di Agata Salamone
Ci sono molti modi di viaggiare: le avventure le migrazioni, i pellegrinaggi, le fughe, le esplorazioni, le conquiste. E poi c’è il modo del turista, viaggiare per viaggiare, con l’unica intenzione di vedere un po’ di mondo oltre i paesaggi abituali, per raccogliere la bellezza ovunque la si trovi e conservarla nella propria memoria come un unico favoloso paesaggio interiore che riempia gli spazi infiniti della mente. Per il turista la precarietà del cammino è esclusa, non è richiesto lo sforzo di adattamento alla terra in cui cammina (questo viaggio non è la vita!). Come lo “scrutatore non votante” di Daniele Silvestri, che “prepara un viaggio, ma non parte”, così il turista “pigro” può non partire mai. La crociera è il modo di viaggiare dei pigri! Si conservano le abitudini viaggiando senza il sentimento di viaggiare, dove “sentimento” all’uso siciliano del termine, vuol dire “percezione”, recitando la commedia borghese della vita agiata, tutto compreso: stanzetta con balcone sul mare e pranzo a buffet. Dal porto di Hamburg partono le navi in crociera verso nord. Il commento del turista nordico: “Ma come è tutto pulito!”. Vuole fare l’apologia di tutti i nord in ragione dell’ordine e della pulizia anche quando non è vero. Intorno a Rathausmarkt, la “Piazza del Municipio” detta anche “rossa”, si passeggia fino al Nikolaifleet, un canale che un tempo era il braccio principale del delta del fiume Alster, una delle parti più antiche del porto.

Una comoda passerella in legno facilita la visita della Speicherstadt, “città dei magazzini”, oggi area museale. Sono edifici di architettura tipica delle città anseatiche che servivano per lo stoccaggio di merci di vario genere, quali caffè, tè, spezie, cacao, tabacco, rum, tappeti orientali. Da qui transitava il commercio coloniale. Alla maniera dei giapponesi raccogliamo le foto della sede del Die-Zeit e dell’Elbphilharmonie, moderna sala concerti ex magazzino, e della Chilehaus esempio di architettura espressionista. Poi la passeggiata diventa una camminata veloce senza voltarsi indietro per tornare alla nave che partirà puntuale, chi c’è c’è. Per 14 chilometri lungo la riva sinistra dell’Elba in mezzo al chiasso e al traffico di un caldo sabato pomeriggio, galoppiamo muti seguendo l’arancione della giacca del capo. Sulla nave per la prima volta avvertiamo il movimento ondulatorio come innaturale. Il sonno sarà propiziato dal dondolìo della nave. La curiosità mi spinge fuori a imparare la geografia di questo luogo-non luogo. L’area più affollata sarà sempre il piano alto, dove due piscinotte e quattro pozzetti per l’idromassaggio, insieme a palestra, area SPA, bar vari e locale buffet aperto h. 24 tentano tutti. Come nei villaggi vacanze il popolo dei clienti vaga curiosando. Viene in mente il film Poseidon, senza i patemi della catastrofe del film: ognuno cerca la sua uscita. Mi trovo un oblò – sguardo sul mare a poppa – e leggo molto. Leggo “Il bene sia con voi” di Grossman. Mi dà uno spunto di riflessione sulla nazionalità: Sbaglia chi la considera un dato identitario, che definisce le persone. È un fatto esteriore, circostanziale, del tutto contingente. L’identità delle persone non è plasmata dai luoghi della nascita, può esserlo dai luoghi delle frequentazioni, da ciò che una persona può assorbire dall’ambiente in cui vive. Nazione non è neanche un luogo, è un fatto: è l’ambito in cui vige la stessa legge, è un affare di giurisdizione non di geografia. In questo luogo-non luogo dove si mescolano e non si distinguono le nazionalità, le differenze sono di posizione esistenziale e lavorativa, e quindi di posizione sociale; non sono distinzioni di appartenenza nazionale. Questo mondo vagante lungo 293,8 e largo 32,2 metri è un luogo di lavoro per mille persone che ci vivono per qualche mese all’anno, ed è mezzo di trasporto per gli oltre duemila ospiti che vengono da loro accuditi.

Primo approdo ad Haugesund, in Norvegia, contea di Rogaland, regione dei fiordi, città vichinga. Bella l’impressione di smarrimento che i luoghi sconosciuti suscitano! Nella piazzetta una chiesa luterana e una via in discesa verso il fiordo con una statua di bronzo di due pescatori che si segnano l’orizzonte. Andiamo a vedere il villaggio di pescatori di Steninsfjellet. Invadiamo il villaggio che è silenzioso e sembrerebbe vuoto.
Casette lontane sulla costa, intravviste attraverso la foschia creata dal vento sulla superficie delle onde. Un parco e tanti piccoli belvedere sul mare; le rocce coperte di muschio e nessun animale. Orologio indietro di un’ora, si riparte per le isole Shetland, verso la città di Lerwick che ne è la capitale e il porto principale. Siamo in Scozia, isola di Mainland. Il nome significa “baia di argilla”. Qui ci sono tracce di civiltà vichinga che risalgono a 3000 anni fa: il Clickimin Loch, o il broch di Clickimin, una fortificazione. È un’isola più norvegese che inglese. Il reperto archeologico mi sembra un’invenzione alla maniera di Minitalia, una sceneggiatura. Però, tanto di cancello e tornello e tanto di raccomandazioni di non toccare. La guida ci porta con il bus verso un piccolo borgo attraverso un paesaggio agreste molto pittoresco:

mucche e vitelli vicini al sentiero, collinette erbose popolate da grasse pecore lanose, pecore e agnelli sempre affiancati, e il senso della vastità della campagna bagnata dal mare. La lana che le pecore perdono in mezzo all’erba spinosa è calda al tatto. I fiori sono bassi per il vento. È il paesaggio aspro di Bigton, nei pressi di st. Ninian, piccola isola collegata alla terra ferma da un cordone di sabbia chiamato tombolo, accessibile solo con la bassa marea. Dal bus avvistiamo una tribù di foche spiaggiate in una baia. Pioviggina quando si torna al bus. Siamo tutti bagnati, più di tutte la guida inglese che qui si è trasferita da pensionata. Sulla nave per il vento non si possono aprire le porte sul ponte del 7° piano. Il vento vaporizza la cresta delle onde. A tavola un discorso critico che non si può sentire sulla musica moderna che non sarebbe musica! Arvo Parth sarebbe un imbroglione. Rifletto: La musica che non piace ai più, cioè che non è musica commerciale, non sarebbe musica? Vado via dopo aver replicato, come è nel mio stile: “La popolarità non è cifra di qualità”. Al mattino nebbia e nebbia sul mare. La nave manda la sua cupa voce ogni 90 secondi. L’orizzonte sparisce, cielo e mare diventano un’unica cosa. Solo gradazioni di grigio. Unico suono, il trombone della nave. Mare e mare, siamo veramente lontani da tutto. In questo tempo che deve passare mi viene da pensare a una citazione di Kierkegaard che trovo nel libro autobiografico di Neto Fiano che sto leggendo: “La vita può essere capita solo all’indietro e vissuta solo in avanti”. Sono davanti a un grande oblò a poppa, e capisco. Si arriva in Islanda, siamo ad Akureyri, infondo all’Eyjafjordur, il più lungo dell’Islanda del nord. Scivolando tra monti a testa mozza, con glassa di neve e ghiaccio, tra lembi di terra verde, approdiamo. Abbiamo un bus con guide italiane: sono Roberto e Mario, che con voce recitativa in un italiano preciso e sintetico ci racconta tutto.

Vediamo le cascate di Godafoss, degli dei, formate dal fiume Skjàlfandafljòt su uno sbalzo di 12 metri su un fronte di 30 metri. Andiamo verso il lago Myvatn uno dei laghi naturali più grandi d’Islanda. I fiori di lupini colorano il ciglio delle strade e ovunque si prendono uno spazio di colore tra i verdi e i grigi e i rossi della terra. Gli uccelli sembrano addomesticati, si avvicinano senza paura e si lasciano fotografare facilmente. Il paesaggio è dominato dal vulcano Krafla, il principale vulcano attivo della zona. Andiamo a passeggiare in una zona dove le eruzioni degli anni ottanta hanno provocato, a contatto con la neve gelida, delle formazioni laviche alte decine di metri e cave, labirinti e pseudo crateri. Le fumarole sono ovunque. In questa landa di terra giovane giovane non è raro incontrare autostoppisti. L’Europa degli autostoppisti non è finita. Visitiamo una centrale geotermica, dove ci spiegano la natura vulcanica dell’Islanda. Si riparte per Isafjordur, che vuol dire terra dei ghiacci. Si naviga tutta notte per 197 miglia attraversando il circolo polare artico alla lat. 66°33’. Una piccola imbarcazione ci porta a vedere le balene. Il marinaio che la guida è un giovane vichingo, barbuto, biologo, è anche cuoco e marinaio. Ci dirà dove guardare quando avvisterà le balene. Vedremo anche la passa dei pulcinella di mare o puffin che da una isola vicina si spostano a piccoli gruppi in fila svolazzando maldestramente. Siamo tutti armati di macchina fotografica e non sappiamo deciderci dove posizionarci. C’è chi se ne sta al caldo in cambusa. Si comincia a vedere qualche sbuffo lontano. Poi il nero del dorso delle balene solitarie che galleggiano a pelo d’acqua, poi l’elegante colpo di ventaglio della coda con cui si mostra questo serissimo animale degli oceani, flessibile e potente, con la sua pelle di cuoio e i suoi sbuffi come insoliti Gaiser. Spettacolo di balzi e sbuffi. Una grossa megattera si avvicina alla barca e si mostra, paurosa, con il suo dorso di drago e i suoi denti. Se gli islandesi le sfruttassero solo per dare spettacolo ai turisti, e non le uccidessero, forse non sarebbero più a rischio d’estinzione. La cittadina sembra trasandata, svuotata. Forse il lungo inverno che qui si vive toglie la voglia di aggiungere alle case quel di più di ornamento che dà calore alle case. Fotografo una chiesetta cattolica adiacente all’abitazione del prete, tenuta come una stanza di una casa. Gli abitanti hanno tutti delle macchinone tipo pickup. Penso a un popolo agiato e pigro. Grosse jeep e case colorate, e tanta attenzione ai bimbi: le aree attrezzate con giochi sono tante. Sole a mezzanotte. È il solstizio d’estate. Da un lato tramonta e poco più in là rispunta, un sole che non scalda. Partiamo per Reykjavik che dista 211 miglia da qui. Dopo l’approdo, in bus attraversiamo un’area di fumarole. Una vegetazione che ha la insistenza del muschio e la delicatezza di fiori evanescenti come nuvole, bassi e modesti, ma di una bellezza nuova. A una rotonda fotografiamo una squadra di bevuti nazi maschi che ostentano il loro stato alcolico in una scenetta da rondò europeo. Si attraversa un’intera landa di sciara coperta di muschio e si arriva a diversi punti di fumarole che schizzano fango bollente. Andiamo a vedere all’interno una centrale geotermica dove ci spiegano l’eccezionalità di questo apice della dorsale atlantica con una attività vulcanica frequente e vistosa. E ci spiegano come viene sfruttata l’energia geotermica per scaldare e rifornire di energia le case e le attività.
Andiamo a vedere il circolo d’oro, le cascate di Gullfoss del fiume Hvità.

Fotografiamo la cascata, e lontano, alle nostre spalle nella direzione opposta, il maggiore ghiacciaio dell’Islanda, basso, appena visibile.

E visitiamo i Geysir di cui Stokkur è il più importante, nella valle di Haukadalur, che fa spruzzi di 20 metri. Visitiamo il parco nazionale di Thingveillir, dove è ben visibile la fagliache separa la zolla tettonica euroasiatica e quella nord americana. Domenica arriviamo nella capitale Reykjavik, città di 115.000 abitanti, di 170.000 con il circondario. Quasi tutti gli islandesi vivono qui, Il 60% dei 300.000. Il nome vuol dire baia del fumo che si riferisce alle colonne di vapore che caratterizzano la zona. Raggiungiamo la chiesa luterana Hallgrimskirkja all’apice della collina, in stile basaltico. Io ci vedo messa, incuriosita dal rito luterano. Celebra una donna. Non ci sono icone o croci o quadri. Il segno di pace lo fanno uguale. Nel vicino giardinetto un piccolo museo di statue di inizio novecento. Nel vicino museo nazionale di arte moderna trovo quadri che hanno come soggetto l’Islanda. Il tema ecologico è molto presente: paesaggi e colori d’Islanda e personaggi dell’ambiente, con un po’ di ironia. Un tondo nero fatto con lana intrecciata vuole essere forse uno scudo vichingo? Inizia la traiettoria di rientro verso sud – sud est e gradualmente si torna con l’orologio all’ora giusta per noi. Le temperature gradualmente aumentano. Il mare è azzurro e plasticamente morbido.
Ora l’attenzione è nello sguardo reciproco che ci buttiamo addosso noi viaggiatori di crociera: c’è un borghesuccio che afferma, sicuro di sé, che ogni uomo ha il suo prezzo. È un caporeparto. I capireparto, come i caporali, ritengono generalmente di essere più vicini ai proprietari che agli operai. Si attribuiscono una saggezza incomparabile con quella degli altri, loro le cose le sanno. Fumano la pipa e fotografano con dispendio di mezzi e di attenzione. Soggetto gli animali, meglio degli uomini, dicono. Parlano poco. Si potrebbe immaginare per effetto della loro saggezza, ma credo che in effetti manchino loro argomenti e parole, credo che non abbiano nulla da dire, proprio. Ma io dico: Se ogni uomo ha un prezzo, nessun uomo ha valore. E vorrebbe dire che siamo tutti pronti alla prostituzione? Mettiamo tutta l’erba nel fascio? Il popolo delle crociere è di valigie grosse e grossi beauty case. E sa tutti i nomi dei piatti, conosce le raffinatezze dei ristoranti, ha mangiato diverse volte aragosta, non ricorda bene in che anno, ma è stata dappertutto trovando ovunque le stesse cose, ma prendendosi il gusto di metterle a confronto. Sulla via del ritorno giungiamo a Kirkwall. Siamo nelle isole Orcadi della costa occidentale delle Mainland, meta di passaggio sulla via del ritorno. Raggiungiamo le scogliere
di arenaria rossa di Yesnaby. La guida italiana parla della popolazione elogiandone l’onestà, maggiore di quella degli inglesi. Qui desiderano diventare norvegesi. Dormono con le porte aperte, qui non c’è criminalità, non succede niente di grave, tranne che i suicidi, dice la guida. Racconta che anche lei, un anno fa, ha programmato il suo, ma è tutto passato. È un effetto dello scarso irraggiamento solare. I negozi aprono i battenti ai clienti che la nave porta sul posto. Si muove la macchina della accoglienza ai turisti con le note di un folclore ben misurato, come il suonatore di cornamusa con il gonnellino scozzese. L’attrazione è la chiesa di San Magno dove un’orchestrina da camera prova il concerto che sta per iniziare alle ore tredici. Orario improponibile altrove. Una coppia di cavalli con le ghette di pelo porta in giro turisti curiosi che vogliono provare tutto. Infine andiamo a vedere il cerchio di Brodgar, situato su una striscia di terra che separa i laghi di Harray e di Stenness, chiamato istmo di Brodgar. È il terzo monumento più grande di questo tipo e risale a 4500 anni fa. Forse inizialmente di 60 pietre, rimaste 27, pietre neolitiche di Stenness, uno dei primi Henge del regno unito. Il blu del mare spunta ovunque a lacerare il verde della terra.
