Alfio Pelleriti

Passano lentamente i giorni sulla sofferenza del popolo ucraino e i mezzi di informazione ci pongono innanzi i volti di giovanissime madri che non trattengono le lacrime guardando i loro bimbi senza futuro, sole, private di tutto, senza mariti accanto, perché rimasti a combattere in difesa delle loro case contro i soldati invasori.
Scorrono le immagini e propongono edifici a brandelli; il fuoco, innescato dalle esplosioni dei razzi, che sbriciola scuole, asili, ospedali. Poi la telecamera si ferma sugli occhi di una madre che ha lasciato il figlio soldato a combattere e le sue lacrime sono come un fiume in piena per cui non servono più le sue parole; non sono necessarie risposte; chi guarda ha capito e il giornalista in silenzio passa oltre.
Una donna alla finestra (A. Pelleriti)
Anche il cemento piange
e muri scheletriti
si specchiano nel fuoco
dei letti, delle tavole imbandite,
di un divano pieno di sogni
e di tanto amore;
è a pezzi il trenino di un bimbo
e la testa di una barbi rotola
lì in basso sulla strada.
La nonna al monte
guarda ormai da ore,
immobile come un bronzo,
dura come ghiaccio,
solo una lacrima scende
e le attraversa il volto.
Non sente il fragore delle bombe,
il cuore è ormai spezzato,
nella mente il figlio che saluta,
in mano il suo fucile;
nelle labbra ha solo una parola:
“PERCHE’?”
Questa tragedia che nessuno si aspettava potesse accadere così vicino a noi, alle nostre case, rappresentazioni materiali della nostra vita, dei nostri progetti, delle nostre speranze, ci spinge ad una riflessione profonda su quel che è stato, su quanto accade, su quanto potrebbe accadere in un prossimo futuro. La scelta di un solo uomo, lasciato a gestire il potere di un grande Stato, ha portato il mondo davanti al rischio di una terza guerra mondiale che sarebbe combattuta, così minaccia il tiranno, con l’uso di armi nucleari.
Il peccato più grande che potremmo fare è quello di rimanere indifferenti a questa tragedia, continuando a seguire i nostri interessi, a condurre la nostra solita vita come se ciò che accade non ci tocchi minimamente, lasciando ad altri l’onere delle scelte; sarebbe sconsiderato non dedicare un po’ del nostro tempo a una semplice riflessione o all’espressione di una preghiera a Dio; sarebbe una sconfitta se non sentissimo scattare in noi l’indignazione di fronte alle scelte così atroci di un tiranno e non sentissimo compassione per chi soffre, sta nel terrore, muore.
Altrettanto grande peccato sarebbe quello di volere rimanere ancorati ad ideologie irrazionalistiche e vuotamente nazionalistiche che guardano ancora con stupida nostalgia ai dittatori dello scorso secolo anziché dire a loro stessi “mai più fascismo, mai più il nazismo, mai più il comunismo!”
Voglio concludere questa mia riflessione con alcune citazioni tratte dalle lettere di Etty Hillesum, ebrea olandese, morta ad Auschwitz nel novembre del 1943 insieme ai genitori e al fratello Mischa. Esse furono scritte da Etty quando i nazisti avevano avviato il piano per l’eliminazione degli ebrei negli Stati sottomessi ma richiamano fortemente il dramma del popolo ucraino, indicando tuttavia un messaggio di fede e di speranza, formulato in un momento storico e in condizioni davvero terribili, quando sembrava che l’uomo si fosse consegnato ad istinti ferali.
Si pubblicano le prime quattro citazioni, rimandando al prossimo articolo le altre quattro.
Citazioni tratte da
Etty Hillesum, Lettere 1942 – 1943, Adelphi Edizioni, Milano 9ª edizione 2012
1 – “…Credo che diventerà una situazione molto difficile, eppure vorrei esserci. Sai io ho tanto amore in me stessa, per tedeschi e olandesi, per ebrei e non-ebrei, per tutta l’umanità, dovrebbe pur essere lecito cederne una parte… ma non sono i fatti che contano nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa.” (pagg. 24/25)
2 – “…Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori. Spesso penso che dovremmo caricarci il nostro zaino sulle spalle e salire su un treno di deportati.” (pag. 27)
3 – “…Assenza d’odio non significa di per sé assenza di un elementare sdegno morale. So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato? Laggiù ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale.” (pag. 51)
4 – “…mi capita spesso di camminare lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce che mi dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto d’amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita.” (pag. 87)