discese… era un profondo amore erotico, che la rimozione aveva desessualizzato.[1]

La bimba che trovò più interessante fu certo Alice Liddell che su di lui esercitò un fascino assoluto: “l’aveva amata senza misura e senza fine, come non aveva mai amato qualcuno nella vita.” Ed è Alice che diventerà la protagonista del racconto per l’infanzia più letto e citato in assoluto, “Alice nel paese delle meraviglie”.

Non so perché sia stato considerato un classico della letteratura per l’infanzia, poiché questa strana storia sembra il parto di un individuo che vive un presente per lui impossibile da attraversare e perciò lo rifiuta poiché gli provoca ansia, angoscia, terrore.

Si racconta di uno straordinario viaggio in cui tutto diventa surreale e Alice, alter Ego di Carroll, si ritrova a vivere dentro un vero e proprio incubo che vive con la consistenza, la forza e la vividezza del reale. La piccola protagonista entra nella tana di un coniglio e precipita in un budello buio e senza fondo. Non sa se cade o vola, perché a un certo punto si guarda attorno, ai lati, notando pareti attrezzate con normali arredi, e quando finalmente giunge nel fondo, si muove in un mondo abitato da animali che vestono abiti come fossero umani e dialogano con lei come se la conoscessero da sempre. L’incubo continua poiché nessuna logica è rispettata in quei discorsi e poi, ciò che si rivela più drammatico, è il fatto che lei, Alice, può rimpicciolirsi o crescere a dismisura con tutti gli inconvenienti del caso.

Conigli, colombi, gatti, bruchi, maiali sono i protagonisti della strana avventura di Alice, con essi si incontra e dialoga cavandosela come può con i nonsense continui con cui deve misurarsi in questo suo viaggio nel mondo dell’assurdo. Infine il desiderio (ancora un altro elemento fondamentale del sogno, avrebbe detto Freud) che Alice coglie, sente, vorrebbe realizzare ma che non può afferrare: intravede da un passaggio piccolissimo, quasi un pertugio, un prato coloratissimo che infonde pace, serenità, allegria, ma è irraggiungibile: lei è sempre troppo grande per poter attraversare quel piccolo ingresso e dunque è costretta a rimanere in quel mondo di pazzi, immersa nei pericoli e soggetta continuamente a cambiamenti fisici non voluti, non cercati.

Alice e il Grifone

All’interno dell’incubo, poi, si aprono riflessioni interessanti, ma anch’esse surreali, su come impostare un discorso logico oppure sul concetto di tempo declinato dal Cappellaio, dalla Lepre di Marzo e dal Ghiro. Poi, d’un tratto, essendo ritornata nella sala con in mezzo il tavolino di cristallo con sopra una chiave d’oro con la quale si apriva la piccola porta d’accesso al giardino, Alice finalmente poté entrarvi, essendo divenuta alta solo trenta centimetri, avendo mangiato un pezzetto di fungo che il giorno prima aveva trovato nel bosco. Aprì ed entrò “nell’ameno giardino in mezzo alle aiuole fulgide di fiori, e alle freschissime fontane.” Ci troviamo in un mondo dove tutto funziona alla rovescia e di nulla ormai ci si sorprende; può accadere di tutto e il concetto d’impossibile non esiste; gli animali parlano; le teste si muovono senza corpi, gli oggetti rivelano “umanità”: parlano, si muovono, sentono emozioni e si appassionano; le leggi della fisica non sono più rigide e vengono superate: i corpi si allungano e si accorciano a seconda di quanto e di cosa mangi; né la morale esiste e per un nonnulla cadono le teste per ordine di una dispotica Regina. La Duchessa sembra essere un’eccezione perché afferma che “è l’amore, è l’amore che fa girare il mondo!” anche se dopo aggiunge: “la miniera è maniera di gabbar la gente intera!” e poi: “Non credere mai d’essere diversa da quella che appari agli altri di esser o d’esser stata, o che tu possa essere, e l’essere non è altro che l’essere di quell’essere, e non diversamente.” E quindi non si salva neanche la filosofia in questo mondo sottosopra o in questo divertissement, come anche si potrebbe intendere la celeberrima stramba favola del reverendo inglese.

Infine viene il turno del Grifone, un drago alato che accompagna Alice sull’orlo di una rupe per farla incontrare con la Falsa- testuggine che le avrebbe raccontato la sua storia, anch’essa assurda e piena di filastrocche bizzarre, dove anche la lingua smarrisce ogni regola: un Vecchio Granchio insegnava “Catino e Gretto” e altre materie di studio erano “la marografia”, “il disdegno”, il cui maestro insegnava “il passaggio e la frittura ad occhio.

Bianconiglio

Largo spazio viene dato alle filastrocche che vorrebbero indicare l’armonia, il Bello, almeno quello cui si aspira, poiché il risultato è modesto. Insomma Carroll, anche se nelle vesti di Alice, entra nel Paese delle meraviglie con l’ardente desiderio di capovolgere una normalità che lui aborre. Chi dirige le istituzioni sono personaggi abbietti e autoritari, ottusi e illetterati, mancanti di alcun senso di morale e di pietà e quindi profondamente ingiusti. L’autore propone una condanna senza appello della organizzazione sociale e politica del suo tempo, da far pensare al lettore che abbia adoperato la dissacrazione letteraria del potere auspicando l’avvento di una rivoluzione popolare che potesse cambiare radicalmente l’assetto sociale e istituzionale della comunità globale. Ma quest’ultima asserzione credo non fosse esattamente l’aspirazione dello scrittore in clergyman amante delle bambine.

I giudizi sul web: retorica e superficialità del già sentito.

Le interpretazioni buoniste

“Sicuramente Alice nel Paese delle Meraviglie può essere letta e interpretata come una bellissima fiaba, grazie alla presenza di personaggi davvero singolari. La scrittura dell’autore britannico ha sicuramente l’intento di divertire i bimbi, anche se la critica ventila l’ipotesi che possa avere una funzione pedagogica, in quanto attraverso i suoi giochi di parole, i ragazzi possono imparare a distinguere lo stile errato e la maniera sbagliata di scrivere, da quella corretta e di uso canonico.” (sic!)

“Alice finisce nella tana del Bianconiglio per sfuggire a una realtà noiosa che non la soddisfa affatto. Si ribella alla noia e ai limiti del mondo conosciuto spingendosi nell’ignoto e prendendo così in mano la propria vita, a dispetto di ciò che dicono “gli adulti”.”

Le interpretazioni banali

“La bimba e il coniglio appartengono a due mondi opposti, ma la ragazzina ha iniziato a seguirlo e a un certo punto inevitabilmente le loro vite si intersecano. La fretta e l’ansia del coniglio potrebbero essere l’emblema dello stress che i genitori trasmettono ai figli e l’incrociarsi dei loro mondi, se pur differenti, potrebbe simboleggiare l’equilibrio famigliare…”

“Il messaggio che Carroll vuole far passare è quello di non fermarsi mai e di continuare incessantemente nella ricerca di se stessi e del proprio percorso evolutivo, perché la vita va vissuta e non aspetta. Simboli, metafore e similitudini quelle usate da Carroll, per raccontare un percorso di crescita e la lotta contro il tempo, dove realtà e immaginazione si scontrano.”


[1] Pietro Citati, Il male assoluto – Nel cuore del romanzo dell’Ottocento, Edizioni Adelphi, Milano 2013, pag. 330


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