di Alfio Pelleriti
Nell’anno 2008 il Circolo Castriota curava la pubblicazione di un giornale, “Il Campanile”, da me fondato qualche anno prima. Il giornale aveva al suo interno diverse rubriche e una di esse era dedicata alla scuola: decisi dunque di intervistare una giovane dirigente scolastica che gestiva una scuola dalla realtà abbastanza complessa. Non indico qui il suo nome, né il nome della scuola, poiché dopo aver esaminato il testo dell’intervista ed avermi dato l’autorizzazione alla pubblicazione, mi contattò qualche giorno dopo pregandomi di non inserirla nel numero da portare in stampa. Gli argomenti trattati, essendo di carattere generale e avendoli ripuliti di ogni riferimento personale, e permanendo, a distanza di tempo, riflessioni interessanti che molto possono aggiungere a quelle inerenti la scuola del nostro presente storico, ho deciso di presentarli all’attenzione di chi ci segue sul sito di Piazza Grande.

Una giovane dirigente ci accoglie nell’ufficio di presidenza per una conversazione sulla scuola, in questo momento nell’occhio del ciclone per il decreto della ministra Gelmini che si propone di riformare il mondo dell’istruzione e della formazione, come del resto i suoi predecessori. Ogni governo, da decenni ormai, avverte il bisogno di lasciare traccia di sé in questa istituzione che non vanta, purtroppo, posizioni onorevoli nelle classifiche dei paesi occidentali relativamente alla qualità dell’istruzione.
A tal proposito la dirigente, sulla riforma appena varata, manifesta “la sensazione di un ritorno all’antico per ciò che concerne soprattutto la questione del grembiule e del voto in condotta, tuttavia non si può non affermare”, aggiunge, “che è necessaria una svolta per riportare la scuola italiana verso vette più alte. E’ necessaria, altresì, una riflessione critica sulla gestione della scuola a tutti i livelli degli operatori scolastici, perché si possa davvero risalire la china”.
Domanda
La critica che si muove alla scuola è che essa non è più “normale”, cioè non badi tanto alla trasmissione dei saperi disciplinari e quindi ai compiti fondamentali dell’istituzione, istruire e formare, quanto piuttosto ad una realizzazione di “progetti” spesso velleitari e senza alcuna positiva ricaduta educativa e didattica. Lei condivide tale osservazione?
Risposta
Non nego che negli ultimi anni ci sia stata una eccessiva proliferazione di progetti, non sempre adeguati agli scopi fondamentali che gli organi collegiali devono prefiggersi ad inizio d’anno per una sicura crescita degli alunni che le famiglie ci affidano. Un dirigente scolastico deve vigilare che i progetti varati dal Collegio Docenti abbiano la caratteristica della concretezza e della spendibilità delle competenze che essi possono trasmettere; che siano progetti che prevedano una certificazione che, alla conclusione di un percorso formativo, possano fornire ricadute positive alla comunità sociale. Il Collegio Docenti ha, dunque, una grande responsabilità nella scelta dei progetti, ha il compito di mostrare maturità e capacità decisionale, eliminando ciò che non serve e puntando a quelli che contribuiscono al potenziamento di abilità nella formazione complessiva.
Sulla qualità dell’istruzione spesso si assiste al gioco dello scaricabarile, poiché ciascun ordine di scuola addebita a quello precedente la responsabilità delle vistose carenze nei saperi fondamentali che si riscontrano nei ragazzi. Come vi muovete per non cadere anche voi in tali critiche?
Occuparsi di continuità nell’ambito della scuola media inferiore è un obbligo inderogabile, che prevede una serie di attività che nella nostra scuola curiamo con impegno sia nei confronti delle classi in entrata che di quelle in uscita. Un’apposita commissione si occupa di tenere i contatti con le altre scuole organizzando visite guidate e altre attività che rispondono ad un preciso piano e al raggiungimento di specifici obiettivi. Bisognerebbe dare spazio alle attività di orientamento e svolgerle nell’arco del triennio, eliminando l’episodicità che le caratterizza di solito, affinché possano emergere attitudini particolari degli alunni e aiutare le famiglie nella scelta della scuola superiore.

Recentemente è stato sollevato proprio dalla ministra Gelmini un problema relativo alla preparazione dei docenti provenienti dal Meridione. A parte le facili polemiche su tale presunta contrapposizione all’interno della categoria, esiste un problema legato alla professione del docente, alla sua motivazione, o, qualcuno afferma, con toni apodittici, alla indispensabile “vocazione”?
La questione riguarda non solo i docenti ma anche i dirigenti scolastici, i quali non possono evitare di muoversi tra le “carte” e per i quali è più accentuato il rischio di “burocratizzare” il proprio lavoro. E’ chiaro che la professione del docente non può prescindere da una maturazione e da una crescita culturale da conquistarsi quotidianamente nel lavoro in classe, interagendo con i ragazzi, individuando le esigenze di ciascuno, instaurando rapporti con le famiglie, per esempio tenendole aggiornate sulla progettualità della scuola.
In questi due anni ho potuto registrare esiti molto positivi per quanto riguarda il rapporto scuola-famiglie: sono sempre più numerosi i genitori che chiedono maggiore coinvolgimento e corresponsabilità educativa. In ogni caso una comunicazione costante sulla vita scolastica dei loro figli contribuisce a rassicurarli e quindi a dare maggiore fiducia all’istituzione scolastica.
C’è qualcosa che assolutamente pretende dai docenti della sua scuola, come elemento imprescindibile della professione?
Certamente una presa di coscienza dei doveri, una ferrea deontologia professionale che si traduce automaticamente in un buon rapporto con gli alunni in classe, in una crescita culturale del docente e in una maturazione complessiva dei ragazzi.
Il funzionamento del Consiglio di Classe rivela spesso la peculiarità della scuola: presenza di forte motivazione all’insegnamento, adeguate metodologie d’intervento, “curricula” rispondenti ai bisogni dell’utenza. Qual è la situazione della sua scuola al riguardo?
E’ fondamentale lavorare in sinergia per attività interdisciplinari e pluridisciplinari, nonché per l’attuazione degli interventi programmati. Inoltre bisogna dare il giusto valore alle condotte comuni. Un docente non può contraddire l’azione educativa e didattica del collega, con un comportamento oppositivo in relazione alla valutazione, alla sottolineatura dell’errore, ai comportamenti degli alunni.
Il rapporto con le altre scuole sotto il profilo della continuità è un compito cui nessuna scuola può sottrarsi. Come ha affrontato la questione la sua scuola?

Alla “continuità” si è dato e continua a darsi massima importanza nella programmazione delle attività. Ritengo che sia un problema che debba essere affrontato non solo con attività di “accoglienza” per le classi in entrata e con informazioni sui vari indirizzi delle scuole superiori per le classi in uscita. La continuità esige incontri continui con docenti delle altre scuole, una programmazione triennale che preveda lo svolgimento di attività che coinvolgano non solo gli alunni ma anche le famiglie, progetti condivisi tra scuole del territorio, che abbiano una sicura e positiva ricaduta educativa e didattica sui ragazzi. La scuola è capofila nell’Osservatorio d’area integrato per la dispersione scolastica e si fa promotrice di incontri continui per affrontare la problematica in questione.
Rapporti con l’Ente locale: cosa auspica?
L’Amministrazione comunale è stata sempre presente, aperta e sensibile alle necessità della scuola. Ci aspettiamo esiti altrettanto positivi con la nuova Amministrazione.
I PON e i POR (progetti da realizzare con fondi europei – PON – e con fondi regionali – POR) sono considerati da alcuni un’opportunità strategica per la scuola da poter sfruttare pienamente, altri li considerano uno spreco di risorse utilizzato solo per far guadagnare somme aggiuntive al personale interno ed esterno alla scuola. Lei come li giudica?
Lo scorso anno si è registrata un’esperienza ampia, ma vissuta con qualche difficoltà, con troppe attività che hanno creato, a volte, disordine e malumore. Del resto su questa materia è il Collegio docenti che decide. Certamente si auspicano progetti che abbiano una calendarizzazione che non confligga con le normali attività didattiche e che presentino precisi obiettivi educativi. Ogni progetto deve mirare a far sorgere precise competenze negli alunni. Solo questo dovrebbe essere il fine di ogni lavoro svolto a scuola. La deontologia professionale dovrebbe sempre guidare l’azione di tutti gli operatori della scuola.
Chiudiamo l’intervista chiedendo alla Preside quale messaggio vorrebbe dare a tutti gli operatori scolastici del suo istituto, in questo inizio d’anno scolastico.
Auguro a tutti gli operatori della scuola di credere in quello che è il compito del nostro lavoro, di uscir fuori dalla meccanicità e dalla quotidianità, scommettendosi ogni giorno, con la convinzione di poter contribuire alla crescita della comunità tutta.

Noi condividiamo tale osservazione e ringraziamo per la disponibilità la preside augurandole buon lavoro.