“Dilemmi” programma televisivo ideato e condotto da Gianrico Carofiglio

di Alfio Pelleriti

Gianrico Carofiglio

“Dilemmi” è un appuntamento settimanale con l’approfondimento culturale affidato all’ex magistrato e scrittore di successo Gianrico Carofiglio. Un programma televisivo davvero da non perdere (lunedì Rai 3 ore 23,15), poiché l’ottimo conduttore stabilisce le fondamentali regole della comunicazione a cui si dovranno attenere gli ospiti: chi comunica deve essere in grado di portare delle prove a sostegno della propria tesi; non si può trascendere nella polemica e men che meno deridere la tesi dell’interlocutore; non si può interrompere la comunicazione altrui, né alzare il tono della voce e infine non si può argomentare su ipotesi fallaci che non abbiano cioè un minimo di oggettività riconosciuta universalmente. Chiude infine la trasmissione l’ottima attrice Lella Costa che con grazia e bravura recitativa presenta dei passi d’autore che chiosano l’argomento approfondito.

Nella quarta puntata del 23 maggio, introdotta con cura e con rimandi a filosofi, a cineasti, a narratori, Carofiglio ha presentato l’argomento da dibattere: “Impegno o disimpegno: quale scelta per l’intellettuale, anzi, per lo scrittore?”

Walter Siti

Invitati ad esprimere la loro opinione sul tema gli scrittori Walter Siti e Stefano Massini. Le distanze tra i due intellettuali non si sono rivelate siderali e anzi tanti sono stati i punti di contatto, ma a volerle sintetizzare, si può affermare che Siti ha sottolineato che lo scrittore, anche inconsapevolmente, si assume il compito di indicare la strada maestra per giungere alla verità, naturalmente la sua verità e non quella codificata in una fede politica, religiosa, sociologica. Lo scrittore, come del resto tutti gli artisti, inevitabilmente codifica nella sua opera la sua visione del mondo e la porge con stile, con eleganza, con originalità al lettore, che a sua volta, si nutre di quel prodotto cercando avidamente risposte alla sua personale esistenza.

Stefano Massini

Massini ha presentato una visione più “anarchica” della questione, affermando intanto che non si possono cercare verità o esempi da imitare nei prodotti artistici poiché questi possono essere il risultato di pulsioni inconsce con relativo materiale che emerge dalle zone più profonde e buie della psiche e inoltre, gli artisti sono un ammasso di contraddizioni; si rivelano spesso estremisti e radicali, tanto da abbracciare cause impossibili, come il filonazista Celine o il nazista Martin Heidegger. Chi crea, ha aggiunto Massini, libera il materiale rimosso nell’inconscio che, più chiaramente di quanto possa accadere nell’attività onirica, trova situazioni più confacenti, seppure non preordinate, per guadagnare i livelli superiori della coscienza. Dunque, ha concluso Massini, non c’è arte se non nella libertà più assoluta e senza vincoli di sorta; una condizione che lo stesso artista deve imporre a se stesso svincolandosi finalmente dalla visione gramsciana dell’intellettuale “organico” ad una weltanschauung, ad un progetto politico, ad una fede qualsiasi.

Tanti gli scrittori citati dai due illustri ospiti, da Italo Calvino a Primo Levi, da Dante a Camus, da Orwell a Max Weber, dal cinese Wiewei allo street artist Banksy, ma non ho sentito il nome di Hans Georg Gadamer, rappresentante autorevole dell’ermeneutica filosofica, che proprio sul tema proposto e dibattuto della creatività artistica e in specie della letteratura ha scritto pagine memorabili in “Verità e metodo”, la sua opera maggiore. Fondamentale sarebbe stato riprendere nel dibattito il concetto di “circolo ermeneutico”, cioè il rapporto che si instaura tra il lettore fruitore dell’opera con l’autore stesso.

L’opera d’arte, soprattutto quella letteraria che si avvale del linguaggio, consente di mettere in campo le proprie preconoscenze o pre-giudizi sulla realtà che ciascuno ha maturato nella propria vita. Nell’esperienza della lettura il soggetto entra in rapporto con prospettive e percezioni della realtà diverse dalle proprie, si confronta con lo scrittore e da tale incontro, inevitabilmente, si produce un cambiamento nell’uno e nell’altro. Il lettore, giunto alla fine del romanzo, non sarà più quello di prima, né il romanzo rimarrà uguale a se stesso ma si avvarrà di una ulteriore interpretazione che lo modificherà ancora.

Personalmente ritengo che l’esperienza della lettura di un romanzo o di un componimento poetico o anche di un saggio filosofico o sociologico o teologico, sia essenziale per chiarire dei dubbi, per condividere delle riflessioni, per trovare approfondimenti ad intuizioni che giacciono per anni dentro la zona più profonda della propria coscienza. Leggendo si comunica e ci si confronta con uomini e donne che hanno attraversato situazioni tragiche o gioiose in tempi e luoghi lontani dai propri. E tali rapporti, come anche sottolineava Michail De Montaigne, sono essenziali per lo sviluppo delle personali caratteristiche, da quella mentale a quella sentimentale, da quella culturale a quella spirituale. Del resto, come si può pretendere di giungere da soli ad avere idee chiare sui concetti di bello, di giustizia, di verità, di divinità e di bene senza l’essenziale apporto dell’esperienza altrui?

Ogni volta che leggo un libro, se conservo un atteggiamento di apertura, allargherò i confini della mia conoscenza del mondo e di me stesso, traendomi ancora un poco fuori dai pre-giudizi, dalla mia situazione contingente, aggiungendo qualcosa in più sui suddetti concetti e valori, poiché, come diceva Platone, la perfezione delle idee non è di questo mondo, ma con l’apporto di esperienze significative, come la fruizione del bello o l’esperienza di un rapporto d’amore, la ricerca della verità e lo sforzo di tradurla nella pratica comunitaria, dalla famiglia al governo della città, si può cogliere il significato profondo del “Dasein”, dell’Esserci nel mondo (M. Heidegger).


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