Il gioco è una cosa seria

Agata Salamone

Il filosofo Bencivenga, nel suo “filosofia in gioco” ci rappresenta la filosofia linguaggio e la mente come spazi ludici, giochi intellettuali. Muovono infatti le forze della creatività e dell’immaginazione, del gioco come uno stato in cui l’adesione alla realtà, alle costrizioni della realtà e dei limiti che ci impone, si allenta, si slarga come una giuntura che cede e la mente fa gioco e si fa il vuoto necessario a movimenti nuovi, non necessari, non previsti, non vincolanti. La libertà guadagnata quando vengono meno le leggi del ragionamento sequenziale, ordinato dalla fredda logica e dalla pesantezza del reale dato per assoluto. Molte attività umane sono di fatto gioco quando sollecitano la mente a sviluppare con libertà emozioni e pensieri. Gioco è la politica come pratica di scelte finalizzate in modo autonomo al bene comune con sguardo distopico, un occhio al dato di fatto un altro alla visione del possibile, del migliorabile, dell’utile in una altro senso per ambiti più vasti di giudizio e di partecipazione. Gioco è il proprio lavoro se smuove risorse interiori, soggettive, se apre spazi per essere presenti all’opera nella sua totalità anche come oggetto di fruizione sociale, gioco è la letteratura che infinitamente apre scenari di vita umana empaticamente condivisibili ricostruendo e costruendo mondi di senso. Gioco è la filosofia che condivide con tutte le attività elencate la curiosità, l’inventiva, il rigore delle regole del gioco razionale, lo spazio di libertà necessario a fare domande e ipotesi. Di altre attività invece che si dicono gioco, del gioco non hanno neanche l’ombra.  Cosa resta del gioco al calcio? Chi mai può osare di chiamare gioco la mania dell’azzardo? Anche del mondo del gioco e dei giocattoli per l’infanzia si fa fatica a riconoscere i caratteri del gioco per gran parte di quel mondo che è consumo imposto, bisogno indotto dalla pubblicità, ha l’esito di lasciare passivi i bimbi, riempie le case di cianfrusaglie di plastica, omologa i gusti e massimizza i profitti.

I bimbi   giocano con tutto quello che capita loro per le mani. Bencivenga fa il racconto del gioco di una bimba: Il comportamento  è trasgressivo, sovverte le abitudini sull’uso corretto degli oggetti e sovverte ogni aspettativa preformata sulle sue azioni: lo sbatte per terra, lo assaggia, lo gira, anche in modo  indisciplinato, anzi se qualcuno cerca di insegnarle l’uso corretto sbaglia, ne ostacola il gioco fino a ottenere che quello che fa non rimanga più un gioco:  è diventato  insegnamento performante affinché impari un comportamento come si deve, affinché usi l’oggetto come si deve. 

Ma cosa impara nel gioco? molte cose importanti: a vivere nel suo corpo, le resistenze, valutare le distanze strutture solide, padroneggiare la voce “tutto quel che facciamo sul serio lo abbiamo imparato un giorno giocando. Nel gioco impariamo le abilità fondamentali, a interagire, empatizzare, bilanciarsi.

Per conoscere la realtà il metodo migliore non è una supina registrazione dei dati. La realtà va esplorata, va inventata con uno sguardo nuovo. Il gioco è il paradigma di questa esplorazione e creazione.

 Si apprende facendo, non per pura constatazione. Il primo cavaliere errante è il bambino: Il mondo ignoto che esplora è il suo ambiente. Con i dispositivi elettronici va a caso, errando, divertendosi, deviando.

Il gioco del bimbo non ha nessun secondo fine. Nel gioco vero è autonomo, il suo vantaggio finale è   l’adattamento, ma non lo ha cercato. Il gioco non prepara a un mestiere, allena alla vita. Aumenta le capacità che gli permetteranno di superare ostacoli e far fronte alle difficoltà.

Il gioco è serio per i bimbi, vi si dedicano con pazienza, con sforzo, con attenzione. Anche a noi adulti succede di prendere davvero sul serio qualcosa: deve essere uno spazio di un gioco. Diventa piacevole, viene praticato per il piacere che dà: mettere in gioco i punti di vista e adattarli alle circostanze. Non possiamo sapere cosa sarà utile in futuro ai nostri bimbi. Per non esser meri esecutori, dovranno esercitarsi a esplorare il possibile.   Esplorare comportamenti alternativi, non lineari, slittare da una prospettiva all’altra, sfruttare la resistenza che ci oppongono gli oggetti, sarà più importante che rispettare le regole. Preventivamente prepararsi alle sorprese. I cambiamenti di prospettiva sono fonti di gioia.   Anche fare i genitori non è facile e non è immediato come se fosse un fatto semplicemente naturale. Sono ruoli da apprendere.


2 risposte a "Il gioco è una cosa seria"

  1. Se consideriamo che il gioco è un’attività realizzata per sé stessa, intrinsecamente motivata e gratificante, senza secondi fini, all’opposto di quella lavorativa, la riflessione di Agata Salamone che prende spunto dal libro di Ermanno Bencivenga, torna utile in un tempo quale il nostro in cui assistiamo a una decadenza generalizzata dello stesso concetto di gioco, puntualmente distorto, falsato e malpraticato.
    La Salamone ci invita a riscoprire il gioco come spazio di libertà, attività disinteressata, sganciata dalle morse della mercificazione e dell’efficientismo, proiettata nella creatività, oltre la realtà della logica fredda, pesante e immobilistica, persino verso la politica che si fa ricerca del possibile -realizzabile e non della real-politic, del lavoro appagante, della letteratura umanamente nutriente e della filosofia interrogante e impertinente, tosta.
    Bisognerebbe davvero, dico io, allora, ritornare bambini per entrare in questo regno dei cieli che è il gioco, sul quale da secoli una vasta letteratura ha profuso fiumi d’inchiostro e tesori di pensiero!
    Purtroppo, quella “cosa seria” che è il gioco (almeno per le vergini menti) oggi è diventata “cosa sporca”, interessata e anche letale, a distanza siderale da quanto nello Zibaldone affermava Leopardi a proposito dei bambini che trovano il tutto nel nulla a differenza dei grandi che trovano il nulla nel tutto, per cui il fanciullo di poco si accontenta ed è felice, l’adulto che molto ha si ritiene insoddisfatto, annoiato ed infelice, cosicché la noia oggi imperversa su tutti, grandi e piccoli, e neanche i giochi sono più quelli di una volta!
    Quella forza educativa dell’uomo che già Froebel volle vitalizzare nei Kindergarten o Giardini d’Infanzia incentrati sul gioco, che Filippo Neri prima e Giovanni Bosco dopo, assegnarono alle istituzioni come motore propulsivo delle loro attività, oggi si è di molto svigorita, e anziché promuovere l’interazione socialmente utile e benefica, emulativa e non competitiva e rivaleggiante, l’empatia solidale e costruttiva, il bilanciamento e riequilibrio delle tensioni interiori, è degenerata nell’agonismo senza limiti, scorretto e drogato.
    Giustamente la Salamone domanda cosa è rimasto del gioco del calcio oltre, dico io, l’antagonismo violento e sanguinario, oltre gli scontri tribali delle tifoserie armate che non raramente si scontrano in guerriglie urbane ed extraurbane; delle stesse squadre di calcio cosa è rimasto oltre il professionismo mercenario e narcisista, commerciale, spesso truccato e truffaldino, con risvolti giudiziari!?
    Non il puro divertimento fine a sé stesso, non l’intelligenza del confronto emulativo, sereno e rispettoso delle regole e dell’altrui persona, ma la gara per il successo prezzolato e plaudente.
    Il calcio è perciò ancora un gioco o non piuttosto un giro di enormi affari? Quello che si spettacolarizza negli stadi, delle tifoserie isteriche, delle schedine e delle società calcistiche miliardarie, per me non lo è!
    Oppure vogliamo considerare gioco l’enalotto, i videogiochi che simulano, fra l’altro, operazioni di guerra, il gioco in borsa e l’azzardo, anche solo a carte a tavolino?
    La prospettiva di facili e lauti guadagni unita all’autodistruttività, all’investimento della propria identità sociale compulsivamente mossa dalla mania di onnipotenza, sospinge non raramente a giocare con la morte anche senza il ricorso agli stupefacenti, ma lucidamente, come negli sfide sui binari dei treni in corsa o in bilico sui precipizi o con automobili o moto lanciate a velocità incontrollabili.
    Neanche sono giochi quelli dei programmi televisivi cosiddetti di intrattenimento, se non gare di facile guadagno, maleducative per le masse di telespettatori passivamente addomesticate e al traino di abili imbonitori.
    Cosa c’è da aspettarsi di meglio nel prossimo futuro, a proposito di gioco, dal metaverso per chi oggi ama definirsi personalità dinamica, iperattiva ed iperconnessa?
    Temo poco di buono. Vedo nuvole ben poco gioconde all’orizzonte per menti annebbiate da un ambiente saturo di tecnologie informatiche prone al consumismo becero ed edonistico, che non lasciano spazio alla sana lettura e al vero gioco libero..

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  2. Grazie Salvatore per i tuoi commenti, compreso questo all’articolo di Agata. Certo l’argomento credo abbia subito attratto la tua attenzione, poiché per tanti anni ti sei misurato, come insegnante elementare, con la crescita dei bambini e con l’importante ruolo rivestito in essa dal gioco. Mi duole comunque constatare che non arrivino altri interventi e mi chiedo perché siamo tanto gelosi delle nostre opinioni tanto da lasciarle al coperto, al chiuso, dentro la nostra mente come se la loro comunicazione le potesse sminuire. Sarebbe interessante invece un confronto o magari soltanto un “condivido” o un “non sono d’accordo” o anche un semplice clic sul tasto “mi piace”. E invece il silenzio.
    È vero che il blog non ha tanti follower, non è accattivante dal punto di vista grafico e soprattutto è molto “serioso”, spesso urticante e noioso con la lunghezza dei miei articoli che solo a misurarli facendo scorrere la barra laterale del computer, la fuga altrove è avvertita come una salvezza. Spero tuttavia che pubblicare i nostri “pezzi” possa essere di una qualche utilità per la comunità biancavillese e per chi ci segue da altre province, anche se spesso ho pensato e penso di chiudere i battenti.

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