L’età dell’incompetenza e i rischi per la democrazia

di Agata Salamone

Quando, in qualche trasmissione televisiva di carattere giornalistico, per approfondire un certo argomento, intervistano persone comuni, anonime, persone che casualmente si trovano a portata di microfono, per strada, come se il loro parere fosse un parere di maggior valore rispetto a quello di studiosi competenti in materia, mi scandalizzo e mi indigno, esattamente come quando faccio esperienza di una violazione del diritto di libertà di informazione. Penso che dire (o far dire a qualche comparsa) quello che si vuole a un microfono, dare la propria opinione (o usare l’opinione di qualcuno strumentalmente mimetizzandosi dietro una identità innocua di uomo della strada) usando il potere mediatico senza sentirsi l’obbligo di comprovare le proprie affermazioni, senza doverle motivare con dati di fatto serve solo a fare confusione, quindi produce disinformazione, falsifica la realtà, strumentalizza la sensibilità e l’intelligenza della gente nell’interesse occulto di chi offre appunto il microfono. Ritengo che sia esattamente una violazione del diritto democratico alla libertà di pensiero e di parola perché fa ritenere che il diritto consista semplicemente nella possibilità di esibire il proprio parere personale, come se fosse una questione di gusto; fa pensare che tutte le opinioni si equivalgono, posto che ognuno può avere un parere su ogni cosa. Io ritengo che la democrazia si fonda su un principio superiore a quello della libertà di opinione che è il diritto alla verità, alla ricerca della verità; non può ridursi semplicemente a una concessione occasionale di esprimersi su alcunché. Tom Nichols ha scritto un bel saggio intitolato “la conoscenza e i suoi nemici. L’era della incompetenza e i rischi per la democrazia” e nel suo libro indica proprio in questo modo “commerciale” di trattare l’informazione l’humus in cui germinano errori e incomprensioni nocivi alla civiltà democratica. La facilità con cui si accede alle informazioni, anche a quelle di tipo più propriamente specialistico, in qualsiasi campo, medico-sanitario, economico-politico, psico-pedagogico o altro, anziché produrre un nuovo illuminismo ha aperto l’età della incompetenza nella quale tutti ci riteniamo ugualmente capaci di una opinione e rimaniamo narcisisticamente affezionati alle nostre posizioni senza metterne in dubbio la bontà e la correttezza.

La società dell’anomia, come Émile Durkheim definiva la nostra società postmoderna, dopo la massificazione mediatica e consumistica, attraverso la colonizzazione delle nostre anime e la gestione indiretta delle nostre vite, dei nostri desideri, dei nostri progetti di vita, giunge al suo culmine con la distruzione dell’unica barriera che finora aveva retto in difesa dell’umanesimo, ossia con la vanificazione della cultura che è alla base della civiltà del rispetto della persona, dell’umano. È paradossale il deficit di cultura proprio adesso, in tempi di scolarizzazione di massa, adesso che i mezzi di informazione sono davvero alla portata di tutti. Al sapere generalmente la gente associa un certo disgusto come per tutte le distinzioni elitarie. Il non sapere viene considerato generalmente una virtù. Si ritiene forse di poter affermare la propria autonomia rifiutando il parere degli esperti, dei competenti in materia? Forse la frustrazione e il senso di impotenza che sentiamo quando ci rendiamo conto di essere alla mercè degli esperti ce li fa odiare? L’attacco alla competenza certificabile viene esercitato con rabbia e disprezzo dalla gente, la stessa gente che però è disposta a credere con faciloneria a tutte la propaganda urlata con slogans rozzi e livorosi. Siamo a quello che Asimov chiamava il culto dell’ignoranza. In certe trasmissioni molto seguite tale culto raggiunge livelli davvero comici. E ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere se si trattasse solo della coniugazione dei verbi alla Totò, se non si trattasse di rischiare invece la vita, la salute, la pace, l’ordine pubblico, la convivenza civile e molto altro ancora. Tutte le autorità sono state messe in critica, sono decadute tutte, anche l’autorità del dato reale, dei fatti. Prevale uno scetticismo vendicativo contro le autorità. Questa è l’anima della crisi delle democrazie: Il fraintendimento fondamentale che democrazia sia il livellamento e la legittimazione di tutti i pareri e non invece l’attribuzione di un primato alla verità come ricerca condivisa. Considerare la democrazia una forma di egualitarismo uccide, in nome della uguaglianza delle opinioni, ogni possibilità di sviluppo civile e toglie bellezza alla democrazia stessa, mentre apre la strada alla catastrofe anarchica. La democrazia, che per Popper è il più mite dei sistemi perché rende possibili i cambiamenti senza spargimento di sangue, finisce per essere vissuta come una gara di furbizia in cui vince chi se ne fa un baffo delle leggi e cerca privilegi per sé anziché diritti per tutti.  E si sbaglia a riferire questa posa a una classe politica contro cui sfogare il malumore generale, bisogna riferirla proprio alla gente comune che di quella classe politica è stata sostenitrice in cambio di favori, privilegi o anche solo di lusinghe. È con la lusinga della ignoranza e della volgarità razzista e antimeridionalista che la lega lombarda guadagnava voti negli anni ottanta, alla nascita. E continua a guadagnare voti adesso con la lusinga della ignoranza e della cieca vendetta contro capri espiatori individuati col pregiudizio e la paura, ottenendo consensi di massa anche presso coloro che hanno subìto il trattamento di capro espiatorio negli anni passati (i meridionali). Generalmente il consenso dato a questa propaganda del livore e del risentimento artificiosamente generato nel cuore della gente si fomenta insistendo sul discredito della cultura, inutile, come è considerato inutile tutto ciò che non produce un profitto qualsiasi. Della cultura si ammette esclusivamente ciò che ha un obiettivo pratico. Nel cuore della popolazione leghista è sempre stato dato consenso al pregiudizio della inutilità della scuola e dello studio che crea distinzione non sulla base della ricchezza, ma sulla base delle qualità spirituali della persona. La logica è: lavorare, lavorare, qualsiasi lavoro, a qualsiasi età pur di mettere soldi in banca e mettere in mostra la propria capacità di guadagno e di consumo. Oggi che il modello del customer satisfaction ha ridotto i media a macchine di intrattenimento (compresa l’editoria e la letteratura e la scuola), la politica a spettacolo, il desiderio di salute a materia prima per speculazioni economiche molto redditizie, il deficit di spirito critico, di autonomia di giudizio, di abitudine alla riflessione personale rende possibile e facile l’assorbimento da parte della gente comune dei proclami  della propaganda che fa leva sulle paure, sulla invidia e sul livore. Purtroppo avere un sapere minimo a conclusione di un percorso scolastico superiore viene considerato oggi punto finale di una istruzione necessaria, anziché punto iniziale di un personale percorso di formazione che sia sufficiente a sviluppare un proprio pensiero critico, per essere un cittadino capace di assolvere a funzioni private e pubbliche con intuito e intelligenza. Vanificare la potenzialità che la scuola ha di umanizzare la società e di permettere a tutti senza discriminazioni una certa elevazione morale e spirituale è una colpa contro la democrazia e la civiltà. Solo a scuola si può imparare a pensare, a dialogare, a valutare. La tv è pessima maestra: ci illude di un sapere che non abbiamo e distorce il senso delle parole stesse.

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Le conversazioni a cui assistiamo in tv modellano le nostre conversazioni e i cliché sono identici: il dialogo viene ridotto a un duello da cui solo uno deve uscire vincitore. Dire “non sono d’accordo” viene inteso come una offesa, come una dichiarazione di inimicizia; dire “hai torto” viene inteso come “sei stupido”, si personalizza la valutazione; correggere significa insultare. Da dialoghi cosiffatti nessuno guadagna nulla di più di quello che già aveva in testa. Più che uno scambio e un avanzamento verso una verità si ottiene un gran rumore che rende impossibile pensare. Ci sono espressioni, per esempio l’espressione “aiuti all’estero” o “fiscalità progressiva” di cui la gente non sa il significato eppure prende posizione accordando consenso politico a chi fa credere che siano imbrogli e truffe a loro danno, prescindendo dal vero significato di queste espressioni e pratiche politiche. Vengono definite buoniste queste politiche improntate alla solidarietà e la gente comune viene indotta a pensare vantaggiosa la politica dei bulli   della politica che hanno risolto la loro ingloriosa esistenza diventando i boss sulla scena politica ottenendo consensi bulgari. Ma giocano col fuoco se strumentalizzano il vanto che l’uomo comune si fa della sua ignoranza: gli aiuti all’estero sono piani di occupazione poiché consistono in beni e servizi prodotti per essere acquistati dalle nazioni a cui è rivolto l’aiuto. Chi conosce la storia può raccontare del piano Marshall che fu un piano statunitense di sostegno ai paesi europei nel secondo dopoguerra. Esso ebbe il valore di un piano di investimenti molto fruttuoso per gli stessi Sati Uniti oltre che per i paesi a cui era destinato. Quindi politiche di aiuto all’estero non sono elargizioni buoniste! Il termine “fiscalità progressiva” indica la scelta che le forze politiche sopravvissute al fascismo fecero in senso democratico affinché i costi dell’apparato statale non fossero uguali per tutti, ricchi e poveri, ma misurati in proporzione al reddito così da permettere un uso sociale della ricchezza e distribuire il carico della spesa pubblica in relazione alla forza economica dei cittadini. Solo così uno stato democratico si distingue da uno stato non democratico ed ha senso la stessa esistenza di uno stato che non avvalla lo status naturale di una società di potenti e deboli, ricchi e poveri, lupi e agnelli, ma crea un ordine sociale basato sulla solidarietà, la pace sociale, la pari opportunità di sviluppo e crescita, la parità dei diritti e dei doveri, l’evoluzione dialettica del sistema, la stessa tenuta del sistema sociale, il senso stesso, oserei dire, della società.   

Avere competenze politiche oggi viene considerato come una colpa, un attributo per quelli che infantilmente vengono additati come complici di chissà quale complotto, ma la competenza, e non la cialtroneria degli arrivisti di turno, la vera competenza è una combinazione di istruzione, talento, esperienza, titoli e riconoscimenti da parte di soggetti pari che è garanzia dei risultati di qualsiasi azione: Se dobbiamo farci operare ci auguriamo che a metterci le mani addosso sia uno di questi competenti e non un estemporaneo avventuriero del bisturi. Perché esitiamo a fidarci di un onesto e attempato politico di cui conosciamo storia, formazione, pensiero, talento, entusiasmo, intelligenza, perizia, piuttosto che dello sconosciuto giovane che si improvvisa oratore d’effetto in qualche talk show televisivo? Giungere a conclusione erronee è facile e spesso non ci si accorge dell’errore, di più quanto più si è incompetenti. E tanto più siamo incompetenti tanto più ci fidiamo degli argomenti che confermano le nostre preferenze pregiudiziali e scartiamo gli argomenti che mettono in dubbio le nostre preferenze pregiudiziali. Nella età della incompetenza il pifferaio magico usa i pregiudizi, non il ragionamento, infatti. Il principale vizio di chi da incompetente cerca di dare fondamento alle proprie idee è attribuire a un complotto un certo stato di fatto, per chi teorizza un complotto le prove, tutte, sono tutte manipolabili: danno sempre conferme. La teoria del complotto oggi, a livello universale, è la reazione più spontanea al disorientamento generato dalla globalizzazione. Questo vizio, questo deficit di ragionamento oggi rischia di portare il mondo al panico e può scatenare i demoni che si pensavano sepolti dopo la seconda guerra mondiale e dopo la guerra fredda. Gli stereotipi e le generalizzazioni in cui consistono le affermazioni razziste e nazionaliste, (oggi si dice “sovraniste”, ma è la malattia del linguaggio che fa usare termini buoni per dire cose cattive) sono impermeabili ai riscontri fattuali, non si lasciano mettere in dubbio dalla realtà, attribuiscono un rapporto causa effetto a elementi della realtà indipendenti e slegati, senza darne dimostrazione. C’è disinformazione, ma è vero anche che moltissimi credono alle bufale pur sapendo che sono bufale eppure decidono di attribuire a chi le dice il proprio consenso, sulla base più di quello che vogliono distruggere che di quello che vogliono costruire. L’attacco ai competenti, alla competenze, è parte di una strategia volta a capitalizzare l’ignoranza politica e la istintiva sfiducia nelle élites intellettuali. Così si spiega la Brexit in Inghilterra o il voto a Donald Trump degli statunitensi. Così, penso, si spiega la crisi della sinistra nel mondo, sinistra che sempre più si è identificata con la linea dell’illuminismo politico, quello ragionevole e possibilista, equo e solidale, istruito e responsabile, nutrito e orientato dalla cultura.  

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Una miscela tossica sta avvelenando il mondo, sfonda tutte le difese di cui, dopo le mostruosità indimenticabili del novecento, gli uomini si erano dotati affinché “mai più”. Una miscela fatta di antirazionalismo, ignoranza, disimpegno, individualismo, violenza, sopraffazione, illegalità.  Essa minaccia la civiltà occidentale che ha nella democrazia e nella elencazione dei diritti/doveri del cittadino la sua sola ragione distintiva che la rende preferibile. La democrazia non è uno stato di fatto, come un paradiso (o un inferno) di uguali sotto una unica e mostruosa autorità della legge. Così ci possiamo riferire al fascismo e al comunismo, identici sistemi che toglievano alle persone l’identità di persone e ne facevano sudditi equivalenti. Democrazia è un progetto, sempre da realizzare, che strutturalmente rende possibile l’impossibile decretando la legge del dialogo e del confronto, rimuovendo gli ostacoli alla partecipazione e affermando il principio e il valore della competenza e su quella base distinguendo i ruoli istituzionali.  Spinoza scriveva: “la cosa eccellente deve essere molto difficile”. E la democrazia lo è. Difficile ed eccellente. Ancora Spinoza scriveva che siamo invitati della vita. Su questo piccolo pianeta dobbiamo essere reciprocamente ospiti … è la nostra vocazione e il nostro destino essere in viaggio tra gli altri esseri umani, essere sempre pellegrini del possibile. Gli illuministi di una volta avevano fiducia che la scienza e la cultura avrebbero reso il mondo un mondo migliore. Dopo ci sono stati gli orrori dell’Ottocento e soprattutto del Novecento, malgrado la scienza anzi proprio grazie alla scienza. Noi vediamo di nuovo la volgarità avanzare e sappiamo che l’amore del bello e del buono non può essere insegnato con la prepotenza, e sappiamo che il sogno della giustizia e dell’equità può essere una fantasiosa utopia, e non abbiamo più una credenza ingenua nel progresso. Sappiamo che in tre parti su cinque dei paesi del terzo mondo i bambini muoiono ancora per fame. E sappiamo che i paesi europei, compresa l’Italia, vendono ai   paesi della fame armi di massacro. La stessa crescita tanto osannata nei paesi del primo mondo si basa sulla vendita di armi. La redditività degli investimenti in borsa viene prodotta da simili traffici. Eppure non troviamo ciò disonorevole. La nostra attenzione sulla vita nel mondo è sollecitata solo dal tema dei migranti e, senza avere riscontri fattuali, diamo consenso a chi urla improperi contro i migranti, vittime del fallimento della diplomazia internazionale, anziché ragionare sulle politiche di tenuta della convivenza civile sul pianeta. Ho sempre sostenuto che è l’ignoranza diffusa, generalizzata che alimenta e rende possibile la popolarità dei movimenti politici che predicano la divisione, la discriminazione razziale. Magari ci fosse una rivoluzione popolare contro la violenza di chi sfrutta il lavoro e pratica il cristianesimo della domenica, contro la speculazione finanziaria che scommette sulle guerre e sulle sciagure, contro la cieca accumulazione capitalistica spropositata raggiunta attraverso speculazioni fraudolente che impoverisce intere popolazioni! Se sapessero, quelli che hanno votato e votano i volti robusti dei bulli della politica, forse se ne vergognerebbero. Insomma aveva ragione Socrate, il male si fa per ignoranza. A volerlo vincere si devono affilare le armi della cultura, del realismo, dell’intelligenza del sentimento.


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