Alfio Pelleriti
Qualcuno dei pochi che seguono “Pensierolibero”, già Piazza Grande, sa che Vito Mancuso è stato da me eletto a “maestro di vita” poiché egli ha inciso molto e profondamente sulla mia visione del mondo, sulla percezione di me stesso e degli altri, sul mio comportamento, e dunque sulla mia dimensione morale, spirituale e su quella religiosa.

Gli scritti di Vito Mancuso possiedono la qualità rara di trasformarsi in strumenti che contribuiscono a migliorare la vita facendo chiarezza tra le tante informazioni che arrivano dai media e dai social che spesso contrabbandano opinioni più o meno bislacche per verità. Mancuso ha trovato nella scrittura la via che conduce se stesso ad instaurare relazioni profonde con gli altri, con i suoi lettori, ma anche con filosofi, religiosi, artisti coevi e del passato, mettendo in pratica, lui per primo, la teoria che presenta in questo suo ultimo splendido lavoro: affidarsi totalmente alla pratica del bene per essere felici. Tale pratica, dice Mancuso, può renderci migliori se adottiamo un comportamento virtuoso, abolendo dalla nostra psiche sentimenti negativi. Virtù come la fortezza, la costanza, la temperanza, la saggezza dovrebbero diventare carburante per le nostre azioni quotidiane nell’ambiente familiare, nel lavoro, nella politica, nelle relazioni sociali in generale. L’uomo vero ed autentico dunque spenderà la sua vita non per essere tra i migliori o il migliore, ma per cercare di essere migliore. Dice Mancuso: “Avere una percezione integrale del mondo e portare avanti un’idea disinteressata: vivere così da poter dire nella vecchiaia di avere preso il meglio dalla vita, di aver fatto proprie le cose più nobili e più belle del mondo e di non aver macchiato la coscienza con le sozzure di cui si sporca la gente e che, una volta esaurita la passione, lasciano un profondo disprezzo.”[1]
L’essere migliori discende dalla decisione di rispondere nella nostra vita alla nostra “coscienza morale”, che significa mettere l’etica al centro delle nostre azioni, e scegliere di “esistere”, non semplicemente “vivere”.
Vito Mancuso è Maestro nell’analisi del comportamento individuale ancorandolo agli elementi portanti delle caratteristiche che connotano l’uomo come essere pensante dotato di coscienza e autocoscienza, di capacità di percezione, di appercezione, di capacità di cogliere la giustizia, la bellezza e di creare artisticamente. Egli aiuta i lettori a trovare luce ove la strada è oscura, a trovare la meta ove le vie si incrociano e s’aggrovigliano. Illuminanti alcune sue definizioni su concetti basilari della riflessione filosofica. A proposito dell’esperienza della trascendenza, ecco come si esprime: “Con auto-trascendenza mi riferisco all’esperienza di chi avverte, ora con una specie di urgenza, ora con pacata serenità, l’instaurarsi al proprio interno di un’istanza più importante di sé, e il conseguente forte spazio, assegnandole il posto d’onore della mente e del cuore. Intendo il superamento di sé. Ovvero, per riprendere le parole di Hannah Arendt, l’instaurarsi della bellezza, della giustizia e della sapienza. È questo, a mio avviso, il momento decisivo della vita: quando esso avviene, la vita diventa esistenza.”

Stupenda e illuminante la riflessione di Mancuso sulla verità, che non consiste semplicemente nello snocciolare i fatti a prescindere dal contesto, dalle relazioni in cui sono coinvolti i protagonisti. La verità può contenere anche la menzogna se questa sarà utile alla pratica del bene, se la verità “corretta” consentirà di salvare la dignità della persona, la sua integrità, la sua “salvezza”.
In proposito afferma: “un maestro chiede a un bambino davanti a tutta la classe se suo padre è alcolizzato. La verità è che lo è, ma il bambino risponde di no. La sua affermazione però non è una menzogna, ma una custodia a un livello superiore della verità, della verità che non è riducibile all’esattezza, ma che è anche misura, giustizia, bene, bellezza, decoro. Il che significa che la verità si attinge solo quando si ha a cuore l’intero, o forse basterebbe dire: la verità si attinge quando si ha cuore.”[2]
Sulla fortezza afferma che a livello cosmologico essa esiste come logos, come legame e relazione, non come onda d’urto violenta e distruttiva. Essa se considerata passivamente significa “resistenza” o resilienza, attivamente come “coraggio”. E in primo luogo il coraggio di superare l’ansia della morte e del dolore, senza il quale potremmo essere posti in uno stato di inedia patologica, di paura che azzera qualsiasi iniziativa, che annichilisce il pensiero e dunque, precipita in una morte esistenziale.
Quando si giunge alla fine del libro ci si sente soddisfatti per avere letto e meditato un saggio chiaro e illuminante sulla vita e sul suo senso profondo e sui valori cui dovrebbero fare riferimento le scelte degli individui. Il libro è come una guida che affonda le sue radici nel cristianesimo, nell’ebraismo e nelle filosofie orientali, dal taoismo al confucianesimo, fino alla cultura classica greca e latina e ai maggiori filosofi della cultura occidentale moderna e contemporanea. Mancuso presenta le quattro virtù cardinali, la saggezza, la giustizia, la fortezza, la temperanza, per poi declinarle in tante altre virtù altrettanto importanti per la nostra vita e che convergono poi tutte nella pratica del bene che rende gli uomini “giusti”, migliori, belli. Sì, belli, poiché l’uomo che scopre la strada opposta a quella del consumismo che porta inevitabilmente a sentimenti negativi e a gioie effimere, scopre che la vera realizzazione sta nel percorrere la via dell’altruismo, della generosità e della compassione. Solo allora si troverà la forza interiore per assumersi la responsabilità della difesa dell’ambiente; di stare sempre dalla parte della giustizia e della pace, del rispetto della persona. Esercitarsi in tal modo nella pratica del bene consente di diventare migliori e di sentire una felicità profonda. In chi farà tale scelta il bene diventerà una costante del suo comportamento e si impegnerà nella realizzazione di tale progetto con gioia, con spontaneità, con la semplicità dei piccoli, e dunque, il suo volto farà trasparire la sua gioia interiore, la sua saggezza, la sua forza d’animo nell’affrontare le avversità, nel riuscire ad amare la vita cogliendo di essa gli aspetti più veri e più belli.
Delle quattro virtù, dice Mancuso, la giustizia deve essere posta all’apice nel lavoro interiore di colui che si vota alla pratica del bene seguendo ciò che gli indica la sua coscienza morale: “Se ha uno scopo percorrere il sentiero delle virtù cardinali, è quello di produrre giustizia. Se ha un senso essere forte, saggio e temperante è per essere giusto, perché non c’è nulla di più importante dell’essere giusto.”[3]
Come già affermava Kant, la nascita di un uomo nuovo e giusto è possibile grazie alla volontà che va esercitata costantemente. La volontà di essere giusti e la forza per esserlo costantemente verrà dalla motivazione che scatta nella coscienza morale perché ciascuno possa guarire dalle negatività che albergano all’interno di se stesso e che si stratificano nel tempo a causa di una visione egoistica e materialistica della vita: “Che tipo di uomo voglio essere? Si domanderà la coscienza morale di ognuno e ciascuno si darà una risposta libera, convinta… Se non si parte dal proprio intimo e non si lavora per trasformarlo, si può girare il mondo intero aiutando milioni di poveri e lottando contro ogni tipo di ingiustizia, si possono sanare migliaia di vite, si possono lanciare campagne sociali e azioni politiche ma non si giungerà mai a realizzare quella giustizia e quella pulizia interiore che sono il vero obiettivo dell’etica e che si manifestano come giustizia, pace interiore, armonia e che generano libertà e quiete negli altri.”[4]
[1] Vito Mancuso, La forza di essere migliori, Garzanti editore, Milano 2020, pag. 275
[2] Ibidem, pag. 185
[3] Ibidem, pag. 288
[4] Ibidem, pag. 307