di Alfio Pelleriti

L’Odissea narra delle peripezie di Ulisse prima del suo ritorno in patria, ad Itaca, dopo la distruzione di Troia di cui è considerato il responsabile. Fu lui infatti ad ideare il piano del cavallo di legno lasciato sulla spiaggia come dono agli dei per propiziare il ritorno dei Greci alle loro città. In realtà essi finsero di partire, così i Troiani caddero nel tranello: portarono, contenti della fine dell’assedio, il cavallo all’interno della città dandosi ai festeggiamenti. Ma durante la notte, quando tutti dormivano sonni profondi, dal cavallo uscirono i più forti guerrieri greci che uccisero un gran numero di Troiani e saccheggiarono la città, che poi diedero alle fiamme. Pochi riuscirono a salvarsi e tra questi Enea che con il figlio Ascanio e il vecchio padre Anchise e altri suoi compagni, si metterà in salvo grazie anche all’aiuto della dea Afrodite, sua madre. Virgilio racconterà nell’Eneide le vicissitudini affrontate dall’eroe prima di fondare un suo regno nelle terre dei Latini, dopo avere sconfitto Turno re dei Rutuli.
Ulisse, dunque, sarà l’unico dei condottieri greci a non fare ritorno in patria, anche perché susciterà le ire di altre divinità. Ad esempio i suoi compagni macelleranno i buoi sacri al dio Sole e dunque periranno tutti; Poseidone è irata con lui perché ha accecato uno dei suoi figli, il ciclope Polifemo e dunque gli impedirà per dieci anni di fare ritorno ad Itaca.
Il poema consta di 24 libri e dentro trovano posto tantissimi personaggi, tutti in rapporto con Ulisse, per apprezzarlo e amarlo o per odiarlo. Ulisse ad esempio incontrerà la bellissima giovane principessa Nausicaa, figlia del re dei Feaci che lo accoglie alla reggia dopo averlo soccorso nella spiaggia dov’era naufragato con la zattera con cui aveva lasciato l’isola di Ogigia della ninfa Calipso, bellissima ed innamorata dell’eroe che in tutti i modi voleva tenere con sé. Ulisse passerà indenne il tratto di mare dominato dalle sirene o quello in cui vivevano i mostri marini Scilla e Cariddi; riuscirà a liberarsi dalle malie della maga Circe, “la dea tremenda” e dalla forza incontrastabile del ciclope Polifemo. Infine avrà ragione dei Proci, i principi che si erano installati ad Itaca nel suo palazzo, pronti ad impossessarsi di ogni suo bene e ad insidiargli perfino Penelope, l’amata moglie.
Anche l’Odissea è il poema dove gli eroi piangono, ricordando lo splendido saggio di Matteo Nucci, “Le lacrime degli eroi”, a cominciare dallo stesso Ulisse che nel poema spesso veste i panni di colui che racconta episodi del suo travagliato viaggio di ritorno in patria. L’eroe a sua volta ascolta, alla corte di Alcinoo, il racconto delle guerra di Troia e dei suoi protagonisti: Achille, Diomede, Agamennone e deve nascondere il volto per non fare notare le lacrime di commozione ricordando quei fatti. E piangerà infine nell’ultimo libro del poema nel vedere il padre Laerte, vecchio e piegato dal dolore per la perdita del figlio, e nell’abbracciarlo rivelando al padre la sua identità.
Piange Calipso abbandonata dopo aver sperato di vivere con Ulisse di cui la dea si era innamorata e piange Penelope, rimasta sola ad affrontare la prepotenza dei principi itacesi. Né il marito è con lei né Telemaco, suo figlio, partito alla ricerca del padre.

Ulisse prevarrà su ogni difficoltà grazie alla sua proverbiale astuzia, alla sua capacità di analisi razionale della realtà, alla sua arguzia nel cogliere le caratteristiche psicologiche dei personaggi che incontra. Egli, rispetto agli eroi dell’Iliade, rivela un’umanità più complessa: caparbio e determinato nel raggiungere l’obiettivo del ritorno in patria, non rinuncia tuttavia a saziare l’innato desiderio di capire il mondo e di fare perciò tesoro delle esperienze che gli si presentano. Egli è spinto dal desiderio di fare ritorno in patria e dall’altrettanto forte desiderio di affrontare l’ignoto.
È un eroe che sa parlare a tutte le generazioni attraverso il periodare della storia; è moderno perché poliedrico nella personalità: sensibile al bello e al vero, non tiene per sé le sue emozioni ma le riassapora quando le comunica agli altri. Egli è un grande affabulatore e con i suoi racconti sa trarre giovamento senza mettere al centro se stesso ma elogiando le virtù altrui. Certamente ha anche delle affinità con gli altri personaggi omerici. Anche Ulisse sa versare lacrime quando pensa ad Itaca, il luogo che custodisce i suoi tesori più cari: la moglie Penelope, il figlio Telemaco, il padre Laerte. Per loro rinuncia all’immortalità che Calipso voleva donargli se fosse rimasto con lei. “L’isola dove l’eroe è rimasto intrappolato ormai da otto anni è un paradiso dove morte e vita eterna hanno lo stesso significato. La promessa di una vita senza morte e senza vecchiaia, da parte di una divinità bella e seducente, equivale, per l’uomo che desidera solo il ritorno a casa, a nient’altro che alla morte”[1].
Ulisse incarna le caratteristiche genetiche dell’uomo che sono universali, riscontrabili sempre e ovunque: la tenacia, la voglia di superare il limite naturale non per vanagloria ma per avvicinarsi all’invisibile essenza della vita; egli è colui che sfida le tenebre in cui è costretto a vivere l’uomo per le sue innate debolezze, per le sue paure ancestrali, per i suoi limiti nell’affrontare la forza della Natura. L’Ulisse omerico contiene “in nuce” il grande esploratore al quale Dante farà esplicitare i suoi stessi ideali: “divenir del mondo esperto” seguendo “virtute e canoscenza”.

L’Ulisse di Dante che ama il viaggio, che sfida i limiti della norma pur di spostare i confini della conoscenza, che crede che peculiarità dell’uomo e sua somma virtù sia quella di capire quali sono i suoi stessi limiti, è un novello Prometeo che immola se stesso per dare un contributo al progresso umano. Anche la modernità è un viaggio. Un viaggio attraverso le tempeste del dubbio, delle derisioni di chi vuol vivere nelle certezze codificate dai potenti di turno; attraverso le tempeste dell’oltranzismo ottuso del tribunale dell’Inquisizione che difendeva dogmi non scalfibili, infliggendo torture e roghi, ove non avesse potuto convincere l’eretico all’abiura. Ulisse rappresenta la pulsione dei moderni verso il sapere nuovo conquistato e rimodellato attraverso categorie linguistiche e ontologiche nuove. Elementi di modernità sono già in Giordano Bruno e in Michael de Montaigne, che poi si ritrovano tutti nei “novatores”, gli scienziati filosofi: Galilei, Newton, Keplero, Bacone, e poi in Cartesio, Spinoza, Leibniz, Pascal; moderno è il pensiero illuminista che da Diderot a Voltaire e Rousseau culmina nella vetta più alta, in Immanuel Kant. Anche questi intellettuali puntarono la prua verso il mare aperto non curanti dei marosi o di mostri a cento teste, come Ulisse.
E altri scrittori si ispireranno a Ulisse per mettere di volta in volta al centro di una storia un aspetto riscontrabile nell’eroe omerico. James Joyce presenterà un Ulisse incapace di scegliere proprio perché la sua capacità di cogliere anche gli aspetti minimi ed irrilevanti della realtà lo precipitano in una fondamentale incapacità di scegliere, esempio di eroe “negativo” antesignano dei protagonisti della letteratura esistenzialista che rivelano una fondamentale inedia e una inettitudine che li condanna a sicura sconfitta (Sartre, Svevo, Verga, Brancati, Pirandello).
Del poema proponiamo i file audio dei seguenti versi:
libro primo, vv. 1 – 117;
libro quinto, vv. 150 – 210;
libro ventiquattresimo, vv. 315 – 347

[1] MATTEO NUCCI, Le lacrime degli eroi, Einaudi, Torino 2013 (4^ ed. 2016), p.45.
Straordinaria e quanto mai appassionante la vita di Ulisse che fu viaggiatore intraprendente ed instancabile, guerriero forte e valoroso, uomo fedele ai suoi affetti, coraggioso e audace, sapiente e mai soddisfatto del suo sapere, pronto a spronare per il raggiungimento degli ideali i suoi seguaci con forti moniti: “fatti non foste per viver come bruti!” che ancora oggi suole essere per noi un incitamento a non arrenderci, a guardare oltre sfidando gli ostacoli alla ricerca della conoscenza più completa, pur tra forti sacrifici.
Certamente, oggi, soprattutto in questo tempo di isolamento, parlare di Ulisse, può risultare anacronistico, ma immaginare i suoi arditi viaggi mi invita a sognare, ad uscire fuori dalla mia stanza, mi colloca, ospite invisibile, sulla sua zattera che la bella Calipso gli procura e, con la protezione di Eolo, giungere in tutti i porti tra ciclopi e sirene incantatrici, lì dove la mia normale vita non può condurmi.
Non gli si può rimproverare di aver avuto vita tranquilla, infatti non ha mai “indossato” le pantofole; le sole cose che Ulisse non ha mai conosciuto, e forse l’uomo moderno non riuscirà mai ad imitarlo e superarlo!
Santina Costanzo
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Ulisse è un personaggio che mi avvince per l’acutezza e la prontezza degli interventi.
Nell’Iliade già si distingue per la scaltrezza del “cavallo di Troia” che ne determina la sua fine.
Qui, nell’Odissea, l’eroe “incarna le caratteristiche genetiche dell’uomo”, dominato si dagli affetti familiari, ma anche dal desiderio di esplorare l’ignoto affrontando varie difficoltà. In Ulisse la brama di conoscere è uno slancio vitale dello spirito che l’avvicina all’uomo moderno che intrepido, dominato dalla sete di sempre nuove conoscenze, non si ferma agli ostacoli.
Un grazie al professore per la chiarezza, cultura e capacità espressiva.
Vittoria Ricceri
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