di Agata Salamone
Molti equivoci e veri e propri errori di ragionamento si fanno, a volte anche inconsapevolmente, perché ci si ferma alle frasi fatte e ai luoghi comuni ripetuti a volte nella cerchia delle proprie conoscenze, a volte da personaggi noti e autorevoli del mondo televisivo. Conviene sempre sospendere il giudizio e farsi autonomamente qualche domanda, perché l’esercizio del proprio pensiero critico è l’unico modo che abbiamo per difenderci dalle strumentalizzazioni del nostro facile assenso, e perché ognuno di noi può contribuire con la sua intelligenza e la sua esperienza alla ricerca della ragione e della verità.

Si parla tanto di libertà, si porta la libertà come causa ideale di proteste e manifestazioni di piazza anche irruente, ci si esalta nell’appassionata difesa della libertà come valore massimo da anteporre a tutti gli altri. Poniamoci allora la domanda. Cosa è la libertà? Se cercaste di istruirvi sul senso di questa parola, sui significati filosofici e storici che la parola ha assunto nel tempo, se approfondiste la vostra conoscenza sulla storia umana in relazione a questa parola vi perdereste in una fitta e sterminata bibliografia che scoraggerebbe l’impresa. Ma proviamo a farlo ragionando sulla nostra stessa esperienza. Ognuno di noi interiormente sa che la libertà è una condizione dell’anima, sa che si è liberi nella mente, che la libertà è un fatto spirituale, lo stato costante dell’anima, la natura stessa dell’anima. A essere superficiali ci può sembrare che la libertà sia nell’immaginazione, attività libera per eccellenza, diciamo. Ma non è affatto libero alcun gioco di fantasia. Infatti fantasticare è un gioco di composizione e scomposizione di dati reali già noti. È solo attraverso il dispositivo del linguaggio, usando le parole, che l’immaginazione compone e scompone gli stati di mondo dell’esperienza umana con risultati inusuali, nuovi, originali, ma i dati che si compongono o scompongono sono già esistenti. Fantasticare è come una partita a carte che è sempre nuova e particolare, ma dentro il confine invalicabile delle possibilità che si danno a partire dalla carte, prevedibili e regolabili.
L’esperienza particolare che ognuno di noi fa continuamente in relazione al mondo e alle persone non è il luogo della libertà. Oserei dire che somiglia a una impronta che il mondo e le persone lasciano su di noi. C’entra anche l’immaginazione: nella nostra mente prende forma un contenuto che è una inestricabile fusione derivata dagli stimoli sensoriali, dai pensieri fatti per associazione di idee, da idee apprese dall’ambiente o da altri, da discorsi e concetti passati di cui si conserva memoria, da suggestioni e stimoli che hanno trovato spazio nella mente in concomitanza all’esperienza (agli stimoli sensoriali) e a quanto altro può essere svolto mentalmente, compresi i desideri o le aspirazioni a cui si può dare un nome, comprese le suggestioni inconsapevoli cui diamo il nome di inconscio. Tutto ciò connota ogni esperienza che pertanto non avviene mai in modo autenticamente libero. Tutta la vita nel senso biologico, fisico, esistenziale, relazionale è del tutto condizionata: “siamo esseri datati e situati”.

Libertà allora secondo me è la mia condizione spirituale quando creo autonomamente e consapevolmente possibilità nuove, di pensiero, di azione che riguardano la vita. È una capacità fondativa. L’esempio di libertà più illuminante che mi sento di portare è quella dei resistenti che durante i regimi totalitari (si chiamano totalitari perché creano una rete insormontabile di barriere legislative e culturali in difesa del loro potere) inventano un altro modo di stare al mondo, fuori dal sistema. (La citazione dantesca del titolo vuol far pensare a loro, ai resistenti.)
Si può parlare di diritto alla libertà? Si può parlare del diritto a una vita che sia orientata da una propria elaborazione di mondo, del diritto allo spazio mentale e psicologico per avere un proprio pensiero, del diritto all’autonomia nella ricerca culturale che è la vita della mente. Si può parlare di diritto alla libertà di pensiero che è diritto a una informazione veritiera. Non si può invece nemmeno auspicare una libertà di azione, né in campo privato né in campo pubblico, ché infatti ogni azione nella società umana va prevista e normata (Contratto sociale!). Libertà è creatività.
Questo discorso ha a che fare con le urgenze della contemporaneità.
La rifondazione dell’umanesimo deve cominciare da qui: La libertà non è un dato di fatto, scontato, non è un gioco dello spirito, “è una scommessa.” (Corriere della sera, 11 ottobre 2010 Giovanni Paolo II). Libero è l’essere umano che può scegliere, anzi, libero è solo l’essere umano che non può affatto evitare di scegliere. Anche quando sembrerebbe che non sceglie, sta scegliendo di non scegliere, e non può affatto mai mettersi in una posizione di neutralità. Anche la scelta più salomonica è imparziale solo apparentemente. La libertà non riguarda la nostra condizione che è sempre fisicamente, culturalmente, economicamente, socialmente limitata, ma riguarda le nostre decisioni, le nostre scelte dentro le possibilità che risultano aperte, e soprattutto dentro le possibilità chiuse che noi stessi però apriamo con la nostra creatività. Recalcati scrive: “Libertà è la possibilità di fare qualcosa di ciò che gli altri hanno fatto di noi”. Siamo poemi scritti da altri, ma possiamo diventare poesia emancipandoci dentro la nostra storia.
“La persona possiede la potenzialità di rimodellarsi all’infinito cioè di rinascere”. Coltivare l’interiorità è come “viaggiare in se stessi: è un cammino, un’itineranza, è movimento”. (J. Kristeva). È un’Odissea, è il viaggio dantesco nel profondo oscuro della propria interiorità seguito da tanto lavoro di chiarificazione, da tanto desiderio di essere migliori. Il soggetto umano è un essere trascendentale, in questo senso: che non è una cosa conclusa, con le sue qualità e proprietà. Non nasce come qualsiasi altro vivente legato alla sua natura. Di un uomo non si può dire che uomo sia se non si conosce la sua storia, le sue azioni, la sua vita. La sua identità non è naturale, oggettiva, ma biografica, etica-morale, spirituale. L’uomo è trascendenza. C’è un lavoro da fare per umanizzarsi, dato che non si nasce uomini, ma lo si diventa. Ci si umanizza e si diventa liberi, cioè uomini.
Ma queste non sono idee comuni tra la gente. Il livello di massificazione è tale che della questione ci si sbarazza con slogan volgari in volgari manifestazioni di idiozia. Ci si proclama liberi quando si gozzoviglia in modo scomposto dentro i luoghi istituzionali della politica (vedi l’assalto al parlamento statunitense), quando si disobbedisce a norme prudenziali per la difesa della pubblica salute (vedi le manifestazioni post covid), quando non si vuole ottemperare al proprio dovere fiscale e si tramano furbate appellandosi alla libertà dallo sfruttamento dello stato (Sfruttamento dallo Stato? Sfruttamento dello Stato! Chi non paga le tasse ruba alla collettività. I politicanti della fine della democrazia hanno inventato il luogo comune della espressione “mettere le mani in tasca dei contribuenti” come sinonimo di tassazione. Quando non si pagano le tasse, chi deruba chi?). Spessissimo vedo che chi urla “libertà” sta mascherando il proprio egoismo, e basta. Oppure sta seguendo in posizione gregaria uno slogan, allucinato da qualche capo-carismatico. C’è un luogo dove invece la libertà si può coltivare con la certezza di ottenerne buoni frutti, e questo luogo è l’hortus conclusus della propria anima. E c’è un modo eccellente per coltivarla, in questo preziosissimo spazio di sviluppo e di crescita umana, che è la scrittura. La scrittura è cura di sé. La scrittura è luogo di rinascita continua, specialmente difronte alle prove della vita. “Non mi sento di umore conclusivo, non ancora: le prove mi hanno insegnato a vivere nell’apertura.” Le prove hanno un ruolo creativo, rimettono in discussione l’io, lo fanno migrare, crescere, quasi come quando ci si impegna a fare un percorso psicoanalitico. Nella scrittura il ripensamento comporta quasi un nuovo inizio, si guarda al passato e ci si proietta verso il futuro. Insomma si vive progettandosi anziché lasciandosi trascinare dalle pressioni esterne del costume, del conformismo, dell’abitudine. Il ripensamento è la strada maestra per guadagnare libertà e quindi umanità.
Tutti ci accorgiamo della deriva che stiamo vivendo, e sentiamo il malessere della società contemporanea. Ne avvertiamo tutti i sintomi: impotenza del discorso politico, crescita degli integralismi, populismo, culti identitari di ogni sorta e frantumazione del legame sociale, crollo di ogni autorità, rigetto del contratto sociale rappresentato dalle leggi, esplosione della pulsione di morte che emerge in tanti comportamenti privati e pubblici, perdita di contatto con la realtà e perdita del senso del vivere umano. Nuove malattie dell’anima si diffondono: tossicodipendenze, anoressia, depressione suicida, vandalismo, sete ideale o bisogno di credere che conduce i cercatori di ideale al jiadismo, e tanto odio persecutore pluriverso. Non c’è niente di peggio! Per Kant il male radicale è quando uomini dichiarano altri uomini superflui. Si rende necessaria una interruzione per rendere possibile l’avvenire, perché l’avvenire cessi di ripetere il passato: serve un perdono e una promessa. Si tratta di sospendere il tempo dell’io. Per riuscire sarà necessario smontare i diversi ingranaggi pulsionali delle varianti dell’odio.

Incombe su di noi l’urgenza di essere migliori. Essere migliori è una via obbligata per la sopravvivenza. È una questione igienica. Dobbiamo fare percorsi di purificazione per dischiudere mente e cuore, per contrastare l’idolatria del denaro e la disumanità del disprezzo verso gli altri. È la via della libertà, e l’essere virtuosi è il più garantista, il più sicuro orientamento della libertà per vivere. Adesso la nostra libertà, cioè quella energia interiore che anela a oltrepassare i limiti imposti dalla realtà, viene orientata al consumo, all’intrattenimento. Bisognerà armonizzare l’energia interiore con la logica delle relazioni per non esser scordati rispetto all’armonia del creato. L’etica che genera obbligo e dovere è un ponte tra il singolo e il mondo. La società capitalistica ha avuto la sua fortuna nella economia delle immoralità (consumare tutto, non farsi mancare nulla, accontentare i desideri, spendere, scartare). La virtù produrrà salute. Etica è manifestazione della superiorità dell’anima. La crescita tecnologica, (antropocene) non è stata accompagnata da una crescita etica: per sradicare le erbacce e le malepiante faremo un lavoro interiore che la filosofia può sostenere.
Per Canetti la parola libertà serve a esprimere una tensione importante: “L’uomo vuole sempre andare via e se il luogo dove si vuole andare non ha un nome, se è indefinito, senza confini, allora si chiama libertà…”. L’origine della liberà sta nel respirare. Respirando la prima volta abbiamo varcato la soglia del mondo, e respirando troviamo aria nuova.
Il nostro specifico, per Vito Mancuso, è lo spazio vuoto: “siamo e non siamo”, che possiamo chiamare caos, abisso, voragine, indeterminazione, imprevedibilità, ambiguità, libertà. Compito principale è imparare a conoscere lo spazio vuoto della nostra libertà e muoverci in esso. Dobbiamo lavorare su di noi e cambiare. Siamo esseri antinomici, “curve dritte”, “luci scure”. Il limite del nostro tempo è che non abbiamo più nessuna idea di tutto ciò. Dimenticata l’educazione spirituale. Gandhi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. L’etica necessaria per la civiltà tecnologica è l’etica della responsabilità nei confronti della vita orientata ecologicamente, l’etica della salvaguardia, della prevenzione, non del progresso; della sopravvivenza dell’uomo nella sua deontologica essenza di dignità. Etica dell’egoismo lungimirante. E l’economia necessaria è l’economia dei bisogni contro economia del profitto. Serve una Filosofia della liberazione.