di Alfio Pelleriti

Non è facile commentare l’ultima pubblicazione di Ezio Mauro poiché, nella forma espressiva a lui congeniale, la cronaca giornalistica, è un gigante, capace com’è di inserire sapientemente nei fatti che descrive analisi chiare e profonde, giudizi ponderati che riescono anch’essi a gettare luce su un fenomeno, la pandemia da Coronavirus, che è globale, inatteso, velocissimo nella diffusione, problematico per la tenuta economica e sociale degli stati.
L’analisi del direttore non riguarda gli aspetti medico – epidemiologici e scientifici del virus, piuttosto l’impatto sulla nostra psicologia, sulla capacità reattiva delle comunità nazionali, sulla esigenza di provvedere alle necessità della sanità pubblica messa a dura prova, e soprattutto sul pericolo per la tenuta del sistema democratico, già in crisi in tante parti del mondo e anche nella nostra Europa.
Mentre scrivo, in questi ultimi giorni di ottobre 2020, in Italia e nel mondo i ritmi del contagio della cosiddetta “seconda ondata”, dopo la calma illusoria del periodo estivo, sono esponenziali, soprattutto nel vecchio continente: i casi raddoppiano nell’arco di una settimana, e dunque i governi ricorrono alle chiusure, all’arretramento, al coprifuoco notturno e tentano di far chiudere gli esercizi commerciali e della ristorazione alle 18. Tali decisioni sono osteggiate dalle categorie interessate, soprattutto in Italia, dove il disagio economico rischia di trasformarsi in rivolte sociali, accese e stimolate dai professionisti della violenza: neofascisti, ultras delle tifoserie calcistiche, elementi delle organizzazioni mafiose, elementi dell’anarco- insurrezionalismo. Tutti pronti a pescare nel torbido.
Ezio Mauro nel suo saggio mette in evidenza come il rischio di contrarre il virus mette in moto in ciascuno di noi la memoria che si attiva per squadernare un passato che richiama la peste che viaggiava con le legioni romane, che attraversava l’Adriatico con le navi genovesi per poi espandersi in Italia e in Europa (la peste bubbonica del Trecento), e poi il vaiolo e la poliomielite, la peste del Seicento raccontata dal Manzoni, e ancora le influenze letali come la spagnola agli inizi del ‘900, l’asiatica degli anni Cinquanta, fino alla suina del 2009, ad Ebola del 2014. Ecco, quelle immagini che ciascuno di noi si è creato nella mente e nel cuore su tali eventi del passato, risalgono alla coscienza e turbano il nostro presente, innescando comportamenti, sentimenti, paure, angosce, facendoci arretrare fino alla volontaria clausura in casa, assediati da un nemico invisibile che aspetta, pronto ad approfittare di una nostra debolezza o di un avamposto i cui responsabili hanno lasciato sguarnito, distrattisi anche per un attimo.
In questa situazione esistono, dunque, solo passato e presente mentre il futuro si sposta, anzi corre in avanti, diventa grigio, si allontana fino a diventare impossibile scorgerne i confini. Eravamo abituati a ritmi velocissimi e a muoverci senza barriere spaziotemporali con le interconnessioni e le comunicazioni in tempo reale anche tra continenti; macchine sempre più sofisticate e intelligenti risolvevano con i loro algoritmi problemi che solo qualche decennio fa avrebbero richiesto tempi lunghissimi e numerosi addetti; la tecnologia, con le sue fenomenali accelerazioni in tutti i settori, ha portato l’uomo del XXI secolo all’auto percezione vicina alla perfezione, coniugata con una velocità d’azione in campo finanziario, economico e produttivo mai raggiunta.

All’improvviso ecco il Covid-19 che impone un rallentamento fino alla resa incondizionata, alla sospensione dell’azione, alla chiusura. I governi sono costretti a prendere decisioni che limitano fortemente le libertà individuali a cui eravamo ormai così abituati da ritenerle “naturali” non il frutto di una conquista e a cederle tutte o in parte in cambio della sicurezza.
“Scopriamo a sorpresa che anche in democrazia la libertà è comprimibile, pur restando un valore assoluto, che però si può dosare, e naturalmente la quantità incide sulla qualità… C’è di conseguenza la manifestazione patente delle nostre fragilità, della nostra paura, che ci porta spontaneamente a comprimere la sfera dei nostri diritti, per rinchiuderci in un guscio di protezione.”
Si potrebbe affermare che ciò che non riuscì ai protagonisti della strategia della tensione, ai NAR, ai servizi segreti deviati, alle frange più radicali dei partiti extraparlamentari comunisti, alle Brigate rosse, ha pienamente raggiunto l’invisibile nemico della democrazia, il virus Covid19, espanso ormai sull’intero pianeta. Lui sì ha puntato al cuore del sistema capitalistico mettendolo in ginocchio; lui sì ha fatto cadere la fiducia nel progresso inarrestabile, mettendo in crisi la convinzione di aver conquistato uno stato di opulenza e di felicità garantite a strati sempre più larghi della popolazione, nonché la certezza di poter affrontare qualsiasi patologia con risultati sempre più apprezzabili confermati da un allungamento della vita media e di una buona qualità della stessa.
E invece un minuscolo virus, passato dai pipistrelli al pangolino cinese prima e da quest’ultimo all’uomo nel primo focolaio epidemico di un mercato cinese all’aperto, ha generato la tragica epidemia diffusasi tra generazioni di uomini e donne che non hanno conosciuto se non nei libri il rischio di considerare come una possibilità concreta l’ammalarsi e il morire in tempi rapidi.
“Il virus crea una paura che invece di star dentro l’ordine sociale lo trasforma, perché esce dai confini dell’ordinario, recupera categorie del primitivo, scuote il deposito ancestrale, amputa il domani…Tornano categorie primigenie, recuperate dall’angoscia, memorie ataviche, suggestioni propiziatorie, un valore d’uso pratico del sacro come protezione, consolazione, illusione miracolistica e, in parallelo, s’incrina l’alleanza tra scienza, razionalità e libertà, che è una delle basi della modernità…Il virus è un cacciatore, anzi un bracconiere, pronto all’agguato. Quando usciamo di casa per andare al supermercato ci sentiamo presi di mira, come se ci aspettasse da qualche parte…è un cecchino, pronto a colpire.”
In questa tempesta che avvolge col suo impeto il globo e soprattutto il mondo occidentale si scopre che in Europa oltre alla logica del mercato esiste il meccanismo del welfare, un vero strumento di civiltà. Si bloccano i licenziamenti, si danno risorse ai produttori che sono costretti a chiudere le proprie aziende, si potenziano le strutture sanitarie per una assistenza gratuita e per tutti; si ricomincia ad investire nella scuola pubblica; si interviene con sussidi ai disoccupati e con un reddito per i senza lavoro. Le forze dell’ordine intervengono per dare sicurezza in un momento in cui la tensione sociale si alza e rischia di esondare. Tutto questo poggia su quei cittadini che regolarmente garantiscono delle entrate allo stato perché pagano le tasse dovute. Poco o tanto e nella misura corrispondente al reddito, pagano le loro tasse perché lo Stato possa poi restituire in servizi anche per coloro che invece non pagano, che evadono, attaccandosi come parassiti ai cittadini onesti.
Evadere le tasse é un atto abominevole perché si attenta all’integrità dello stato democratico, il quale nella organizzazione e attivazione dei servizi essenziali fondamentali, vitali per la comunità, non esclude nessuno. Tutti, nella nostra Europa, ricchi e indigenti, cristiani o ebrei o musulmani o atei possono accedere all’assistenza sanitaria che è pubblica e gratuita. Tutti, senza distinzione di genere o di razza o di censo o di convinzione politica o di etnia, hanno diritto all’istruzione pubblica e gratuita fino al primo biennio delle scuole superiori. Tutti hanno diritto alla sicurezza personale attraverso le forze dell’ordine che controllano tutto il territorio nazionale. Tutti hanno diritto alla giustizia civile e penale con pari dignità. Tutti hanno garantiti i trasporti attraverso il mantenimento efficiente di strade e autostrade, porti e aeroporti.
Chi evade le tasse pensa egoisticamente al suo interesse mettendo a rischio la tenuta della struttura economica del sistema. Se tale discorso vale in tempo di pace, diventa un imperativo in un tempo in cui la pandemia mette a dura prova le risorse dello Stato e la sua tenuta finanziaria.

La chiusura di questo intervento la lascio allo stesso Ezio Mauro poiché qualsiasi chiosa sarebbe inadeguata: “Abbiamo il compito di ridefinire lo Stato sociale, ricostruendo il patto occidentale tra capitalismo, welfare, rappresentanza e democrazia liberale. Questo dovrebbe essere l’orizzonte culturale obbligatorio, dopo la fine delle ideologie, per qualunque sinistra contemporanea e per un governo e una maggioranza politica finalmente decisi a uscire dal binario stretto dello stato di necessità per affidare il futuro dell’Italia a un’idea. L’idea di dare una legittimazione democratica alla trasformazione che stiamo vivendo e ai nuovi equilibri sociali del dopo-crisi, l’unico modo di chiudere davvero, così, la stagione anomala dell’emergenza. Perché il vaccino è la democrazia.”