Alfio Pelleriti
Domenico Iannacone con la sua trasmissione “Che ci faccio io qui”, su Rai 3, nella puntata di sabato 16 aprile, ancora una volta ha coinvolto ed emozionato con le sue storie tratte dalla realtà delle nostre città. Sono storie di uomini e di donne che spesso portano dentro situazioni drammatiche, scomode ma utili per riflettere sulle nostre scelte di vita, sulle nostre inossidabili convinzioni fondate spesso sulle apparenze frivole, stupide, inconsistenti di un mondo di cui siamo diventati solo pedine e nel quale accettiamo, per viltà, di non pensare, piegandoci ad una routine consumistica, egoistica, mercificata.
Sabato, il servizio d’apertura dedicato all’associazione “Linea d’ombra” è stato per me sconvolgente poiché mi ha messo davanti ad una storia dove protagonista è una coppia col fisico di anziani ma col cuore e con la mente di giovani che vive ogni giorno il messaggio evangelico accostandosi agli ultimi, servendoli, curandoli, amandoli. In quei cinquanta minuti del documentario ho visto come lo Spirito Santo operi ogni giorno nel mondo e come Gesù compia ancora i suoi miracoli attraverso l’opera di uomini e di donne di buona volontà che scoprono dentro il loro cuore la spinta ad intraprendere la strada che conduce al Bene. La loro quotidiana azione volta ad alleviare la sofferenza dei migranti sulla rotta dei Balcani produce scandalo, esattamente come Gesù che scandalizzava i benpensanti del suo tempo, gli scribi e i Farisei, quando guariva di Sabato, quando avvicinava le prostitute per redimerle, quando si accompagnava ai pubblicani o agli storpi o ai lebbrosi.

La puntata di oggi ha presentato una donna, una psicoterapeuta e psichiatra, ancora bella nonostante l’età avanzata e i suoi capelli bianchi; altera, dagli occhi azzurri, chiari e trasparenti, penetranti e attenti; un ovale del viso naturalmente aristocratico dall’incarnato roseo; con labbra ancora carnose; alta e ieratica nel portamento, con mani grandi e dita affusolate; sobria negli abiti eppure elegante; privo di trucco il suo viso eppure ammaliante. Il marito ottantacinquenne, insegnante di storia e filosofia in pensione, ogni mattina l’accompagna sul piazzale antistante la stazione ferroviaria di Trieste dove sostano migranti asiatici in cerca di un avvenire meno fosco rispetto a quello che si prospettava loro in Pakistan o in Afghanistan, in Indonesia. Dopo tanti tentativi di varcare i vari confini degli stati balcanici sorvegliati da soldati e poliziotti brutali che seviziano, torturano, uccidono, portandosi addosso le paure e le angosce e i segni indelebili lasciati nel corpo e nell’anima dalle violenze, dalla fame, dalla stanchezza, finalmente sono riusciti a varcare la frontiera italiana, dopo aver superato quella serba, croata, slovena. Sono finalmente in Italia, a Trieste e si concedono una sosta seduti sulle panchine della piazza. I loro piedi sono piagati poiché hanno camminato per mesi (molti hanno intrapreso il viaggio della speranza da anni) sul territorio carsico dove le pietre sono aguzze e taglienti, su un terreno aspro e accidentato e scabro e i loro piedi, non abbastanza protetti da calzature idonee, dalle unghie, alle piante, ai talloni e alle caviglie sono pieni di piaghe, di ferite profonde, rigonfi di pustole.

Ecco allora che la coppia di giovani anziani, Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir si avvicina a quei giovani migranti dolenti, tristi, impauriti, affamati. Lei li saluta e sorride loro, chiede da dove arrivino e da dove son partiti; poi apre la sua borsa di pronto soccorso e cominciando dal primo, si prende cura dei loro piedi, della parte del loro corpo più fragile, dalla parte più bassa e loro si affidano, in silenzio, alle sue cure e in lei rivedono il volto della madre e sentono lo stesso amore che sempre dispensava. Si prende cura dei loro piedi con delicatezza, con amorevole attenzione; pulisce le ferite e disinfetta le parti ancora sanguinanti; toglie le schegge che ormai sono incuneate nelle carni; friziona, massaggia e fascia la pianta che aveva subito i contraccolpi d’una distrazione, della poca luce notturna, del desiderio di varcare la frontiera per ritrovare la dignità perduta; quelle piante sanguinolente di poveri cristi che avevano pagato per prime la voglia di riscatto e di dimenticare le umiliazioni inflitte loro da energumeni e sgherri senza cuore; volevano cancellare le immagini delle torture subite, delle urla di dolore inascoltate. Ora quelle cure materne prestate da una donna nobile alla parte più degradata del loro corpo, finalmente fa volgere il loro volto ad un sorriso sereno e in quella donna, che li cura e intanto si scusa con loro se non risulta abbastanza delicata, ora vedono un essere angelico che riconosce in loro delle persone, degli uomini con una storia particolare, ciascuno con i propri diritti naturali che vengono finalmente riconosciuti.

Un documentario toccante, come tutti quelli di Iannacone del resto, così coinvolgente che propongo a me stesso e ai visitatori del sito di attivarci per essere anche noi con Andrea e con Lorena ad aiutare chi soffre l’ingiustizia di un mondo che dimentica fratelli sfortunati che gridano inascoltati il loro dolore, la loro sofferenza. Attiviamoci subito nella raccolta di un contributo per l’associazione “Linea d’Ombra”.
Collegandosi al sito dell’associazione lineadombra.org ciascuno può fare la propria donazione


