Il tempo non è
galantuomo:
moltiplica le distanze,
divarica gli orizzonti,
pietrifica le provvisorie
certezze,
è sale per le ferite
mai rimarginate,
NON chiedergli l’oblio:
è l’eterno ritorno
dei nostri pregiudizi.
22 – Aprile – 2021

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Viviamo
per scontare
i sogni perduti,
oltre l’io
il sublime
ascolto
delle storie
degli altri.
Il folle innesco
dei ricordi
si frange
in approdi
di oscuri turbini
in rocce indurite
dal tempo.
I titoli di testa
offuscano la fine,
a dettare la trama
ci pensano
le improvvisazioni
degli attori di strada.
luglio 2021
Commento di Alfio Pelleriti
Il primo componimento ribalta il detto sul tempo “galantuomo” secondo cui non esiste dolore, privazione, caduta che non sia lenita dal tempo; è la concezione di un tempo accostato al processo della rimozione fino alla dimenticanza o alla ridefinizione dell’accaduto come semplice esperienza di vita.
Il tempo può invece agire da moltiplicatore del dolore, diventando come “sale” in una ferita sempre aperta; un tempo non lineare, che implicherebbe l’idea del superamento della negativà in un costante progresso, in un maturo e consapevole rapporto con la realtà. Quello presentato dal poeta invece è un tempo che si muove secondo un “eterno ritorno”: una riproposizione del presente che non consente il superamento della sofferenza. Una situazione soffocante e senza via d’uscita dove gli altri ancora una volta, con i loro pregiudizi diventano “l’inferno”.
Nel secondo componimento si ritrovano ancora i pregiudizi del senso comune dove si infrangono i sogni che i giovani sanno assaporare vivendoli insieme, condividendoli in narrazioni che diventano reali sostegni per il loro sviluppo psichico, sentimentale. Poi il tempo e la quotidianità con le loro regole ferree, con rapporti codificati e ipocriti, rifrangono inesorabilmente quel mondo colorato degli ingenui ideali, della sincera amicizia, dell’affetto fraterno.
Il tempo ha indurito quei cuori dove prima albergava la fantasia e poiché l’immaginare e il sognare sono tratti essenziali nell’uomo, per poterli ritrovare conviene fermarsi almeno qualche minuto innanzi alle “improvvisazioni degli attori di strada” che, come i poeti, sono “i pastori dell’essere”.
Questo mese propongo la lettura di due poesie di due grandi poetesse contemporanee, in questi testi, a mio parere, la fluida semplicità espressiva raggiunge vertici di profondità difficilmente raggiungibili, nei dettagli spesso si manifesta la grandezza della nostra umanità. (C. Minissale)
Wislawa Szymborska Il vecchio professore
Gli ho chiesto di quei tempi,
quando ancora eravamo così giovani,
ingenui, impetuosi, sciocchi, sprovveduti.
È rimasto qualcosa, tranne la giovinezza
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto se sa ancora di sicuro
cosa è bene e male per il genere umano.
È la più mortifera di tutte le illusioni
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto del futuro,
se ancora lo vede luminoso.
Ho letto troppi libri di storia
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto della foto,
quella in cornice sulla scrivania.
Erano, sono stati. Fratello, cugino, cognata,
moglie, figlioletta sulle sue ginocchia,
gatto in braccio alla figlioletta,
e il ciliegio in fiore, e sopra quel ciliegio
un uccello non identificato in volo
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto se gli capita di essere felice.
Lavoro
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto degli amici, se ne ha ancora.
Alcuni miei ex assistenti,
che ormai hanno anche loro ex assistenti,
la signora Ludmilla, che governa la casa,
qualcuno molto intimo, ma all’estero,
due signore della biblioteca, entrambe sorridenti,
il piccolo Jas che abita di fronte e Marco Aurelio
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto della salute e del suo morale.
Mi vietano caffè, vodka e sigarette,
di portare oggetti e ricordi pesanti.
Devo far finta di non aver sentito
-mi ha risposto.
Gli ho chiesto del giardino e della sua panchina.
Quando la sera è tersa, osservo il cielo.
Non finisco mai di stupirmi,
tanti punti di vista ci sono lassù
-mi ha risposto.
Alda Merini Il volume del canto
Il volume del canto mi innamora:
come vorrei io invadere la terra
con i miei carmi e che tremasse tutta
sotto la poesia della canzone.
Io semino parole, sono accorta
seminatrice delle magre zolle
e pur qualcuno si alza ad ascoltarmi,
uno che il canto l’ha nel cuore chiuso
e che per tratti a me svolge la spola
della sua gaudente fantasia.