Ridere è laico.

di Agata Salamone

Rileggo a una certa distanza di tempo un libro di Claudio Magris apparso nel 2006 intitolato “La storia non è finita” e imparo che la distanza temporale diventa irrilevante quando a essere posti in questione sono i principi che fondano l’umanizzazione dell’uomo.

Sembra un paradosso che gli uomini abbiano da umanizzarsi, ma l’umanità non è un dato naturale. Alla struttura naturale della nostra vita animale si aggiunge una sovrastruttura culturale che diventa una nostra seconda natura, preponderante sulla prima e strettamente correlata alle congiunture del contesto umano a cui si appartiene e che chiamiamo cultura.

Magris scrive a proposito della laicità. E spiega bene che ne parla non per contrapporla a fede, ma per definirla come necessità di dialogo tra le culture. Le culture, come l’aria, si filtrano mescolandosi e muovendosi, si miscelano e contemporaneamente si distinguono con estrema varietà. È utile riflettere sulla laicità in tempi di involuzione politica come quelli che stiamo vivendo ormai da tempo. Sempre più diventa necessario l’esercizio della critica, dare una testimonianza laica di razionalità per trovare “le leggi non scritte degli dei”, al di là di ogni codice del diritto positivo, ossia trovare i principi che fondano il rispetto umano universale oltre ogni differenza.

La ricerca della verità non si conclude con l’appropriarsi di una verità, e la precarietà, la provvisorietà dei risultati rendono ovvio il dialogo, il confronto, la tolleranza, lasciandosi liberi di esprimersi, rispettando le “improvvisazioni altrui”, un po’ come fanno i musicisti jazz che creano solidi accordi e ritmi mentre si danno appigli per continue interruzioni e variazioni e assonanze e dissonanze.

Siamo turbati dalle affermazioni dei “passionali tolleranti” che sono pronti a mettere al muro tutti gli intolleranti. L’essenza della civiltà europea, l’Europa stessa è, essa stessa, difesa dei principi universali della libertà di pensiero e di espressione (vedi Husserl, L’idea di Europa) e sarebbe paradossale, per tenere fede al principio della tolleranza e del dialogo, non mettersi in discussione, presumere di non poter accettare nessun confronto. Ci sono, è vero, delle diversità inaccettabili. Qualcuno le trova nelle persone che provengono da territori e da culture lontane dalle proprie; io personalmente sento molta distanza e quasi provo orrore di fronte a una certa umanità che non sento affatto vicina che è quella dei funzionari dei sistemi nazi-fascista, ovunque storicamente si sono affermati e continuano ad affermarsi. Sento “disumani” gli individui che praticano la tortura sui propri simili, che pensano di essere legittimamente autorizzati a difendere i loro beni materiali anche uccidendo, che esercitano violenza e ingiustizia su altri individui pregiudizialmente considerati inferiori: donne, bambini, persone disabili, anziani, poveri; ma non posso sinceramente capire chi percepisce come “non umano” semplicemente chi non gli somiglia.

Parlare di laicità serve proprio a capire che la parzialità delle proprie opinioni e dei propri principi esige la tolleranza reciproca, e non si tratta di sopportarsi, ma di darsi per “umani” tutti. Si tratta di discernere, di lasciarsi aperture per un possibile superamento dell’impasse. È complicato, più complicato della ovvietà del radicalismo: è più semplice arrendersi davanti alle differenze e dare per scontato uno scontro da risolvere con la forza.

Questo principio della tolleranza viene frainteso e molti pensano che la tolleranza ha il rischio di appiattire le differenze, omologare globalizzando. Pasolini aveva intuito che la lotta contro i dogmi può pervertirsi nella liquidazione di tutti i valori e principi, ma questa preoccupazione può favorire una tecnica di potere. Una società anonima, impersonale, che livella e annulla le differenze è quella che ha annullato le differenze culturali, ma soprattutto la responsabilità del giudizio individuale che è fulcro della laicità. Sono i comportamenti eterodiretti che annullano le ragioni individuali e costruiscono “un anonimo immenso gelatinoso consenso sociale”. Unico rimedio è dare forza alla laicità. Vuol dire dare forza alla capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che invece è oggetto di fede, di distinguere le sfere e gli ambiti delle diverse competenze e responsabilità. La cultura è sempre laica come lo è la logica.

Laico è chi sa aderire a una cultura senza restarne succube, conservando l’indipendenza critica, chi sa ridere e sorridere di ciò che ama continuando ad amarlo, chi è libero dal bisogno di idolatrare e di dissacrare, chi è libero dal culto di sé. Lo sforzo di uscire da ogni passività è l’unica arma di cui disponiamo contro il dogmatismo. Qualcosa che è analoga alla educazione musicale: la musica ha a che fare con la condizione umana: non ci sono elementi indipendenti, ma nello stesso tempo ogni elemento ha un punto di vista individuale.

Durante il 1700, in età illuministica, si fece un gran parlare di tolleranza, in una stagione della storia durante la quale gli equilibri mondiali si andavano aggiustando sulle politiche espansive dei sistemi industriali e lo sfruttamento economico del lavoro e dello schiavismo non avevano freni, né nelle leggi, né nella mentalità comune. Fanatismo era sinonimo di entusiasmo, fino agli illuministi che invece distinsero tra fanatismo, degenerazione della superstizione, ed entusiasmo, passione delle idee.

Voltaire associò il fanatismo a una religiosità male intesa, passione di spiriti esaltati che non riesce a guardarsi da fuori e criticarsi, che non sa applicare il filtro del buonumore e sottoporre le proprie convinzioni alla prova dell’ironia, che reagisce con controaccuse complottistiche alle critiche. Una visione illiberale, totalitaria, super-seria, nasce dalle esagerazioni dell’entusiasmo che producono malinconia e fondano una cultura del panico e quindi dell’odio.

È di un balsamo contro di essa che abbiamo bisogno in questa nostra “epoca delle passioni tristi” delle militanze sempre in missione. L’unico modo per salvare il buon senso e l’intelligenza è lasciare libertà di motteggio. Così era per gli illuministi, così è per noi, adesso. La democrazia e la pace devono un grazie immenso ai giullari di ogni epoca. A loro il nostro grazie.


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