Dalla riflessione sui valori alle scelte di valore
Alfio Pelleriti
Si sono concluse le elezioni politiche che, come succede, hanno visto vincitori e vinti. Naturalmente, chi è abituato alla retorica della propaganda non riesce a leggere ormai la realtà e i suoi accadimenti, per cui anche se il proprio partito ha dimezzato i propri consensi afferma che la coalizione ha vinto ed è contento e continua a tenere ben stretto il suo ruolo di capo del partito circondato e acclamato dai suoi “legionari”; c’è chi ha tradito i patti sottoscritti appena 24 ore prima diventando una quinta colonna degli avversari ufficiali e, pur non avendo conseguito i risultati sperati, sorride soddisfatto; c’è chi si muove atteggiandosi a leader carismatico autoproclamandosi difensore dei più deboli e progressista pur avendo perso oltre il 50% dei consensi. Tuttavia c’è anche chi ammette di aver perso anche se il partito che dirige ha retto, mantenendosi sulle stesse percentuali preelettorali, e decide di aprire un confronto tra gli iscritti sui valori che dovrebbero ispirare l’azione del partito; un dibattito sugli errori commessi, sulla ricerca di una prospettiva sociale, economica, culturale che si è smarrita negli anni, cercando con umiltà di riscoprire o fondare una identità comune per agire coerentemente e positivamente sulla vita della nazione.

Fermarsi e porsi delle domande sui nostri principi etici, sulla nostra visione della vita, laica o religiosa che sia, sulla qualità dei nostri comportamenti e sulla coerenza con i propri principi morali è certo un buon esercizio per chi ha spirito critico e la giusta umiltà di riconoscere i propri limiti e gli errori che inevitabilmente facciamo.
Con tale spirito voglio proporre a me stesso e agli amici che seguono “Pensiero libero” una riflessione sull’essere cristiani. (A Biancavilla stanno per cominciare le celebrazioni in onore di San Placido).
“Vai, vendi tutto e seguimi!” disse Gesù al giovane che voleva diventare suo discepolo. La Parola è chiara, semplice e per questo turba le nostre coscienze, dice di disfarsi degli averi, di non mettere al primo posto la madre, il padre, i figli, ma la Parola del Messia e decidersi a fare una scelta che non preveda compromessi: “Dio o mammona!”. Gesù indica come valori irrinunciabili l’amore gratuito, la generosità, la compassione, la misericordia e il perdono per i propri nemici; auspica di diventare operatori di pace praticando una vita virtuosa per il raggiungimento del bene. Ecco, questo vuole Gesù da tutti noi, non certo le furberie e le promesse bugiarde, i tatticismi vigliacchi e ipocriti, le falsità barattate per promesse altruistiche, la cattiveria e la sete di potere, la ricerca della ricchezza a danno dei più deboli, la pratica del male.
Gesù pretende una conversione dai suoi discepoli e le conversioni, ci hanno insegnato i mistici, non rientrano nella normalità, non sono sempre razionali. Convertirsi e praticare il Bene in nome del messaggio evangelico significa diventare “rivoluzionari”, alternativi al comportamento standardizzato e considerato normale, naturale dai più; significa mettersi su posizioni radicali, in prima istanza nei confronti di se stesso, poi degli altri e ancora delle convenzioni sociali, degli assiomi culturali.

Convertirsi significa anche fare piazza pulita di tutte le incrostazioni ideologiche, culturali, sociali che le istituzioni, a partire dalla famiglia, trasmettono ad ogni individuo dopo che sia passato dalla fase della prima infanzia, nel periodo in cui si costringe l’infante ad abbandonare la naturale percezione della realtà con atteggiamento “magico”, ludico, poetico, immaginifico, fiabesco, per “abituarlo” a considerare naturali le regoli sociali che gli si forniranno come “pre-giudizi”, direbbe Heidegger, cioè come schemi mentali dove poi riporre le sue personali conoscenze, le sue razionalizzazioni, le sue abilità che lui considererà frutto della “sua” capacità cognitiva, della sua visione del mondo, delle sue caratteristiche psicologiche, della propria capacità relazionale o professionale. In realtà, ogni individuo ha dentro di sé aspetti positivi e negativi, verità e menzogne, generosità e avarizia, razionalità e pulsioni istintive, aggressività e remissività. Dunque Gesù ci vuole dire con quelle affermazioni forti che scuotono fin nel profondo, (perché a tutti sembra naturale l’amore filiale), che dobbiamo in primo luogo rivedere radicalmente il nostro essere, poiché esso è frutto della storia di ciascuno, avviluppato e imbrigliato da pregiudizi, da falsi valori, da individualismi. Bisogna creare un uomo nuovo, ripulito da tutti gli altari che abbiamo eretto a noi stessi, prima di parlare di dimensione morale, etica, politica, spirituale, religiosa.
Gesù ci ricorda che non è sufficiente amare gli amici (troppo facile!), amare anche i nemici bisogna; e non basta perdonare, facendo un fioretto, chi ci ha fatto del male, una o due volte, ma “settanta volte sette”, cioè sempre. Sarebbe inutile e ipocrita ricordare a noi stessi che siamo buoni, anzi siamo eletti e votati alla salvezza, appartenenti al regno di Dio, prima che Dio ci abbia giudicati. No, non è sufficiente ricordare a se stessi che Dio è misericordioso e dunque, se salverà il peccatore, figurarsi se non salva chi è stato presente a tutte le celebrazioni, chi non ha mai fatto male a nessuno (per personale autovalutazione!) e chi manda il suo obolo a Medici Senza Frontiere.
Edith Stein diceva che aveva bisogno dell’Eucarestia ogni giorno per acquisire forza necessaria per stare dalla parte del Bene, e della preghiera costante oltre che della contemplazione della Croce per giungere ad uno stato di levità che le consentisse di rimuovere ogni macchia interiore e avere al suo cospetto solo il volto di Gesù.
No, non è semplice essere cristiani e perdonare “settanta volte sette”, abituati come siamo ad accendere il nostro amor proprio, il nostro orgoglio, ogni volta che supponiamo di non essere stati considerati con il giusto riguardo, con l’attenzione che meritiamo, con le riconosciute competenze professionali, con il potere che esercitiamo. Non è facile farsi umili e occupare l’ultimo posto, lì sull’uscio con gli ultimi dei convitati alla festa. Non è facile esercitare il potere all’interno di un settore sociale con spirito di servizio e ubbidendo alla propria coscienza morale. Non è facile fare il dovere per il dovere senza pensare ad altri scopi che non sia, diceva il grande Kant, la legge universale che obbliga a considerare gli altri sempre come “fini” mai come “mezzi”, e che la nostra azione sia così rispettosa della dignità dell’uomo e dell’ambiente che si possa presentare sempre come legge universale, accettata da tutti e in ogni tempo.
Il nostro amato pontefice, Francesco, ci ricorda in ogni occasione quali caratteristiche deve acquisire il buon cristiano: niente lussi, marmi, intarsi, ori e argenterie nei luoghi sacri, niente primi posti per coloro che occupano ruoli importanti nelle istituzioni statali o regionali, cui possiamo chiedere favori di varia natura, ma atteggiamenti liberi di prossimità verso i poveri, i bisognosi, gli anziani, gli ammalati, gli immigrati, i ragazzi a rischio di dispersione scolastica, i disoccupati. Aprire le porte della Chiesa ed elargire sapere, saggezza, giustizia, combattendo l’insipienza delle mode, la volgarità di certi comportamenti giovanili, l’ignoranza, la disinformazione.