Intervista a Nello Toscano, il volto del Jazz siciliano

di Alfio Pelleriti

Con Nello ho condiviso tutti gli anni della formazione scolastica, dalle elementari all’università. Gli anni dell’adolescenza, in particolare, ci hanno visti amici fraterni.
Cosa salveresti di quel periodo trascorso a Biancavilla? Tutto, niente, qualcosa?
«Conservo molte cose di quegli anni e me le porto sempre dentro. Soprattutto il ricordo degli amici che ormai non vedo e non sento più, tranne Giovanni Casella con il quale capita di incontrarci in occasione di qualche mio concerto nel siracusano, ciascuno di loro mi ha lasciato qualcosa che nella vita mi è tornato utile e caro. Ma ricordo anche le piccole cose, i profumi i colori, tutto era emozionante. Ti racconto una cosa curiosa, ogni mattina la mia colazione è una granita di mandorle ed ogni mattina mi ripeto che non è mai buona come quella dell’Eden Bar di allora (adesso non so se è ancora così buona, sono passati cinquant’anni). Probabilmente i miei ricordi sono colorati dalla giovinezza, la vita era spensierata e avevamo grande fiducia nel futuro.

Andare a casa di Nello significava negli anni del liceo trascorrere delle ore davvero piacevoli e stimolanti. Per me che non capivo nulla di musica vedere le mani del mio amico che si muovevano sapientemente sulle corde della chitarra a creare armonie e a riproporre melodie e ritmi in voga tra i Sessanta e i Settanta, beh! aveva qualcosa di magico. E se poi capitavo nel giorno giusto potevo ammirare suo papà Alfio, autentico virtuoso del mandolino, strumento con cui faceva veramente tutto. Uno spettacolo!

Che ricordo hai di tuo padre? Quanto gli devi dal punto di vista musicale?

«A mio padre devo tantissimo sia da musicista che da uomo, a lui devo soprattutto il piacere e la sensibilità per la melodia e la cantabilità, aspetti che nella musica attuale si stanno perdendo

E di tua mamma? La dolce umile gentile signora Giovanna, che accoglieva sempre con un sorriso quando si bussava alla sua porta.

«Invece a pensare a mia madre mi viene innanzitutto un gran senso di colpa per essere stato con lei poco attento e superficiale nel rapporto, non so perdonarmelo

Poi gli anni universitari quando il turbinio delle passioni cerca uno sbocco, una strada, una qualche logica soluzione. Esperienza speciale quella della giovinezza condotta in un periodo particolare, quello degli anni Settanta e Ottanta.
Cosa metteresti in primo piano di quegli anni come fattori importanti per la tua crescita umana e professionale?
«Di quel periodo ho dei ricordi contrastanti, da un lato ricordo con piacere il grande entusiasmo per degli ideali di quel tempo che ti davano una grande carica ed energia vitale. Dall’altra, con il senno del poi, la consapevolezza della superficiale conoscenza delle problematiche dell’uomo e del mondo che inevitabilmente hanno portato al fallimento di molte delle nostre attese.»

Penso che a un certo punto nella tua vita “fare musica” e in particolare il Jazz, diventa una scelta di campo perché si cominciano a scoprire artisti con cui ti senti particolarmente vicino.

E di artisti importanti del panorama jazzistico nazionale e internazionale ne hai conosciuti tanti. Per esempio?
Se ne dovessi indicare qualcuno che senti particolarmente vicino alle tue corde?

«Più che dei musicisti vorrei parlarti delle tappe fondamentali che hanno segnato la mia vita da jazzista. La mia passione inizialmente nasce grazie a mio zio Salvatore (detto dagli amici Turi Tosca), lui aveva vissuto da musicista suonando la chitarra nei ‘dancing’ e nei ‘night club’ del nord-europa, in questi ambienti il jazz faceva da sfondo, anche se nel suo aspetto più leggero, infatti il repertorio del ‘night’ prevedeva anche molti standars del jazz (brani dalla tradizione dei musicals), così quando mio zio è tornato a vivere a Biancavilla ha fatto appassionare me, i miei cugini ed anche molti altri amici a questa musica. Solo successivamente ho scoperto una nuova dimensione del jazz non solo da intrattenimento ma come forma d’arte con un proprio linguaggio specifico. Alla fine degli anni ‘70 ho lasciato la chitarra e ho acquisito il titolo in contrabbasso classico per potere insegnare a scuola, ma nello stesso tempo mi sono innamorato dello strumento scoprendone il ruolo fondamentale che ha nel jazz. E’ così che inizia il mio progetto di diventare un contrabbassista jazz. Quindi sono stato a Siena Jazz per capire meglio la teoria e la tecnica jazzistica, poi ho frequentato a Pistoia un corso di perfezionamento con Dave Holland ed infine nel ’90 sono stato a Parigi per studiare composizione con George Russell.

Enrico Rava Sicilian Project

Al ritorno è iniziata la parte più intensa della mia storia concertistica grazie alla collaborazione con una gran quantità di musicisti, soprattutto americani, e questo grazie a Giulio Capiozzo (batterista degli Area, purtroppo non più tra noi) che ha avuto sempre grande fiducia in me. E’ stato in questi anni che, avendo conosciuto Enrico Rava ho potuto realizzare un mio disco con la sua partecipazione e il buon risultato editoriale e musicale mi ha dato una significativa notorietà nell’ambiente non solo italiano.»

Il jazz, fin dagli albori, ha portato nella musica le drammatiche problematiche sociologiche vissute soprattutto dagli afroamericani negli USA.

Tale legame tra musica e società si è spezzato o continua ad esistere?

«Come sai nella storia il rapporto tra arte e società è sempre in mutamento. In questo momento storico nella nostra società l’arte, e quindi anche il jazz, ha assunto connotati assolutamente dominati dal desiderio di guadagno e, più che ai ‘messaggi’, si pensa più alla prestazione. In sintesi si bada più alla forma che alla sostanza. Il jazz oggi è cambiato, è diventato una musica ‘globale’ dove chiunque ci mette dentro qualsiasi cosa.»

Sei stato docente di musica e poi docente di storia e filosofia, rapportandoti con preadolescenti e con adolescenti.

Quanto ha influito la tua professione sull’artista e quanto il musicista ha condizionato il docente?

«Fare il musicista, e vale anche per tutte le arti, ti pone in una condizione di precarietà economica, quindi se non sei una star devi appigliarti a qualcosa di certo che spesso è l’insegnamento. Fare l’insegnante non è stata una condanna, anzi per certi aspetti è stata una risorsa, ma andare a letto sempre tardi e alzarti presto non è stato semplice. Adesso sono in pensione e potrò dedicarmi a tempo pieno alla musica.»
Il Jazz è il genere musicale che più si presta alla creatività pura. Chi fa jazz non vuole essere imbrigliato da spartiti e da regole ferree tranne che da un canovaccio molto semplice che dia spazio alla personale libera esecuzione interpretativa.

«Penso che tutte le forme musicali nel momento in cui nascono siano innovative e spezzino i legami con il passato, poi con il tempo si cristallizzano in formule accademiche prevedibili ed è questo che sta accadendo al jazz. Le scuole e i conservatori stanno accelerando questo processo snaturando lo spirito primario di questa musica.»

In tali impegnativi e splendidi momenti ci sono fattori interni ed esterni al musicista che intervengono a condizionare l’esecuzione?

«Dipende molto dai contesti, se suoni in teatro con un bel pubblico che viene per ascoltarti è tutto molto semplice e gratificante, se invece ti trovi in luoghi inadatti, con un pubblico disattento allora è tutto più difficile. Certo dipende molto

anche dalla statura artistica dei musicisti.»

Del resto in tutte le forme artistiche scatta tale meccanismo. Non parlo dell’io privato ma dell’io profondo. Quell’Io che cerca di superare le barriere di una realtà che si presenta con la ripetitività del “quotidiano”, con i pregiudizi del senso comune, con le piccole/grandi ingiustizie che si consumano all’interno delle comunità umane.

Quanto la musica permette di cogliere quello che i filosofi chiamano “essere” o “essenza” o “senso della vita”?

«Su questo non è facile rispondere perché dipende molto dal tipo di esecutore e dal tipo di ascoltatore. Tra colui che esegue e colui che ascolta deve scattare qualcosa di magico che può accadere solo se le intenzioni emotive di entrambi si incontrano. Sapere ascoltare è importante quanto il sapere suonare. Questa è la condizione necessaria perché un certo tipo di musica possa essere utile alla comprensione di problematiche di tipo ontologico o esistenziale. 

In merito al senso della vita credo che questo vada cercato nella vita stessa e quindi anche nella musica. La musica ha il privilegio di aprire una porta d’accesso molto particolare al senso della vita, dato che è più legata al sentimento piuttosto che alla razionalità. Tuttavia tale porta dev’essere cercata, solo coloro che ne hanno il desiderio e la curiosità riescono ad accedere.»

Una sera al teatro Verga di Catania vidi con piacere che insieme agli attori, in scena c’eri tu con un tuo gruppo a curare le musiche.

Nello Toscano con F. Cafiso, D. Rubino e G. Mazzarino

Splendida soluzione quella di porre la musica all’interno dell’azione scenica dando così più colore emotivo alla vicenda da rappresentare. E altre simili esperienze hai condotto in porto in seguito.

«Si, mi è capitato di suonare dal vivo in rappresentazioni teatrali, anche se ultimamente a causa dei costi si tende ad utilizzare musica registrata. I musicisti sul palco diventano indispensabili solo quando c’è interazione con gli attori o quando è prevista dell’improvvisazione, ma come ti dicevo le occasioni diventano sempre più rare. Addirittura anche le musiche registrate spesso non sono eseguite da musicisti ma realizzate con software che simulano i suoni reali. Io stesso lavoro molto in questo modo. All’inizio rifiutavo le commissioni ma ormai anche il pubblico si aspetta sonorità nuove condizionato anche dai suoni utilizzati nel cinema.

Inoltre l’elettronica ha aperto talmente tante possibilità che non può essere ‘snobbata’, anzi è diventata una grande risorsa. In futuro non avremo più musica così come la intendiamo oggi.» 

Comporre ha un altro sapore, suppongo, rispetto ad una esecuzione di un brano.

Creare musica per il teatro cosa significa per un artista?

«Comporre ed eseguire sono certamente cose diverse, ma per il jazzista no. Infatti l’improvvisazione è una forma di composizione in tempo reale, a condizione che l’improvvisatore non utilizzi formule altrui. Mi spiego meglio: se una persona parla utilizzando concetti acquisiti spacciandoli per proprie idee non può essere considerato un pensatore autentico. Accade qualcosa di simile anche nell’improvvisazione jazzistica, si finisce per proporre formule collaudate e assodate spacciandole per proprie. Ovviamente nella fase della formazione conoscere, studiare ed anche copiare è indispensabile ma dopo deve accadere altro per fare arte. Nel momento compositivo invece l’atto creativo è più meditato, puoi riflettere, rivedere, correggere, ricercare. Devo ammettere che io mi sento più portato per questo aspetto della musica, anche perché in questo momento storico c’è tanta gente che suona bene, ma la musica non è altrettanto ‘bella’.

In merito al teatro mi è capitato e mi capita ancora di collaborare con registi e coreografi e sicuramente è una cosa molto stimolante, anzi ultimamente sto concentrando molto le mie energie in questo ambito. Nella composizione teatrale l’approccio è letterario più che esecutivo, Devo dire che con l’avanzare dell’età comporre mi gratifica più che suonare.»

Tanti anni fa ti proposi di partecipare ad una tavola rotonda sull’etica della responsabilità. Tra i componenti, un teologo, un magistrato, un politico, un docente e un musicista. Il musicista dovevi essere tu. Non si svolse quell’incontro perché vicende personali me lo impedirono. Ma ecco ho l’occasione di chiederti…

In che senso un musicista si sente eticamente responsabile nello svolgimento della sua attività?

«In questo nuovo secolo non credo che in arte esista una questione morale, ciascuno fa ciò che crede. Tuttavia personalmente non apprezzo chi fa arte per denaro o per vanità.»
E ancora…

Se libertà è inscindibilmente legata a verità, fare musica per te significa ricerca di modalità espressive e formali oppure le tue performance mettono in evidenza quel che sei, descrivono il tuo Io privato ed emotivo, oppure fai musica per cercare la verità sulla tua storia e sull’uomo in generale?
«Credo che l’approccio al jazz non abbia un significato univoco. A me da musicista è capitato di fare cose anche molto diverse negli intenti e nelle forme. Io suono jazz che va dall’intrattenimento fino alla ricerca più estrema. Il contrabbassista solitamente deve essere versatile e spesso deve assecondare gli intenti del leader di turno. I casi in cui il mio io privato emerge non sono frequenti. Io ho fatto una quarantina di Cd ma quelli dove ho potuto esprimere la mia identità musicale sono solo un paio e non a caso sono le musiche di due balletti. Il primo è ANAGLIFO e il secondo PASOLINI NELL’ERA DI INTERNET.»

Insomma il Bello, di cui certo la musica ne costituisce una parte fondamentale, contribuisce a trovare il senso della vita o la rende semplicemente più attraente?
«Il bello in musica è un concetto molto legato ad una visione ottocentesca dell’arte, io penso che, soprattutto oggi, il concetto dominante dell’arte debba essere ‘l’autentico’. Viviamo in un’epoca dove l’apparire è più importante dell’essere e quindi la finzione o la messa in scena diventano l’obiettivo della comunicazione, o meglio, della mistificazione. L’arte vera può andare controcorrente solo opponendo l’autenticità.»


Per completare questo approfondimento “filosofico” vorrei chiederti cosa ne pensi della situazione socio politica attuale limitatamente all’Italia.

Gli eventi culturali trovano vita facile o si preparano tempi bui per la libera espressione?
«La libertà di espressione non ha mai avuto vita facile neanche nei paesi più avanzati quando mina le basi del sistema. La società in cui viviamo non investe sull’arte, la politica si preoccupa solo di questioni simili alla gestione di un condominio, manca un progetto di società, e poi i politici che eleggiamo spesso hanno una sensibilità e un livello culturale imbarazzante.

Essere ottimisti non è facile. Aspettare un nuovo umanesimo o un nuovo rinascimento è possibile? Non c’è da sperarci. Forse sarà la questione ambientale a fare esplodere le contraddizioni di questo sistema che così procedendo va verso il nulla. Non so se la musica riuscirà ad avere un ruolo importante in questo processo, lo spero, ma bisognerà investire molto sulle nuove generazioni, la nostra ha fatto troppo poco ed è anche responsabile di gravi errori, primo tra tutti l’aver confuso lo star bene con la società del benessere

NELLO TOSCANO  –  BIOGRAFIA

dal Dizionario del jazz italiano di Flavio Caprera ed. Feltrinelli

Nello Toscano è un contrabbassista di notevole esperienza e fama. Capace di spaziare attraverso i diversi generi del jazz, si è costruito nel corso degli anni un background di musicista affidabile e propositivo, sia quando interpreta un ruolo da leader che da gregario. Toscano è bresciano di nascita ma catanese d’adozione sin dalla più tenera età. Comincia da piccolo a studiare chitarra sotto la supervisione del padre mandolinista. Dopo la laurea in filosofia, Toscano si dedica allo studio del contrabbasso e si diploma presso il Liceo Musicale V. Bellini di Catania. Si perfeziona seguendo un corso tenuto dal contrabbassista Dave Holland. In seguito studia a Parigi con George Russell. Gli interessa approfondire il jazz e la composizione, sperimentando molto, e cercando di far incontrare musica scritta, elettronica e improvvisazione. Il suo jazz ha un piede nella tradizione e l’altro nell’avanguardia. E la sua carriera si sviluppa in tal senso, almeno sul versante dei progetti e delle produzioni da leader. Musicista poliedrico, scrive anche musiche per balletti e per teatro.

Discografia essenziale:

Nello Toscano with Enrico Rava       Winter Sky                      1994

Pentaflowers CDPIA 037 Nello Toscano with P. Fresu      ANAGLIFO                          1996

Anaglyphos R. NTA 01 Nello Toscano with C. Cusmano       

Two in Flight                         1999

Philology W 157 Nello Toscano                

Pasolini nell’era di internet    2000

Anaglyphos Rec NTA 04

Nello Toscano Quintet

feat. F.Cafiso e D.Rubino

Patchwork                      2012

Anaglyphos R. NTA07


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