Daniel Goleman, La forza del Bene (sul Dalai Lama)

Alfio Pelleriti

Ciò che colpisce leggendo questo interessante libro di Daniel Goleman è il constatare che tanti sono i punti di vicinanza del buddismo e del pensiero del Dalai Lama con il cristianesimo, quanto a visione del mondo e a valori ultimi, inderogabili che li caratterizzano. La sua peculiarità sta nell’indicare all’uomo le possibili strade che si possono percorrere per godere della felicità che viene dalla pratica del Bene. Sotto tale aspetto si può cogliere un approccio pedagogico che può portare chiunque a scoprire le grandi potenzialità che si possono aprire agli individui accedendo ai concetti alti della spiritualità fin dalla più tenera età. Il buddismo cioè diventa scuola, pratica quotidiana, ideale politico, poiché la pratica del Bene muove il mondo e lo cambia in meglio mettendo in campo la compassione, la non violenza, la discussione franca e sincera, la parola semplice non appesantita da artifici retorici. In particolare, abituarsi alla sincerità nei rapporti con gli altri, abitua al rispetto delle persone a prescindere dalle convinzioni politiche o religiose.

Ecco allora che il Dalai Lama consiglia di esercitarsi ad un comportamento gentile fin dall’infanzia, facendo diventare naturale l’uso di un gesto garbato, del sorriso con cui lo si dovrebbe accompagnare, della solidarietà per chi soffre, lasciando così che il seme della gentilezza possa attecchire e poi germogliare nei bambini. Già dall’infanzia è fondamentale abituare i piccoli a disfarsi dei sentimenti negativi quali la rabbia, la gelosia, l’invidia, il desiderio di possesso proponendo loro tecniche di rilassamento per attenuare ansia e nervosismo.[1]

Il Dalai Lama, ci informa Goleman, ha tanti amici nel mondo della politica e tra gli intellettuali ma ama trascorrere tanto tempo con psicologi e scienziati delle varie branche del sapere, poiché egli vuole dare fondatezza scientifica al suo pensiero, senza alcuna chiusura alle tesi laiche, convinto che non vi sia alcuna dicotomia tra fede e ragione.

I due principi fondanti del suo pensiero sono infatti la saggezza e la compassione: “Un’economia compassionevole che unisca lo spirito imprenditoriale e un vigoroso sistema di supporto sociale e a tasse sulla ricchezza, come avviene in Svezia, dove questo modello è applicato con successo[2]

Dice ancora il Dalai Lama: “Affidarsi ai soldi per essere felici è troppo materialistico… ci servono basi più profonde per essere felici. Il modo migliore per ridurre il dolore è lavorare a livello mentale, non nella gratificazione sensoriale.[3]

Un altro concetto importante che si approfondisce in questo libro, che coinvolge e commuove, riguarda la possibilità, per chi voglia aprirsi ad una migliore e autentica percezione della realtà, di liberarsi da una serie di incrostazioni materialistiche e ossessivamente egoistiche che caratterizzano e determinano la nostra coscienza, il nostro Io profondo. Dice il Dalai Lama: “Tu non sei il centro dell’universo, rilassati, rinuncia all’ossessione che hai di te, e ignora le tue manie di protagonismo per poter pensare anche al tuo prossimo.” Questa è una dichiarazione da incidere in ogni cuore, poiché è dalla liberazione dalle negatività che abitano dentro il nostro Io che potrà venire una vera e autentica rivoluzione nell’uomo e quindi nelle società.

Il Dalai Lama

Autodisciplina, compostezza, curiosità intellettuale, compassione, ironia e autoironia, gioia ed empatia verso gli altri, generosità verso i poveri sono i tratti della personalità del Dalai Lama che emergono in questo libro di Goleman. Tali tratti difficilmente si incontrano in una società sempre più svincolata dai valori etici e religiosi e votata semplicemente al consumismo e all’edonismo. In essa ciascuno vive come su un palcoscenico dove recita ogni giorno la sua parte, che non cambia, e che egli stesso si è assegnato tenendo conto della percezione che di lui hanno gli altri. Ciascuno, cioè, conforma la sua vita in relazione alle aspettative codificate da modelli che il contesto culturale e sociale ha strutturato di generazione in generazione.

Già all’interno della propria famiglia gli individui sono educati ad adottare le modalità con le quali affrontare i vari ruoli sociali eliminando o contrastando quegli elementi che il soggetto, attraverso una preparazione culturale personale, filtrata da una sensibilità propria e originale, avrà saputo mettere in campo per costruire un’autentica personalità.

È dunque difficile che le riflessioni sul buddismo o sul cristianesimo o su problematiche attinenti l’”essere nel mondo” e le conseguenti scelte esistenziali possibili, possano intaccare l’oziosa, imperturbabile, coscienza dei provinciali, ammesso che costoro abbiano occasione di poter venire in contatto con esse attraverso la fruizione di uno spettacolo teatrale o di un film d’autore o attraverso la lettura di un libro o magari la partecipazione ad un salotto letterario. Essi vivono per soddisfare soprattutto i loro bisogni primari: mangiare, dormire, parlare, rimanendo sempre alla superficie degli accadimenti, reiterando i soliti giudizi sulle donne, sugli immigrati, sul rispetto delle regole sociali, sulla pace o sulla guerra, sul significato di vivere o morire. Nessuna novità può distrarli dalle abitudini consolidate che sono ormai la ragione di vita: due ore al circolo la mattina; una partita a briscola in cinque; intrattenersi sulla pubblica piazza per osservare chi attraversa la strada e commentare come si veste o come cammina, e raccontare al crocchio particolari della sua vita per ridere soddisfatti avendo aumentato la propria autostima affossando l’onorabilità degli inconsapevoli passanti. La realtà della profonda provincia è inattaccabile e non si piega o scompone di fronte ad alcuna novità politica, sociale, culturale o religiosa; le riflessioni degli intellettuali non la permeano; le abitudini che caratterizzano la vita sempre uguale di ciascuno sono reiterate e celebrate ogni giorno poiché esse fanno parte ormai del loro patrimonio genetico.

Il pensiero del Dalai Lama è un richiamo al valore universale dell’altruismo attraverso il sentimento della compassione, facendone di esso un riferimento continuo con sè stessi e con gli altri. Egli suggerisce di porre la compassione come uno degli obiettivi prioritari e trasversali alle varie discipline nelle scuole di ogni ordine e grado, insegnandola e promuovendola con attività mirate che portino i docenti ad attualizzare i contenuti disciplinari, evidenziando la loro commozione e la pietà per i fatti tragici che hanno attraversato la storia dell’umanità, così da arrivare insieme, docenti e discenti, a vivere la compassione con chi è vissuto e vive lontano nel tempo e nello spazio; e insieme condividere speranze, sogni, bisogni.

Si tratta dunque di creare un uomo nuovo che sappia cogliere tutte le occasioni che gli si presentano per poter consolidare, in sè stesso e con gli altri, sentimenti positivi tendenti alla costruzione di ponti verso la generosità e l’altruismo, la pietà, la prossimità e l’amore, la sincerità e l’amicizia leale. Su tali sentimenti egli costruisce un vero e proprio programma politico. “Lasciata libera, la compassione ci offre un nuovo punto di riferimento per migliorare sistemi come l’economia, la politica e la scienza. Nella politica, questo significa trasparenza, equità ed affidabilità, sia che si tratti di agire in borsa, di finanziare un’elezione o comunicare semplici informazioni.

La famiglia, istituzione fondamentale di una comunità sociale, ha il compito di educare i figli a sviluppare le emozioni positive, quelle che sono indirizzate a sostenere i fratelli più bisognosi a prescindere dalle diversità economiche, sociali, culturali o religiose. Questa è la strada maestra che secondo il Dalai Lama conduce alla felicità: riconoscere i pensieri negativi e contrastarli subito senza concedere ad essi tempo, altrimenti tenderanno ad invadere la nostra mente e il nostro cuore divenendo di fatto i padroni della nostra vita. Sarebbe come stare nel recinto stretto del nostro egoismo senza poter provare la gioia sottile che discende dall’essere per gli altri, per tutti gli altri, anche per coloro che sono lontani nel tempo e nello spazio, sperimentando in tal modo la felicità dell’elevazione spirituale.

Anche la qualità della religiosità personale diventerebbe bassa se non azzerata qualora difettasse l’elemento della compassione. Quest’ultima diventa anche una strada percorribile per l’amore cristiano indirizzato a tutti, compresi i nemici che inevitabilmente si presentano nella vita di ognuno. Dice il Dalai Lama: “opponiamoci al suo (del nemico) comportamento, ma amiamo la persona, e facciamo tutto il possibile per aiutarla a cambiare. Per odioso che sia quel modo di fare, abbiate compassione di colui che agisce. La vera essenza del perdono è non sviluppare rabbia nei confronti dell’individuo, e al tempo stesso non accettare ciò che ha fatto.” Questa sua indicazione sull’elemento che sta a fondamento del messaggio evangelico, tutti i cristiani dovrebbero seguire. Bisogna certo opporsi ai comportamenti ingiusti ma amare la persona che ha sbagliato perdonandola, più volte se occorre, anche perché il dolore che ha provocato avvicina alla croce di Gesù, permettendo di entrare con Lui in empatia.

Insieme al dovere morale e religioso del perdono, il Dalai Lama insiste anche su altri valori, come la trasparenza e l’onestà, come ha insegnato con l’intera sua vita il Mahatma Gandhi, così come si pronuncia a favore delle ONG che si pongono al servizio dei poveri del mondo, sempre in prima linea nella pratica del Bene.


[1] Ad esempio, giocare ad “amico di pancino”: i bambini stanno supini con l’animale di peluche preferito sulla pancia e devono calmarsi osservando attentamente il pupazzo alzarsi e abbassarsi al ritmo del loro respiro.

[2] Daniel Goleman, Dalai Lama – La forza del Bene, pag. 91

[3] Ibidem, pag. 96


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