Un romanzo filosofico
Alfio Pelleriti
“Non sappiamo quando ce ne andremo per sempre. Ma un giorno ci defiliremo da questo carnevale con tutte le maschere e i suoi ruoli e ci lasceremo alle spalle solo pochi futili oggetti che verranno poi anch’essi spazzati via. Usciremo dal tempo, da quella che chiamiamo ‘realtà.”[1]
Comincio con una citazione tratta dal romanzo “Il castello dei Pirenei”, poiché in essa è compendiato il tema sul quale si sviluppa la narrazione che vede protagonisti un uomo, un ricercatore e climatologo, Steinn, e una donna, Solrun. I due hanno una opposta visione del mondo che influenza naturalmente la percezione della realtà, la storia, le loro convinzioni sulla vita, sulla religione, sull’esistenza di Dio e dell’anima. Nonostante tale profonda diversità i due stanno bene insieme, anzi si sentono attratti l’uno all’altra come lo erano trent’anni prima, in età giovanile. Nei primi anni settanta formavano infatti una coppia affiatata e stavano bene insieme; si amavano e insieme scoprivano il mondo. Cinque anni durò il loro rapporto e poi si separarono conducendo un autonomo percorso di vita.

Solrum conobbe e sposò Niels Petter ed ebbe due figli. E anche Steinn si sposò. Ma quel loro passato idilliaco rimase impresso nella loro mente come qualcosa di indelebile e una strana nostalgia melanconica occupava la profondità del loro cuore. L’uno pensava all’altra e spesso si trovavano a tornare indietro nel tempo per rivivere quegli anni.
Trascorsi trent’anni si incontrano casualmente nello stesso albergo dove si erano conosciuti e riprendono a comunicare scambiandosi delle mail con le quali ancora, ciascuno dal proprio punto di vista, cerca di trovare soluzioni agli eterni problemi cui l’uomo ha cercato di dare risposta. Filosoficamente Steinn è un razionalista e il suo principio epistemologico poggia essenzialmente su una elaborazione dei dati che fornisce la realtà attraverso una metodologia scientifica corroborata dalla sperimentazione della fisica, della chimica e di tutte le discipline scientifiche. Lei invece è una spiritualista convinta; crede nell’esistenza dell’anima e nella sua immortalità; crede perfino che sia possibile la premonizione attraverso i sogni e ritiene che le anime possano intervenire nella storia degli uomini e che a proposito della natura pensa che “ab initio” sia stato Dio a creare l’Universo, così ordinato, così complesso, così bello con stelle, pianeti, galassie e che sia indefinibile per l’uomo conoscere quando sia iniziata la vita, altro che il Big Bang e i 13,7 miliardi di anni fa e che, come sostengono molti scienziati, sia stato semplicemente il caso a fare sviluppare la natura come ora noi la vediamo con i suoi mari, le montagne, le specie viventi, il DNA, l’RNA, con la possibilità per l’uomo e non di altri esseri di pensare, di riflettere su come pensiamo, di creare con la musica, con i colori, con il legno o le pietre, con la scrittura.
No, Solrum non crede che tutto questo possa essere spiegato ponendo ab initio il caso. Tuttavia nel finale del romanzo i punti di vista dei due protagonisti si incontrano e un finale a sorpresa, drammatico, spinge il lettore ad una riflessione personale sui temi della vita, della morte, della fede, dell’amore.
La vicenda si svolge in Norvegia, patria dell’autore, nato ad Oslo nel 1952 e lì ha studiato filosofia e teologia e ha insegnato filosofia, prima che si affermasse come scrittore nel 1986 con “Il mondo di Sofia”.
E non poteva avere migliore ambientazione la vicenda, lì dove ancora la natura è incontaminata, con i suoi boschi di betulle e di ontani, con i suoi fiordi che portano l’oceano nell’entroterra dando l’impressione al visitatore di questa stupenda regione di trovarsi nella terra dei grandi fiumi. La Norvegia delle alte montagne coperte da una fitta vegetazione, che si lasciano attraversare da vertiginose cascate, come le meravigliose “sette sorelle” (sette cascate, una dopo l’altra, su una catena montuosa a picco sul fiordo Geisangererfjord – patrimonio dell’Unesco). La Norvegia dai panorami mozzafiato, dove il cielo e la terra e il mare sembrano animarsi, respirare e proteggere quella piccola comunità di uomini e di donne che con essa e di essa vive e palpita, narrata dal suo scrittore premio Nobel per la letteratura nel 1920, Hamsun Knut in “Fame” e in “Pan”.
CITAZIONI da Jostein Gaarder, Il castello dei Pirenei
“Il mondo non è un mosaico di coincidenze, Stenn. È un tutto coerente.”[2]
Steinn: “Al contrario degli animali, noi spesso cerchiamo una causa superiore come il destino, la provvidenza o un altro principio guida dove non c’è nulla di tutto ciò.”[3]
Solrun: “A dispetto della grandezza dei corpi celesti siamo noi le anime viventi di questo universo. Cosa sanno fare le comete e gli asteroidi? Cosa sono in grado di percepire di tutto questo? Che consapevolezza possiedono di loro stessi? …Credo che noi umani occupiamo una posizione d’eccezione. Siamo noi le anime nel teatro di questo universo.”[4]
“Oggi la nostra cultura è molto materialistica e ha chiuso quasi completamente le porte alla spiritualità, per non dire all’aldilà. Occorre però leggere Shakespeare, leggere le saghe islandesi. Occorre dare di nuovo uno sguardo alla Bibbia e a Omero.”[5]
“Oggi sono certo che quanto chiamo io sopravvivrà alla morte del corpo. Non penso che sia il mio corpo a essere me. Non è più me o mio di quanto non lo sia un vecchio vestito nel guardaroba. Nemmeno quello mi porterò via. Né la lavatrice. Né l’automobile o il bancomat.”[6]
“Dove getteresti l’ancora per bloccare quell’io che in te è il soggetto che parla, pensa e sogna? Nella bile o nella milza? Nel cuore o nei reni? Forse nell’intestino tenue? O dobbiamo invece cercare quell’ormeggio nell’anima, nello spirito, in ciò che è, visto che tutto il resto non è che il ticchettio di un orologio e la sabbia di una clessidra? Per me è solo fango e melma, se vuoi sapere la mia.”[7]
“Avevamo notato che stavamo seguendo la statale cinquantadue, cosa che trovammo buffa dato che entrambi eravamo nati in quell’anno.”[8]
“La nostalgia tra due persone nello stesso letto a volte sa essere più dolorosa e intensa di una nostalgia che attraversa i continenti.”[9]
“Siamo anime, Steinn!… Non esiste la morte, non esistono i morti.”[10]
Niels Petter: “E’ una cosa così importante avere ragione! È così importante avere la facoltà o la volontà di seminare il dubbio nella religiosità di altre persone?”[11]
[1] Jostein Gaarder, Il castello dei Pirenei, Editore Longanesi, Milano 2009, pag. 9
[2] Ibidem, pag. 26
[3] Ibidem, pag. 31
[4] Ibidem, pag. 37-38
[5] Ibidem, pag. 41
[6] Ibidem, pag. 55
[7] Ibidem, pag. 162
[8] Ibidem, pag. 171
[9] Ibidem, pag. 204
[10] Ibidem, pag. 224
[11] Ibidem, pag. 240