di Alfio Pelleriti
Oggi, 26 ottobre, come convenuto si apre il confronto sul libro di Sepulveda scelto come lettura del Salotto letterario. Avendo invitato anche i visitatori del sito dell’associazione, spero possano giungere i loro commenti alla mia recensione che, in questo caso fa da apripista agli altri interventi. (chi vuole intervenire può inserire il suo commento nello spazio bianco in fondo all’articolo).
Di 35 storie, apparentemente del tutto slegate tra loro, si compone “Le rose di Atacama” di Luis Sepulveda (morto il 16 aprile 2020 a causa del Covid-19). Anche in questo suo lavoro lo scrittore cileno dimostra come per lui la parola è vita, che il raccontare è esercizio di libertà e che in questo caso particolare significa rendere omaggio a uomini e donne che lottano contro le ingiustizie, che lavorano duramente, che sopravvivono a destini spesso troppo duri.

I fiori del deserto sono il simbolo che ha scelto per loro: ogni rosa rappresenta il protagonista di una storia che è nato in un punto geografico che non ha scelto e lì vive, misurandosi con problemi che hanno creato uomini che hanno governato quei territori, e se vorrà sopravvivere dovrà apprendere presto tutte le possibilità che gli offre la sua realtà e vagliare le proprie potenzialità per poi “giocarsi la partita”. Egli farà i conti con i “si dice” del senso comune, e, se gli resta un briciolo di energia, farà le sue scelte, provando a vivere con dignità. Diventerà avvocato, ingegnere, muratore, idraulico, parrucchiere, scienziato, industriale, generale e deciderà di accettare la “cura” comunitaria, oppure sceglierà di fare il “battitore libero” dando fondo a tutti i suoi talenti, percependo la vita per quella che è, per quella che gli appare e che ha sotto il naso ogni attimo del suo tempo, avendo contezza che la sua vita è una piccola esistenza tra miliardi di altre esistenze che nascono crescono si ammalano e muoiono.
Del resto, tutti gli esseri viventi esistono per andare incontro alla morte. La nostra vita, diceva Heidegger, è “un – essere – per – la – morte”. Gli uomini autentici non rigettano tale verità e non scappano inorriditi a tale pensiero ma accettano la loro limitatezza vivendo il loro tempo senza nascondimenti e ipocrisie. Essi colgono l’attimo non per cercarne il godimento ma per viverlo compiutamente ottemperando ad un’etica cosmica; e neanche vivono da superficiali materialisti, ma si fanno “anelli” della catena universale che è tenuta salda dal lavoro onesto, dal rispetto reciproco tra gli uomini e dalla difesa dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi. Nel sistema cosmico, retto da un Logos spirituale, gli uomini possono dare tanto o possono distruggere l’armonia costruita in milioni di anni. Poeti, pittori, mistici, scrittori, missionari, medici, musicisti possono dare senso vero ed autentico alla vita così come danno il loro contributo le donne arabe o asiatiche che si dedicano alla cura delle famiglie nei loro poveri villaggi o i pastori della steppa o i pescatori delle isole del Pacifico o i bambini che lavorano nelle miniere a cielo aperto per estrarre le “terre rare” che servono per produrre tecnologia avanzata. Tutti costoro sono rose del deserto di Atacama.
La prosa di Sepulveda è di una levità assoluta per cui essa vola sempre in alto quando racconta un evento, quando descrive un ambiente o una situazione o quando argomenta su un problema sociale o politico. La sua costruzione linguistica così semplice, essenziale, luminosa, crea un magico abbraccio con il lettore, ed avviene che entrambi sentono la stessa compassione per coloro che hanno lottato per la giustizia e per la libertà o per coloro che non sono attratti dal lusso o dal successo o dalla luce effimera dei lustrini ma vivono con semplicità, forti della fede nei loro ideali democratici.
E succede allora che chi legge i racconti di Sepulveda porge con lui una rosa del deserto a quei protagonisti: all’emigrato italiano in Argentina che, non vuole credere allo scrittore che lo informa che in Europa gli immigrati non sono accolti ma maltrattati sfruttati o respinti; ai marmisti che muoiono ancor giovani perché malati di silicosi o di tisi polmonare; ai cavatori di Carrara vittime di incidenti sul lavoro: “Lettore, lettrice, quando ti troverai davanti ad una statua scolpita in marmo di Carrara, pensa ai cavatori e ai marmisti di Pietrasanta. Pensa a loro e saluta quel dignitoso anonimato.”; a Fredy Taberna, militante socialista e sindacalista, ucciso da un plotone di militari golpisti nel 1973 e sepolto nel deserto di Atacama; alle balene del Mediterraneo fatte a pezzi dalle eliche dei motori fuoribordo di motoscafi velocissimi e di moto d’acqua di ricchi borghesi che soddisfano i loro capricci narcisistici.

Sepulveda sente compassione per i vinti di qualsiasi epoca e di qualsiasi latitudine, e piange per coloro che hanno offerto la propria vita per fare trionfare la giustizia e l’uguaglianza. Perciò è una “rosa di Atacama” Ian Palach che immolò la sua giovane vita per la libertà rubata al popolo cecoslovacco dal potere sovietico e lo è anche il chitarrista ceco Miki Volek che lottò contro la repressione comunista e morì povero e dimenticato da tutti. Un’altra “rosa di Atacama” è Juampa, l’editorialista della rivista “Analisis”, unico baluardo in difesa della libertà d’espressione durante la criminale dittatura del generale Pinochet in Cile. Juampa non venne ucciso solo perché era un giornalista così bravo da aver vinto i premi più prestigiosi in America latina, e perché, quando era in carcere, politici di tutto il mondo andavano a trovarlo.
Ma la “rosa” più bella penso sia Rosella, proprietaria e cameriera della Trattoria del Mercato ad Asti, che, avendo avuto espropriato il suo vetusto locale per far posto a un edificio moderno, invitò tutti i clienti più affezionati ad un ultima cena con la sua prelibata pasta al profumo di basilico, il suo vino buono dal sapore fresco e fruttato, le verdure saporite del suo orto e i suoi ospiti cantarono fino all’alba al suono di una chitarra. “Abbiamo mangiato, abbiamo cantato, abbiamo bevuto fino all’alba finché non si sono uniti alla festa i venditori del mercato, i distributori di giornali, i primi uccelletti del mattino.” Altra “rosa” stupenda è quella dedicata agli abitanti delle Asturie, dove l’autore scelse di vivere e scrivere, poiché quegli uomini semplici, avevano un grande cuore votato alla solidarietà e una dignità accresciuta dalle umili condizioni economiche e dal duro lavoro in miniera, per cui avevano maturato una sensibilità spiccata in difesa delle libertà civili.

E ancora Federico Nessuno, il bambino torturato dai nazisti a sette anni dopo che, sotto i suoi occhi, gli avevano assassinato i genitori e poi lo avevano internato in un manicomio ed usato come cavia per esperimenti condotti da criminali in camice bianco con all’occhiello il teschio d’argento delle SS. Ridotto al mutismo, calvo, cieco e castrato, sopravvisse a quell’inferno e, riacquistata la voce grazie alle cure di un ottimo psicoterapeuta, riprese una vita quasi normale, ma la paura di rivivere quei momenti terribili non è scomparsa poiché in questo suo presente gli arrivano le stesse orride grida che sentiva in quel manicomio dove degli aguzzini si accanirono sul suo corpo di bambino. “…ha ragione perché in Carinzia, in Austria, neonazisti mascherati da liberali affilano gli artigli e si preparano all’assalto. L’Europa è compiacente verso la presenza di Le Pen in Francia, osserva la quotazione del marco tedesco, sostegno dell’euro, e copre l’auge del neonazismo e del razzismo facendo ricorso ad eufemismi di difesa come ‘espressione di scontento’ o ‘voti di ammonimento’. Un vecchio fantasma si aggira per l’Europa, ma non è quello del comunismo: è il fantasma del coraggio civico che deve uscire di nuovo in strada per spazzar via definitivamente tutta questa immondizia. Quando accadrà, Federico Nessuno avrà finalmente trovato la giustizia che cerca con le sue orecchie attente e la sua memoria invitta.”
Molte di queste storie si concludono tragicamente con la morte dei protagonisti. Ma, come gli eroi delle tragedie classiche, sopravvivono al loro destino terreno divenendo modelli di comportamento, rimanendo nella memoria degli uomini giusti che non inseguono spasmodicamente beni materiali ma si accontentano del necessario che volentieri mettono in comune con i fratelli. La vita per costoro è sacrificio e patimento, spesso è dolorosa, ma hanno la consapevolezza che un giorno il loro spirito si libererà da tutti i fardelli e leggero si unirà alle altre anime e all’anima del Mondo per gustare la Pace eterna. Dunque essi non temono la morte, ma l’affrontano con coraggio e con tanta speranza
Elsa Sangiorgio invia:
Sono brevi storie quelle che cadono sotto la penna di Luis Sepùlveda, quelle che portano lo sguardo sugli “umili” dalla grande umanità, dai gesti generosi di pietistica, non pietosa, comprensione, di una “pietas” di solidarietà alla condizione umana, che gli fa “sentire” l’altro come fratello e a noi ricorda che abbiamo solo in prestito un posto su un Pianeta, chiamato Terra, dove la nostra invadente arroganza vuole lasciare dei segni, graffianti zampate per profondi, insolenti solchi, ma non ci accorgiamo che, nonostante i tentativi e le energie profuse, rimaniamo in ogni caso quel minuscolo, trascurabile puntino nell’immenso spazio dell’universo.
Ne ”Le rose di Atacama” troviamo l’anima di Sepùlveda, fusa in un pensiero totalizzante: è lui il fratello di chiunque incontri, è lui che soffre insieme a coloro che hanno patito le torture, come l’indomito signor Nessuno con la lingua paralizzata dall’orrore degli interrogatori, la perdita della vista e dei capelli per gli esperimenti con sostanze chimiche cui il suo fisico veniva sottoposto da macellai medici nazisti; è lui che rifiuta e combatte i soprusi del potere totalitario come Vidal, il sindacalista, che con commovente ingenuità porta con sé, custodita come un simulacro, la foto di un’attrice a cui affida la sua protezione; è lui il paladino della solidarietà con Inna Pasportnikova, che sopravvive con una miserevole pensione, vendendo i suoi ricordi in una strada di Mosca, dopo aver speso gli anni più belli della sua vita al servizio dello Stato e lo fa con la stessa amara compostezza e dolcezza che mi ricordano il personaggio principale de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”.
Sepùlveda conobbe il periodo più brutto per il Cile, quello del colpo di stato, per cui la lotta per la riconquista della libertà divenne cruciale e amava ripetere che “Non esistono i coraggiosi, solo persone che accettano di andare a braccetto con la loro paura”. Soffrì il carcere ma nulla poté piegare la sua sete di libertà da un potere che aveva soffocato i diritti civili e umani di un’intera nazione mutilata dalle sue più giovani energie e ci rese partecipi delle avversità che vissero lui e i compagni di lotta perché, diceva: “La parola scritta è la grande depositaria dei sogni”
Elsa Sangiorgio
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Atacama è uno dei tanti deserti presenti nel nostro pianeta, considerato uno dei posti più belli da vedere almeno una volta nella vita, situato nell’estremo sud dell’America Latina. Vi è, tra la variegata vegetazione, una vasta gamma di cactacee ed una fauna diversificata con molte forme di vita.
“Le rose di Atacama” fioriscono solo per un giorno nel deserto, e non tutti gli anni, a volte perfino ogni cinque anni, per via della scarsità delle piogge che mancano per lunghi periodi, appunto per interi anni.
Ma quando la pioggia bagna il terreno arido e riarso, come per incanto, fioriscono in una notte, colorando in mille sfumature di giallo, rosso, violetto, infiniti spazi che appaiono vivide tavolozze, per poi morire nelle ore più calde per effetto del sole.
A questo fenomeno prodigioso si è ispirato Sepulveda, grande viaggiatore, poeta, scrittore prolifico, combattente convinto per la libertà del suo Paese, il Cile, travagliato dalle cruente dittature. Tra arresti e torture, in esilio, scrive poesie d’amore all’amata moglie, e decide, in seguito alle più svariate peripezie ed incontri, di dedicare un libro interamente a tutte quelle persone “comuni mortali”, i cosiddetti Eroi di un solo giorno, eroi quindi che la Storia non conosce, ma che umilmente e tenacemente occupano con il loro esempio, con piccoli (apparenti) gesti che non hanno spazio nei libri di testo, e tuttavia sono capaci di far emergere realtà, eventi, drammi sconosciuti o soffocati per comodità dalla cosiddetta società del profitto senza scrupoli, che trovano tra le pagine una dimensione per emergere e quindi ricordati, giacché dice “il dolore non può paralizzarci” ed anche “narrare è resistere!”
Il libro, concepito sotto forma di brevi racconti, si apre con il resoconto di un viaggio in Germania, a Bergen Belsen, dove l’autore cerca disperatamente ed invano in un “silenzio atroce”, una traccia di Anna Frank. Trova invece incisa su una pietra una scritta che ancora una volta lo lascia impietrito a riflettere. I protagonisti del lavoro presentato dall’autore che volentieri si legge per le varie tematiche descritte con perizia sono tanti e i temi affrontati quali la deforestazione selvaggia della Patagonia, lo sfruttamento delle miniere di salnitro e conseguente maltrattamento dei minatori, le lotte dei desaparecidos, la tutela dei mari e la tanto delicata e discussa eutanasia, rendono la lettura avvincente come pagine di giornale che con una scrittura semplice e chiara, vuole rendere voce a chi non ha trovato giustizia in tutti gli angoli della Terra.
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Vittoria Ricceri invia:
LE ROSE DI ATACAMA
Lo scrittore Luis Sepulveda, nel libro “Le rose di Atacama”, narra le vicende di personaggi anonimi e marginali incontrati nei sui viaggi per il mondo.
Storie di uomini e donne semplici e coraggiosi che lottano per i propri ideali con determinazione a non cedere e a non sottomettersi alla prepotenza e ingiustizia umana, e che hanno perciò in comune l’aver fatto della propria vita una forma di resistenza alle varie angherie e quindi essi non sono dei perdenti, ma impavidi sostenitori del “giusto, del bello, dell’equo” che, con i loro esempi comportamentali di eroi sconosciuti, potrebbero accendere nelle persone la speranza di sani ravvedimenti alle iniquità del mondo in nome di una fraternità planetaria che non conosce limiti di confini geografici, di razza, di ideologie, operando in difesa della dignità dell’essere umano.
Nel libro si evidenzia uno stile asciutto, chiaro e incisivo da cronista che racconta quello che vede;
ambientalista, con parole semplici ma penetranti ci immette in scenografie della Natura dove emerge un profondo amore e un richiamo al “rispetto del Creato”.
Ricceri Vittoria
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