Pubblico non è privato.

Siamo in piena campagna elettorale, purtroppo o per fortuna (dipende dalla collocazione politica di ognuno naturalmente) e “Pensierolibero” non sarebbe tale se non facesse sentire la sua voce sull’evento che si annuncia portatore di cambiamenti significativi sia per quanto attiene la formazione del governo che per un possibile cambiamento costituzionale in senso presidenzialista, fortemente voluto da “Fratelli d’Italia” e dalla sua leader Giorgia Meloni, che in ogni consesso della destra più oltranzista e sovranista europea chiude i suoi interventi gridando orgogliosamente di essere donna, cristiana, italiana.

Cominciamo con un articolo della nostra amica e redattrice Agata Salamone che nel paese di residenza in provincia di Bergamo è stata eletta consigliera comunale contribuendo ad alzare l’asticella della qualità degli interventi con il peso della sua cultura e della sua sensibilità civica.

Mi aspetto dai lettori che ci seguono ormai da qualche anno un loro contributo lasciando un commento nello spazio dedicato che si trova in fondo all’articolo. (A.P.)

di Agata Salamone

La politica che ci ha deluso è quella che produce discriminazione anziché democrazia. Come si fa a discriminare? Si fa un uso privato della cosa pubblica. Quando si riceve il compito di governare per l’interesse collettivo dopo una elezione, invece che stare nei limiti della legge, si fa come se il potere fosse una licenza a esercitare il proprio personale interesse, anziché un compito di servizio per la comunità. La frequenza con cui molti politici confondono l’interesse pubblico (cioè di tutti) con l’interesse privato (cioè il proprio personale vantaggio) è tale che a questa confusione siamo persino abituati e non ci scandalizziamo nemmeno. Invece ci deve indignare e preoccupare molto, più della incompetenza, più della superficialità. L’uso della cosa pubblica alla stregua di una proprietà personale di cui disporre a piacimento fino a quando si detiene il potere, e possibilmente anche oltre. 

Le ombre e la luce

Vogliamo tornare su questa nozione perché il cambiamento che desideriamo ha a che fare con la difesa della sostanza della democrazia. La confusione di cui stiamo parlando ha un nome preciso nel codice penale: si chiama peculato. Si tratta di un abuso molto frequente che riguarda le grandi ricchezze, i grandi beni, ma anche i piccoli benefici, i privilegi minuti, illeciti di poco conto. Chi ha considerato come una proprietà le macchine del comune, le prestazioni professionali dei lavoratori del comune, i servizi erogati dal comune, le strutture, le istituzioni, le associazioni come ambiti di cui disporre come propri, destinati al proprio uso personale e non alla collettività, ha commesso un abuso. Chi ha usato il proprio ufficio, la carta, le stampanti, le fotocopiatrici per il lavoro e non per le funzioni di amministratore che gli davano titolo di accesso negli uffici, ha fatto uso privato di beni pubblici: peculato. Sembra normale, ma non lo è. Che nessuno se ne sia meravigliato a Cisano ci sembra un pessimo segnale di degrado della democrazia. Si tratta di un reato grave che è quello che ci fa disprezzare la politica, anzi, una certa politica, interessata e cialtrona. Il cambiamento che vogliamo comincia proprio da questa importante svolta. Ciò che è pubblico non è privato.


2 risposte a "Pubblico non è privato."

  1. Concordo che ci abbiamo fatto la brutta abitudine di non scandalizzarci più ! Ma destra , sinistra, centro sono tutti uguali, anzi più passano gli anni più la qualità dei politici si abbassa! Sono dell’idea “turiamoci il naso e le orecchie votiamo il meno peggio”

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  2. Sono contento per l’interesse e l’attenzione all’articolo di Agata, al quale aggiungerei una nota:
    Le osservazioni di Agata sul “Dover essere” del politico costituiscono la premessa indispensabile per qualsiasi intervento di un cittadino che si propone di far parte dell’agone politico per diventare protagonista di un miglioramento della vita della comunità d’appartenenza. Kant affermava che non può esistere azione virtuosa che non faccia riferimento agli imperativi categorici della propria coscienza morale. Solo dopo aver fatto i conti con i doveri morali i fatti concreti, le proposte, i programmi si riempiono di senso ed entrano nella categoria del “Bene comune” e l’attività politica diventa trasformatrice, autentica, rivoluzionaria.
    Ma, rimanendo nella filosofia, Platone amaramente affermava che molti, ascoltando tali concetti, ne ridono o, se possono, caccerebbero o eliminerebbero gli intellettuali che li propongono.

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